Il genocidio armeno nel racconto del prof. Aldo Ferrari

“Nel complicato scacchiere mediorientale, infatti, gli stati del Caucaso (le tre repubbliche ex sovietiche, Armenia, Georgia, Azerbaigian: le prime due cristiane, la terza musulmana sciita) rivestono un’importanza molto maggiore di quel che sembrerebbe, se si guarda solo alla loro ridotta estensione geografica. E nella situazione attuale, in contemporanea con i due conflitti ‘maggiori’ riguardanti Ucraina e Israele, si vede chiaramente una terza guerra serpeggiare minacciosamente intorno all’Armenia”: così ha scritto la scrittrice Antonia Arslan nel mensile ‘Vita e Pensiero’, editato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, presentando il libro ‘Un genocidio culturale dei nostri giorni. Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena’, scritto con il prof. Aldo Ferrari, docente di lingua e letteratura armena, storia dell’Eurasia, storia del Caucaso e dell’Asia centrale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove dirige l’Osservatorio di politica e relazioni internazionali (OPRI).
Sempre la scrittrice di origine armena nel saggio scrive che il Nchkichevan “situato fra l’Armenia ex sovietica e l’Azerbaigian, è una piccola enclave fra le alte montagne del Caucaso, abitato da millenni da tribù di etnia armena, come dimostrano i numerosi monumenti là presenti, le chiese e i monasteri antichissimi (con affreschi meravigliosi da poco restaurati) e le pittoresche rovine archeologiche (ricche di straordinari ritrovamenti) risalenti all’epoca del più vasto regno armeno, quello del re Tigrane il Grande (95-55 a.C.).
Fu Stalin, plenipotenziario di Lenin per il Caucaso (come è noto, lui proveniva dalla Georgia), che negli anni tumultuosi del primo dopoguerra stabilì i confini fra le tre repubbliche transcaucasiche, dopo aver soppresso la loro fragile indipendenza. E decise di attribuire alla sovranità azera due territori confinanti con l’Armenia, e popolati in grande maggioranza da Armeni, uno ad est (il Nakhichevan) e l’altro ad ovest (che è, appunto, l’Artsakh). Vennero classificati come oblast, cioè regioni ‘a statuto speciale’, con un soviet proprio, dotato di una certa autonomia, in cui si usava la lingua armena”.
Partendo da queste note storiche al prof. Aldo Ferrari abbiamo chiesto di raccontarci, dopo 110 anni cosa resta del genocidio armeno, avvenuto il 25 aprile 1915: “Resta la realtà irrevocabile della tragedia che tra il 1915 ed il 1923 ha portato al massacro e all’espulsione di un popolo intero dal suo territorio ancestrale, alla distruzione di gran parte dei suoi monumenti, alla falsificazione della memoria di questo crimine da parte dello Stato, la Turchia, che è erede di quello (l’impero ottomano) che lo ha perpetrato. Resta la precarietà del piccolo e debole stato armeno, che occupa solo un decimo del suo territorio storico; resta, infine, una vasta ‘diaspora’, che non potendo neppure sperare di far ritorno in patria ha saputo ricostruirsi un’esistenza decorosa e spesso benestante in molti paesi del mondo”.
Per quale motivo ancora si parla poco del genocidio armeno?
“Le ragioni sono molteplici e di ordine diverso. Da un lato vi è certo la forza politica della Turchia, capace di limitare la conoscenza stessa del genocidio. Ma occorre anche pensare allo scarso peso politico, demografico ed economico della repubblica d’Armenia, a cui stessa esistenza appare minacciata e è quindi meno efficace della ‘diaspora ‘nel diffondere la memoria del genocidio armeno”.
Quali sono le ragioni per cui ci si ostina a negare ciò che è accaduto?
“Il persistente negazionismo della Turchia dipende in primo luogo dal fatto che il genocidio le ha consentito di mantenere i territori storicamente armeni e che in quanto tali erano stati attribuiti all’Armenia dal trattato di Sèvres del 1920. Riconoscere il genocidio minerebbe la legittimità (morale se non giuridica) del loro possesso. Inoltre Ankara dovrebbe impegnarsi in una colossale opera di risarcimento a favore dei discendenti degli armeni, molti dei quali avevano ingenti patrimoni. Infine, il riconoscimento dovrebbe essere accompagnato dall’ammissione di aver mentito per più di un secolo e di aver considerato eroi nazionali persone responsabili di crimini orrendi”.
Quanto è stato importante il Nakhichevan?
“Questa regione, storicamente parte dell’Armenia, ma attribuita negli anni Venti del ‘900 all’Azerbaigian dalle autorità sovietiche, ha visto dapprima il completo abbandono della popolazione armena quindi la recente e completa distruzione del suo patrimonio artistico, costituito da circa 90 chiese e oltre 10.000 khachkar, le croci di pietra così caratteristiche dell’arte sacra del popolo armeno. Queste distruzioni costituiscono senza dubbio il più grave caso di genocidio culturale dei nostri giorni e lasciano intravvedere la possibilità che la stessa sorte tocchi adesso al patrimonio artistico del Nagorno-Karabakh, una regione abitata in larga maggioranza da armeni, ma attribuita anch’essa all’Azerbaigian dai sovietici, e completamente svuotata dalla sua popolazione armena nel settembre del 2023”.
Quanto è stato importante il cristianesimo nella storia armena?
“La conversione dell’Armenia al cristianesimo, avvenuta nel 301 secondo la datazione tradizionale, ha avuto un’importanza straordinaria per questo paese. Da allora e sino ad oggi l’identità del popolo armeno è indissolubilmente legata alla fede cristiana, che ha determinato l’invenzione dell’alfabeto nazionale nel 405, la creazione di una letteratura quanto mai ricca e di un’arte estremamente originale. La secolare fedeltà al cristianesimo in un contesto sempre più islamico è la ragione principale delle numerose traversie conosciute dal popolo armeno, sino a quella del genocidio”.
Quale è la situazione tra Armenia e Azerbaigian, nonostante un recente ‘accordo di pace’?
“E’ una situazione estremamente grave, soprattutto dopo la disastrosa sconfitta nella guerra del 2020, seguita nel 2023 l’esodo della popolazione armena e la perdita definitiva del Nagorno-Karabakh. L’Armenia, che ha perso negli ultimi anni la tradizionale protezione della Russia, si trova oggi stretta tra due paesi storicamente nemici, la Turchia e l’Azerbaigian. La minaccia principale viene soprattutto da quest’ultimo, un paese tanto ricco e potente, quanto brutalmente aggressivo, che da anni rivendica come proprio il territorio armeno, denominato Azerbaigian occidentale. In una situazione di questo genere il governo armeno avrebbe bisogno di maggiore appoggio della comunità internazionale”.