La tomba di san Pietro e il giallo delle reliquie

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Sono circa duemila anni che la Chiesa di Roma venera in Vaticano il luogo di sepoltura di San Pietro, ma è stato soltanto negli anni Sessanta che gli sono state attribuite le ossa che sono state esposte durante la celebrazione del 24 novembre nella piazza della basilica vaticana. La storia è nota, ed è uno dei gialli archeologici più intriganti del XX secolo. I lavori nelle Grotte sotto la basilica di San Pietro per costruire la tomba di Pio XI, morto nel 1939, portano a uno scavo archeologico sotto il pavimento delle Grotte. Dal 1940 al 1949 gli archeologi del Vaticano scoprono una necropoli romana, parte di tutta quella enorme area funeraria di cui altri pezzi sono stati trovati in scavi più recenti in Vaticano, sotto l’Autoparco e negli ultimi anni sotto il nuovo parcheggio di Santa Rosa. La grande sorpresa è che proprio sotto l’altare della basilica di San Pietro si trova un piccolo monumento del secondo secolo, che evidentemente doveva ricordare l’apostolo, e molto probabilmente la sua sepoltura, visto che si trova in un cimitero. Il monumento, una piccola edicola, si data alla seconda metà del secondo secolo, a un momento storico a poche generazioni di distanza dalla morte dell’apostolo. Non c’è dubbio: questo è quel “monumento alla vittoria”, il “trofeo”, menzionato in una lettera di un prete romano di nome Gaio ai tempi di Papa Zefirino (199-217). Polemizzando con chi vantava di avere la tomba dell’apostolo Filippo a Ierapolis in Asia Minore, Gaio risponde: “Io posso mostrare i trofei (tà tròpaia) degli apostoli: se vai infatti sul colle Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa”. La lettera è stata riportata nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (2.25, 5–7).

Il modesto monumento si trovava all’interno di un recinto funerario, chiamato il campo “P” dagli archeologi. Si trattava di una piccola edicola, addossata al muro stesso del recinto, coperto da intonaco rosso, dove una nicchia decorativa saliva dal livello del terreno come per indicare un luogo particolarmente importante. La nicchia era affiancata da due colonnine che reggevano una lastra di travertino, come una piccola mensa. La scoperta sensazionale era che questa nicchia fosse rimasta al centro della basilica di Costantino e poi di quella attuale, senza che nessuno ricordasse che si trattava di un monumento del secondo secolo. La nicchia corrisponde a quella che si può vedere nella confessione aperta davanti all’altare, la cosiddetta Nicchia dei Palli, decorata da un mosaico forse del IX secolo. Nella nicchia si depongono tradizionalmente i “palli”, le strisce di lana che i vescovo metropoliti portano sopra la casula come un simbolo del loro legame a Roma, a San Pietro e al Papa.

Ma tutte queste scoperte riguardano la tomba, non le reliquie. I quattro archeologi, Antonio Ferrua, Bruno Maria Apollonj Ghetti, Enrico Josi, ed Engelbert Kirschbaum, non avevano dubbi: avevano trovato il luogo di sepoltura di San Pietro. Purtroppo, nel luogo indicato ed esaltato dal modesto monumento, non c’era più nulla. Quello che c’era sotto la nicchia era stata distrutto in un’epoca imprecisabile. Nel suo Radiomessaggio natalizio del 23 dicembre 1950, Pio XII dichiara: “La questione essenziale è la seguente: È stata veramente ritrovata la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo “sì”. La tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata. Una seconda questione, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del Santo. Sono state esse rinvenute? Al margine del sepolcro furono trovati resti di ossa umane, dei quali però non è possibile di provare con certezza che appartenessero alla spoglia mortale dell’Apostolo. Ciò lascia tuttavia intatta la realtà storica della tomba”. (Discorsi e Radiom. XII, 380).

