Anselmo Palini racconta la storia resistenziale di Carlo Bianchi, ‘ribelle per amore’

“Carlo Bianchi fa parte di quella schiera di persone definite ‘partigiani senza fucile’, in quanto si opposero al nazifascismo senza impugnare le armi, ma operando tuttavia attivamente e mettendo a rischio la propria vita, nella stampa clandestina, nell’aiuto prestato per nascondere o far espatriare quanti erano ricercati, nel tenere i collegamenti fra le formazioni attive nella lotta contro il nazifascismo”; così ha scritto il prof. Paolo Trionfini, docente all’Università di Parma e direttore dell’Isacem (Istituto per la storia dell’Azione Cattolica e del movimento cattolico in Italia) ‘Paolo VI’, nella prefazione al libro del prof. Anselmo Palini ‘Carlo Bianchi, Per un domani non di solo pane, ma di giustizia e di libertà’.
‘Tornerà presto il sole’, scriveva Carlo Bianchi ai propri familiari dal carcere milanese di San Vittore: “In realtà, tale speranza per lui non si realizzerà e verrà fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944. La sua testimonianza, tuttavia, è rimasta viva e oggi splende più che mai. Cresciuto nell’Azione cattolica e nella Fuci, durante gli anni della Seconda guerra mondiale si attiva per le persone povere e disagiate, per inserirsi poi nell’attività resistenziale con le ‘Fiamme Verdi’ di Teresio Olivelli e con l’Oscar, un’organizzazione creata da alcuni sacerdoti per favorire l’espatrio di quanti erano braccati dai nazifascisti. Consapevole dei rischi che correva, continuò nella propria attività per porre le basi di un mondo migliore. Fino al sacrificio della vita”, scrive ad inizio del libro l’autore, Anselmo Palini.
Per quale motivo un libro su Carlo Bianchi?
“Carlo Bianchi, giovane ingegnere milanese, sposato con Albertina Casiraghi e padre di tre bimbi piccoli, è stato fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944 in un eccidio di massa che interessò altre 66 persone. Ci troviamo di fronte ad una splendida figura che si coinvolse nella Resistenza pur sapendo i rischi che correva e i problemi che la sua azione poteva comportare per la sua famiglia. Come ha scritto il prof. Giorgio Vecchio, di Carlo Bianchi ci si è ben presto dimenticati. Ecco allora la necessità di un libro che ne facesse memoria”.
Perché Carlo Bianchi è stato un ‘ribelle per amore’?
“Carlo Bianchi è stato con Teresio Olivelli l’anima della stampa clandestina dopo l’8 settembre 1943 in Lombardia. A loro principalmente si deve la nascita e la stampa del foglio ‘Il Ribelle’, che contestava la narrazione nazifascista ed invitava i giovani a non aderire alla Repubblica di Salò.
Sempre a Carlo Bianchi e a Teresio Olivelli si deve la famosa ‘Preghiera del Ribelle’, che, diffusa in migliaia di copie, rappresentò un grande sostegno per quanti operavano nella clandestinità. Carlo Bianchi poi si attivò, con gli amici don Andrea Ghetti e don Giovanni Barbareschi, del gruppo scout clandestino delle Aquile Randagie, per favorire l’espatrio di coloro che erano ricercati dai nazifascisti”.
A cosa serviva la ‘Carità dell’Arcivescovo’?
“Il 16 febbraio 1943 il card. Schuster in una lettera indirizzata ai milanesi metteva in risalto i gravi disagi causati dai bombardamenti sulla città e li invitava ad attivarsi in aiuto alle popolazioni più colpite. Carlo Bianchi è fortemente colpito dall’intervento dell’arcivescovo e, in accordo con l’amico don Andrea Ghetti, matura l’idea di costituire un centro di assistenza per le persone più povere e per quelle maggiormente colpite dalla guerra in corso. Nasce così l’opera che assume il nome di ‘La Carità dell’Arcivescovo’, una realtà che garantiva assistenza medica, assistenza legale, aiuti economici… alle persone povere e disagiate. In una situazione di sfascio dei servizi pubblici la ‘Carità dell’Arcivescovo’ fu un’iniziativa dal grandissimo valore”.
Quale fu la ‘scintilla’ per cui decise di partecipare alla Resistenza?
“Dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio, ossia con l’uscita dell’Italia dalla guerra, ognuno venne chiamato a scegliere: o unirsi alla Repubblica di Salò, ossia al tentativo di ricostituire uno Stato fascista nel centro-nord Italia; oppure scegliere di opporsi al nazifascismo unendosi alle forze partigiane; o ancora stare alla finestra in attesa dell’evolversi della situazione. Carlo Bianchi, per la formazione ricevuta in Azione Cattolica e nella Fuci, non ebbe dubbi sulla scelta da compiere: opporsi al nazifascismo!”
In quale modo fu un ‘partigiano senza fucile’?
“La partecipazione di Carlo Bianchi alla Resistenza non fu caratterizzata dall’uso delle armi. Si attivò nella stampa clandestina mettendo a disposizione la propria tipografia, fin quando gli fu possibile, e le proprie conoscenze tecniche. In secondo luogo collaborò attivamente con le Aquile Randagie don Andrea Ghetti-Baden e don Giovanni Barbareschi per favorire l’espatrio di quanti erano ricercati dai nazifascisti. Al riguardo venne costituita l’OSCAR, ‘Organizzazione scout collocamento assistenza ricercati’, poi divenuta ‘Organizzazione soccorso collocamento assistenza ricercati’. Fu dunque un ‘partigiano senza fucile’, per usare la felice espressione coniata da Giovanni Bianchi in un suo libro dello stesso titolo”.
Quanto fu importante la presenza dei cattolici nella Resistenza?
“Per molto tempo la narrazione sulla Resistenza ha parlato solamente del coinvolgimento del mondo comunista. Oggi gli studi più approfonditi hanno permesso di far emergere il ruolo avuto da altre componenti, tra cui persone del mondo cattolico. In Lombardia ad esempio le Fiamme Verdi, composte principalmente da cattolici, ebbero un ruolo importante nell’azione resistenziale e così in altre regioni lo ebbero formazioni simili, come si può verificare consultando il sito dell’Associazione nazionale partigiani cristiani (Anpc) o quello della Federazione italiana volontari della libertà (Fivl)”.