Eluana/Per approfondire. Stato vegetativo: cosa è e come si curano i pazienti. In Italia sono 2 mila
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Difficile reperire dati affidabili: per il Ministero della Salute i pazienti in stato vegetativo superano le due migliaia e 700 sono bambini o adolescenti. Si tratta di una condizione di evoluzione del coma: se dura oltre un mese diventa persistente, ma questa diagnosi non ha valore di certezza assoluta, ma è di tipo probabilistico. La cura non richiede alte tecnologie: ecco cosa avviene nelle strutture attrezzate.
Incidenti stradali, infortuni sul lavoro, ictus, arresti cardiaci, aneurismi, intossicazioni: possono essere molte le cause per le quali una persona può entrare in coma. Ogni anno in Italia accade 20mila volte: più di un terzo di questi pazienti ne escono indenni, altri riportano danni più o meni gravi mentre per circa 500 di loro il coma evolve in stato vegetativo. Quando questo si protrae nel tempo, lo stato vegetativo è definito persistente. Pochi i dati sul fenomeno attendibili: secondo una ricerca del Ministero della Salute (2006) sono oltre duemila i pazienti in stato vegetativo, di cui circa 700 al di sotto dei 15 anni di età. La metà di chi si sveglia e sopravvive, comunque, si trova a convivere con una qualche forma di disabilità.
STATO VEGETATIVO – Di per sé, lo stato vegetativo è un’evoluzione del coma: nel soggetto non c’è consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, non c’è risposta a stimoli esterni, anche se può esserci l’alternarsi di un normale ciclo sonno-veglia, come pure comportamenti che all’apparenza possono far pensare ad una situazione di coscienza, come sorridere, piangere, lacrimare, singhiozzare. Dunque, la vigilanza e la coscienza sono perdute, ma la condizione evolve continuamente, perché il paziente respira spontaneamente, presenta un ritmo di sonno-veglia, mostra una certa risposta oculare e dei movimenti (seppur “afinalistici”) nonché la capacità di emettere suoni. Non sono pazienti tenuti in vita da macchine, e mostrano uno stato in continua evoluzione, estremamente dinamica: naturalmente, poi, le possibilità di recupero dipendono naturalmente dall’entità della lesione al cervello e dall’età del paziente. Quando questa condizione si protrae nel tempo, si parla di stato vegetativo persistente. Sulla condizione di stato vegetativo persistente, che non è affatto una “morte cerebrale”, rimangono tuttora dispute molto forti in medicina fra chi ritiene attendibile una definizione di irreversibilità totale e chi invece pensa non si possa giungere ad una conclusione simile. Certamente, quanto più si protrae la condizione, tanto più diminuiscono le possibilità di recupero, ma la diagnosi di persistenza non ha valore di certezza, ma è di tipo probabilistico.
CURA – Ma cosa fanno medici e infermieri di fronte ad una persona in stato vegetativo? Accudire un paziente simile non richiede alte tecnologie: gli infermieri lavano queste persone, le muovono, le nutrono, se ne prendono cura insieme ai familiari. Ai medici tocca seguire il progredire del soggetto e del suo stato di coscienza, lavorando per un suo recupero, per quanto difficile o improbabile. Anche con le nuove tecnologie: alla Casa dei risvegli “Luca De Nigris” di Bologna, ad esempio, monitorano i ritmi biologici delle persone in coma attraverso telecamere e strumenti all’avanguardia in grado di registrare i comportamenti spontanei dei pazienti in stato vegetativo. “Ancora troppo spesso si pensa che per chi si trova in stato vegetativo o di coscienza minima non ci sia nulla da fare sul piano riabilitativo – affermava nell’ottobre scorso Roberto Piperno, direttore dell’unità di Medicina fisica dell’Ausl di Bologna e responsabile della Casa dei risvegli. “Questo convincimento nasce dal fatto che spesso dall’osservazione clinica dei pazienti non arrivano risposte significative agli stimoli ambientali: il laboratorio di esplorazione invece è stato creato proprio per risolvere questo problema. Abbiamo bisogno di strumenti efficaci e innovativi per comprendere meglio la situazione e le potenzialità cognitive di ogni paziente in modo da adattare a ognuno, e il prima possibile, il miglior programma di riabilitazione”.
IL CASO – Restano naturalmente, in questo contesto, le specificità di ogni singola caso personale: un risveglio di un paziente in stato vegetativo da anni, se non da oltre un decennio, è altamente improbabile, ma l’interrogativo di fondo rimane: questi soggetti infatti non sono “malati terminali”, al punto che è la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione a portare alla morte. Non si muore di “stato vegetativo”, si muore per mancanza di nutrimento. E in effetti, le due questioni rilevanti che sono balzate alla cronaca nel caso di Eluana sono due. La prima: l’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo è una forma di terapia, che può essere anche sospesa quando si ravvisino i presupposti dell’accanimento terapeutico, o è invece una semplice assistenza basilare, il nutrire che non si nega a nessuno, tanto meno se malato? La seconda: una dichiarazione di volontà del paziente, peraltro costruita a posteriori sulla base di dichiarazioni precedenti alla malattia, può essere la base sulla quale fondare il via libera alla morte di quella persona? E’ dal modo di rispondere a queste questioni che dipende ogni decisione.
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