Il colpo di scena arriva negli anni Sessanta. Dopo aver passato diversi anni a studiare i graffiti cristiani nella zona della tomba di San Pietro, l’epigrafista Margherita Guarducci annuncia di aver identificato le ossa dell’Apostolo in una maniera che ha più del giallo che dell’indagine scientifica. Un operaio che aveva partecipato agli scavi le avrebbe indicato, nel magazzino degli scavi, un gruppo di ossa che sarebbero state prelevate all’insaputa degli archeologi e poi rimaste dimenticate. Si tratterebbe di ossa appartenenti a un unico individuo di sesso maschile e trovate in sepoltura secondaria, avvolte in quella che era stata una stoffa preziosa. La Guarducci conosce il nuovo Papa, Paolo VI, e sembra averlo convinto che si tratti proprio delle ossa di Pietro, perché il Papa arriva a fare un annuncio sorprendente il 26 giugno 1968: “Nuove indagini pazientissime e accuratissime furono eseguite con risultato che Noi, confortati dal giudizio di valenti e prudenti persone competenti, crediamo positive: anche le reliquie di S. Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente”.

Ma come si poteva dimostrare che le ossa di cui parlava Paolo VI erano proprio le ossa di Pietro? A parte alcune analisi che sembravano confermare il sesso, l’età e l’epoca di un defunto compatibile con l’apostolo, tutta l’argomentazione gira intorno al luogo dove le ossa sarebbero state prelevate. Si tratta di un foro irregolare praticato in un muro aggiunto in secondo momento a destra della nicchia, il cosiddetto muro “g”.

Da sopra

E qui si arriva forse alla più grande difficoltà nell’identificazione. Per capirla bisogna capire cos’è il muro “g”. Questo viene costruito in un momento difficile da datare, dopo la costruzione dell’edicola nel secondo secolo, e prima della costruzione della basilica di Costantino poco dopo il 318. Si tratta un muro di sostegno, reso necessario da una grande crepa che si era formato nel muro di fondo, il cosiddetto “muro rosso”. Per sostenerlo, si aggiunge questo muretto ad angolo retto, a circa mezzo metro a destra della colonnina destra dell’edicola, esattamente in corrispondenza alla crepa nel muro rosso. I graffiti studiati dalla Guarducci si trovavano tutti sul lato esterno del muro “g”, non verso la nicchia, che forse era recintata per cui i pellegrini non ci potevano arrivare. Sempre sul lato esterno è stato fatto un buco, un piccolo loculo irregolare. Gli archeologi che seguivano lo scavo 1940-1949 lo trovarono praticamente vuoto, ma l’operaio sentito dalla Guarducci avrebbe affermato di aver prelevato lui stesso le ossa prima che ci arrivassero gli archeologi su ordine di Mons. Ludwig Kaas, responsabile della Fabbrica di San Pietro durante gli scavi.

Ma ora, a distanza di molti anni, quando ormai sono morti tutti i protagonisti della vicenda, diventa sempre più chiaro che il punto è un altro. Anche se le ossa vengono dal loculo nel muro “g”, questo non prova che siano di San Pietro.

Intanto, perché le ossa di San Pietro si dovevano trovare in un posto così strano? Secondo la Guarducci, le ossa sarebbero state tolte dalla tomba originale sotto la nicchia da parte dei cristiani stessi per salvarle dalle persecuzioni, e durante la costruzione della basilica di Costantino sarebbero state messe nel loculo nel muro “g” prima che l’edicola e il muro ”g” fossero chiusi nel grande monumento costantiniano sulla tomba dell’apostolo. Questo monumento era una specie di grande scatola rivestita di marmo, che conservava al suo interno tutto il complesso dell’edicola ma con un’apertura davanti alla nicchia, mentre le altre strutture intorno furono demolite. La Guarducci trovò la prova che si trattasse delle ossa di Pietro in un pezzo di intonaco rosso trovato nel loculo con incise poche lettere. Lei ci vide l’espressione greca “Petros eni”, che secondo lei significherebbe “Pietro è qui”; una specie di autentica di questa sepoltura secondaria. Ma altri epigrafisti non sono d’accordo. Carlo Carletti legge la breve iscrizione in maniera diversa sull’Osservatore Romano del 3 aprile 2013: “Petr[os] / en i[rene) (Pietro in pace), una acclamazione rivolta all’Apostolo con la più tipica delle formule ireniche di uso corrente fin dal iii secolo, nella prassi epigrafica dei cristiani”. La stessa lettura era già stata proposta da Ferrua negli anni Cinquanta. Danilo Mazzoleni commenta inoltre, nel catalogo della mostra “Petros eni” (2006): “Parrebbe davvero strano che nel pieno IV secolo per accreditare il contenuto di una cassetta-reliquiario così importante Costantino facesse porre un misero frammento di intonaco di reimpiego, pertinente ad una fase precedente della memoria e non un’iscrizione molto più nobile e di altro materiale.”1471780_538129539616920_1136249464_n

