Novendiali: Dio non abbandona il popolo

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“Il brano del vangelo è noto. Una scena grandiosa dal carattere universalistico: tutti i popoli, che vivono insieme nell’unico campo che è il mondo, sono radunati davanti al Figlio dell’Uomo, seduto sul trono della sua gloria per giudicare. Il messaggio è chiaro: nella vita di tutti, credenti e non credenti, indistintamente, vi è un momento di discrimine: a un certo punto alcuni iniziano a partecipare della stessa gioia di Dio, altri cominciano a patire la tremenda sofferenza della vera solitudine, perché, estromessi dal Regno, restano disperatamente soli nell’anima”: lo ha detto oggi il card. Mauro Gambetti, arciprete della Basilica Vaticana, nell’omelia del quarto novendiale celebrato in suffragio di papa Francesco e affidato ai Capitoli delle basiliche papali.

Però l’appartenenza a Gesù dipende anche dal ‘vedere’: “Nel testo greco il verbo ‘vedere’ è espresso da Matteo con òráo, che significa vedere in profondità, percepire, comprendere. Parafrasando: Signore, quando ti abbiamo ‘capito’, ‘individuato’, ‘qualificato’? La risposta di Gesù lascia intendere che non è la professione di fede, la conoscenza teologica o la prassi sacramentale a garantire la partecipazione alla gioia di Dio, ma il coinvolgimento qualitativo e quantitativo nella vicenda umana dei fratelli più piccoli. E la cifra dell’umano è la regalità di Gesù di Nazaret, che nella sua vita terrena condivise in tutto la debolezza della nostra natura, fino ad essere rifiutato, perseguitato e crocifisso”.

Ed ha ripreso un colloquio del papa con i Gesuiti avvenuto nel 2023 a Lisbona, in cui ha sottolineato l’apertura della Chiesa: “La ‘cristiana umanità’ rende la chiesa casa di tutti. Quanto sono attuali le parole di Francesco pronunciate nel colloquio con i Gesuiti a Lisbona nel 2023: Tutti tutti tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai!

Come riportano gli Atti degli Apostoli, Pietro lo aveva asserito chiaramente: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”.

Per questo è necessaria percorrere la via della globalizzazione con un rimando a santa Caterina da Siena: “Il brano della prima lettura è la conclusione dell’incontro di Pietro con dei pagani, Cornelio e la sua famiglia (At 10); un episodio che, in un’epoca globalizzata, secolarizzata e assetata di Verità e di Amore come la nostra, attraverso l’atteggiamento di Pietro addita la via dell’evangelizzazione: l’apertura all’umano senza riserve, l’interessamento gratuito agli altri, la condivisione del vissuto e l’approfondimento per aiutare ogni uomo e ogni donna a dare credito alla vita, alla grazia creaturale, e, quando vedranno che piace a Dio (direbbe san Francesco d’Assisi), l’annuncio del vangelo, ovvero il rivelarsi dell’umanità divina di Gesù nella storia, per chiamare le genti alla fede in Cristo, ‘folle d’amore’ per l’uomo, come insegna santa Caterina da Siena di cui ricorre oggi la festa in Italia. Allora potrà dispiegarsi per tutti il pieno valore della professione di fede, della sana teologia e dei sacramenti che arricchiscono di ogni grazia la vita nello spirito”.

Mentre ieri il vicario della diocesi di Roma, card. Baldassare Reina, ha riflettuto sul pastore: “Pecore senza pastore: una metafora che ci permette di ricomporre i sentimenti di questi giorni, e di attraversare la profondità dell’immagine che abbiamo ricevuto dal Vangelo di Giovanni, il chicco di grano che deve morire per dare frutto. Una parabola che racconta l’amore del pastore per il suo gregge”.

Le pecore sono alla ricerca del proprio pastore: “Attorno a Lui ci sono gli apostoli che gli riferiscono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Le parole, i gesti, le azioni apprese dal Maestro, l’annuncio del regno del Dio veniente, la necessità del cambiamento di vita, uniti a segni capaci di dare carne alle parole: una carezza, una mano tesa, discorsi disarmati, senza giudizi, liberatori, non timorosi del contatto con l’impurità. Nel compiere questo servizio, necessario a risvegliare la fede, a suscitare speranza che il male presente nel mondo non avrebbe avuto l’ultima parola, che la vita è più forte della morte, non avevano avuto neanche il tempo di mangiare. Gesù ne avverte il peso, e questo ci conforta ora”.

Un pastore che mostra misericordia per le pecore disperse: “La compassione di Gesù è quella dei profeti che manifestano la sofferenza di Dio nel vedere il popolo disperso e abusato dai cattivi pastori, dai mercenari che si servono del gregge, e che fuggono quando vedono arrivare il lupo. Ai cattivi pastori non gliene importa nulla delle pecore, le abbandonano nel pericolo, e per questo saranno rapite e disperse. Mentre il pastore buono offre la vita per le sue pecore”.

Però anche in tempi difficili Dio non abbandona il popolo: “Ci sono tempi come il nostro in cui, come l’agricoltore a cui fa riferimento il salmista, seminare diventa un gesto estremo, mosso dalla radicalità di un atto di fede. E’ tempo di carestia, il seme gettato sulla terra è quello sottratto all’ultima scorta senza la quale si muore. Il contadino piange perché sa che questo ultimo atto gli sta chiedendo di mettere a rischio la vita.

Ma Dio non abbandona il suo popolo, non lascia soli i suoi pastori, non permetterà come per il Figlio che Egli sia abbandonato nel sepolcro, nella tomba della terra. La nostra fede custodisce la promessa di una mietitura gioiosa ma che dovrà passare dalla morte del seme che è la nostra vita.

Quel gesto estremo, totale, estenuante, del seminatore mi ha fatto ripensare al giorno di Pasqua di papa Francesco, a quel riversarsi senza risparmio nella benedizione e nell’abbraccio al suo popolo, il giorno prima di morire. Ultimo atto del suo seminare senza risparmio l’annuncio delle misericordie di Dio. Grazie papa Francesco”.

(Foto: Santa Sede)