Dopo Francesco: l’istituzione, l’eredità, i problemi

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.04.2025 – Andrea Gagliarducci] – C’è un netto contrasto tra l’idea che si era data del funerale di Papa Francesco, con i riti semplificati e la volontà di non vederlo come un segno di potere, e il modo in cui è stato organizzato il trasferimento della salma del Papa da Santa Marta a San Pietro. Si è trattato, infatti, di una cerimonia papale impeccabile, così come il funerale celebrato il 26 aprile è stato una celebrazione papale curata nei minimi dettagli. Papa Francesco se n’è andato da Papa: un Papa speciale che lascia un’eredità di gesti ancora da definire, ma pur sempre un Papa. Il contrasto è ancora più evidente se si guarda a come è stata annunciata la morte del Papa: il Cardinale Kevin Farrell, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, il Cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato di Sua Santità, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Sta, e l’Arcivescovo Diego Ravelli, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, si sono presentati nella cappella della Domus Sanctae Marthae in clergyman, senza nemmeno la tonaca filettata. Un annuncio ufficiale che mancava di… ufficialità.

L’annuncio è stato trasmesso in diretta dalle reti vaticane, ma non è stato pronunciato in piazza, dove le campane non hanno suonato per almeno un’ora perché la trasmissione elettronica che avrebbe dovuto attivarle era rotta.

Sono tutti dettagli che segnalano un prima e un dopo. Raccontano come, alla morte di Papa Francesco, l’Istituzione sia stata messa da parte e la macchina istituzionale, liturgica e simbolica, sia ricominciata solo un paio di giorni dopo. Nulla verrà fatto contro il Papa defunto, ma tutto verrà fatto per la Chiesa. Il ritorno al centro dell’Istituzione segna anche una transizione da non sottovalutare.

Papa Francesco ha portato il suo carisma e ha imposto una serie di simboli, gesti e modi di fare personali, che provenivano direttamente dal suo ambiente e dal suo modo di essere. Indossando scarpe nere o pantaloni neri sotto la tonaca, evitando la mozzetta papale e mostrando una certa “allergia” a ogni situazione istituzionale, Papa Francesco ha sostanzialmente dato una martellata al protocollo istituzionale.

Mentre regnava, tutti lo seguivano.

Eppure quel protocollo era fatto di una storia e di una dignità, che non erano andate perdute. È semplicemente rimasto sotto le ceneri fino al suo ritorno nel momento in cui la Chiesa, privata del suo capo, deve parlare al mondo. E non può parlare al mondo che con i suoi simboli, i suoi segni e la sua storia – in una parola, con il suo linguaggio.

I lettori potrebbero pensare che tutto ciò sia secondario e considerare inutile criticare il Papa per la sua rinuncia o addirittura il suo ripudio di alcuni simboli. La tradizione, si dice, non è immutabile. La Chiesa, si aggiunge, non è potere. Il Papa, si specifica, ha effettivamente aiutato la Chiesa a scrollarsi di dosso la polvere del passato.

Tutto ciò può essere vero, ed è un modo diverso di guardare la questione. Tuttavia, la storia insegna, che ogni volta che il cambiamento tocca i linguaggi storici, le identità si perdono e le istituzioni crollano. Ricostruire è sempre complesso, ed è titanico.

Papa Francesco ha definito due punti nel suo testamento: la pace nel mondo e la fratellanza. Tuttavia, rimangono punti generici, che riguardano la situazione mondiale,  più che quella della Chiesa. È un linguaggio coerente con il Papa, che ha parlato al mondo prima della Chiesa. Tanto che, quando ha incontrato i giornalisti per la prima volta, non ha impartito una benedizione per rispetto verso chi non era credente. Tanto che, a parte la benedizione urbi et orbi nelle sue ultime uscite, Papa Francesco ha augurato “Buona domenica” ma non ha pronunciato parole di benedizione.

I cardinali, tuttavia, questa settimana iniziano uno scambio di opinioni sulla Chiesa, che andrà oltre queste questioni. Sarà un Conclave diverso da quello del 2013.

Nel 2013, i cardinali furono chiamati a rispondere a uno shock: le dimissioni di Benedetto XVI. Ne analizzarono subito le cause immediate e pensarono, che uno dei problemi risiedesse nell’organizzazione. Dopo un po’, il dito fu puntato contro i collaboratori del Papa. Una frase diceva che “quattro anni di Bergoglio potrebbero bastare”. Significava che serviva un Papa dalla fine del mondo per scuotere l’Istituzione e gettare le basi per la riforma. Ma solo per quattro anni. Un panico controllato, per poi riportare tutto nell’ordine istituzionale.

Papa Francesco, tuttavia, ha ricoperto l’incarico per dodici anni e ha avuto il tempo di lasciare un segno decisivo sull’Istituzione della Chiesa. Da tempo, i cardinali discutono della necessità di dare un ordine istituzionale alle riforme e ai vari processi avviati. La riforma della Curia è tutt’altro che definitiva e necessita di aggiustamenti. L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano è stato modificato più volte negli ultimi anni e necessita di essere armonizzato. Diverse questioni aperte riguardano poi la credibilità della Chiesa, a partire dalla lotta agli abusi fino alla presenza della Chiesa nella società. I cardinali cercheranno quindi un profilo moderato, capace di non buttare via le cose buone, ma di procedere verso la normalizzazione. Qualcuno che sia meno protagonista e che lasci parlare la Chiesa, si dice. Più pragmaticamente, qualcuno che non adotti un feroce spoils system dopo la sua elezione.

Perché la grande paura, per molti, è quella di perdere le posizioni di potere conquistate. Papa Francesco ha avuto un governo molto personale. I veri collaboratori non erano coloro che avevano ruoli ufficiali, ma coloro che sono rimasti invisibili. Tutti questi collaboratori, che erano confidenti del Papa, non hanno un titolo o una posizione. Il rischio, per loro, è quello di scomparire.

Il Conclave ci dirà ora se i cardinali avranno il coraggio di attuare questa controrivoluzione istituzionale. Non significa fare un passo indietro. Significa consolidare l’Istituzione della Chiesa e poi procedere con direzioni e metodi diversi. Sarebbe comunque una rivoluzione copernicana dopo un pontificato come quello di Papa Francesco.

Certo, i cardinali non devono commettere il grande errore di concentrarsi su questioni pragmatiche durante le Congregazioni generali. Questo è ciò che accadde prima del Conclave del 2013. La scelta cadde poi su Papa Francesco perché sembrava abbastanza forte da attuare le riforme senza contraccolpi. La realtà è che si rivolgevano al Papa in cerca di un profilo missionario e di un cambio di narrativa. Non volevano una vera riforma, ma piuttosto un consolidamento della situazione esistente.

D’altra parte, Papa Francesco riformò, cambiò le regole e mise tutto in discussione. Prese ogni decisione affermando che questo era il mandato affidatogli dai cardinali quando si incontrarono nella Cappella Sistina. Non aveva tutti i torti.

Quindi, il Papa di domani dovrà parlare prima di tutto di Cristo. Il resto, alla fine, sarà una conseguenza. E sarà una sfida significativa.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

Foto di copertina: le Esequie del Romano Pontefice Francesco.

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