L’argomentazione della Guarducci aveva bisogno della “autentica” del graffito “Petros eni”, perchè il loculo nel muro “g” non è in nessun modo al centro della venerazione nella basilica di Costantino. E’ vero che il monumento che ingloba l’edicola comprende anche il muro “g”. Ma contiene allo stesso modo anche un altro muro, “S”, a sinistra dell’edicola, posto allo stesso modo ad angolo retto rispetto al muro rosso di fondo. Il monumento costantiniano comprendeva così tutto il complesso dell’edicola e delle strutture che la circondavano.

Qualcuno ha pensato di trovare una conferma dell’importanza del muro “g” nel fatto che ancora oggi, nella confessione aperta della basilica attuale, si vede che la nicchia dei palli è decentrata verso sinistra. Ma non è per mettere al centro il muro “g”. Si voleva contenere nel monumento costantiniano sia il muro “g” a destra che il muro “S” a sinistra, solo che il muro “S” era più sottile e più vicino all’edicola. Il risultato fu che la nicchia rimase decentrata verso sinistra. Ma non è un modo di enfatizzare l’importanza del muro “g”. Questo veniva quasi a formare il lato destro del nuovo monumento, lontano dal centro della devozione nella nicchia.

La devozione alla tomba di Pietro continuava invece proprio nella nicchia sul davanti del monumento costantiniano. Una lastra posta per terra davanti alla nicchia conteneva un foro che permetteva il contatto con lo spazio sotto, tra il pavimento e la tomba. Un prezioso racconto del diacono Agiulfo, che visitò la basilica nel 490, spiega come si faceva per pregare vicino alle reliquie di San Pietro. “Chi vuole pregare, apre i cancelli che circondano quel luogo, e accede sopra il sepolcro. Immette la testa in quella piccola finestra e presenta le necessità che lo affliggono.” Dal foro si potevano far scendere pezzi di stoffa che rimanevano in contatto diretto con la tomba. Agiulfo racconta che si imbevevano talmente tanto di grazia che pesavano di più quando si tiravano su. Questo è, infatti, più o meno quello che si fa ancora con i palli, che si lasciano per qualche tempo in uno scrigno nella nicchia prima che il Papa li consegni agli arcivescovi metropoliti.

Petrusgrab im Petersdom in Rom

Certo non si può escludere che le ossa siano quelle di San Pietro. Ma sarebbe possibile anche un altro scenario. Evidentemente le ossa sono state sistemate nel foro nel muro “g” proprio per la costruzione della basilica costantiniana. Quindi molto probabilmente si trovavano in una tomba che è stata distrutta durante la costruzione. Potrebbe trattarsi di un personaggio importante sepolto in una delle molte tombe poste intorno alla tomba dell’apostolo, forse uno dei suoi primi successori.

Nessuno sa quando è stata distrutta la tomba di San Pietro. Forse era ancora intatta dopo la costruzione della basilica, come farebbe pensare il racconto di Agiulfo. Ma forse qualcosa è successo molto più tardi, nell’846, quando i saraceni devastarano la basilica di San Pietro “commettendo iniquità nefande”, come racconta il Liber Pontificalis nella vita di Papa Sergio II. Il successore Leone IV decise perciò di costruire le Mura Leonine per proteggere la basilica. Ma forse era tardi.

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