Cinque paradossi del pontificato di Papa Francesco

Papa Francesco
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.04.2025 – Andrea Gagliarducci] – Paradossale e incompleto. Il pontificato di Papa Francesco può essere riassunto in queste due parole. Verrà il tempo di tutte le analisi eccellenti atte ad aiutarci a chiarire se la rivoluzione di Papa Francesco abbia dato una direzione alla Chiesa, o se sia stata solo una tempesta durata dodici anni in un bicchier d’acqua. In breve, per determinare se la mentalità sia cambiata con Papa Francesco, o se il Papa sia stato l’unico rivoluzionario; se la gente stesse approfittando dei cambiamenti da lui apportati, o semplicemente aspettando che tutto accadesse intorno a lui.

Quando Papa Francesco apparve per la prima volta dalla loggia, dodici anni fa, indossava il bianco papale. Solo, ma apparve senza la mozzetta rossa e parlò la lingua del popolo con un semplice “Buonasera”. In effetti, si fece benedire dal popolo – una delle tante svolte sudamericane a cui ci avrebbe abituato nel tempo.

Ma il pontificato di Papa Francesco è stato un pontificato per il popolo? Fu invece un pontificato per il pueblo, una categoria quasi mistica tipica del populismo latinoamericano. Il Papa pensava al pueblo quando si unì al grido di terra, riparo e lavoro dei movimenti popolari; quando sottolineò la presenza di un Dio che accoglie tutti, tutti, tutti; quando si lamentò delle élite e sottolineò che dalla periferia si poteva vedere meglio il centro. Allo stesso tempo, però, Papa Francesco si comportò come Juan Domingo Perón, che, togliendosi la camicia insieme ai descamisados, dimostrò di essere uno di loro e allo stesso tempo di non esserlo, perché si “abbassò” al loro livello. Papa Francesco non andò alla periferia. Creò un nuovo centro. Qui sta il primo grande paradosso. La sua lotta contro la corte papale, contro quello che considerava il deep state del Vaticano, lo portò a creare un sistema diverso, parallelo e altrettanto profondo, con la differenza che il sistema attorno a Papa Francesco, libero dalle regole della formalità e dell’istituzionalità, era meno trasparente del precedente. Papa Francesco fu, in un certo senso, vittima della sua riforma e vittima degli uomini che scelse per portarla avanti.

Papa Francesco decise di spostare il centro di influenza lontano dalla Curia. Lo dimostrò con la scelta dei nuovi cardinali (in dieci Concistori, al ritmo di quasi uno all’anno). Premiò gli uomini di Curia solo quando erano suoi – con qualche eccezione nella prima fase del suo pontificato – e tendeva a privilegiare le sedi residenziali secondarie, a meno che non ci fossero uomini di cui si fidava in quelle importanti. Lo dimostrò quando, dopo anni di discussioni sulla riforma della Curia, attuò tutti i cambiamenti al di fuori delle riunioni del Consiglio dei Cardinali che aveva istituito per aiutarlo a elaborare la riforma curiale.

A pensarci bene, vittima probabilmente non è la parola giusta. Papa Francesco lo ha dimostrato con i significativi processi vaticani: visibili e quasi umilianti nei casi che coinvolgevano persone che non godevano più della sua fiducia, come quello sulla gestione dei fondi in Vaticano, che ha coinvolto il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, o quello che ha coinvolto il Cardinale Cipriani Thorne, Arcivescovo emerito di Lima; invisibili e per nulla trasparenti in quelli che riguardavano persone che godevano della sua fiducia, o almeno della sua stima – gli ultimi, eclatanti, casi che hanno coinvolto Marko Rupnik e Monsignor Zanchetta, entrambi protetti e persino graziati nonostante tutto dimostrasse il contrario. Nel pontificato di Papa Francesco, tutto è stato asimmetrico perché tutto è stato in qualche modo deciso sul momento. È il modello della riforma in atto: prima c’è stata l’era delle commissioni, poi l’era del Motu proprio, e poi l’era degli aggiustamenti del Motu proprio. Il piano era quasi sovversivo e i mezzi per realizzarlo cambiavano a seconda della situazione. Si dice che solo gli stupidi non cambiano idea, ed è vero. Nel caso delle riforme, tuttavia, si nota una mancanza di pianificazione a lungo termine o, comunque, della competenza giuridica necessaria per creare un sistema che non crolli.

Ma è stata una vera rivoluzione?

La risposta a questa domanda porta con sé il secondo grande paradosso. Papa Francesco vuole cambiare la mentalità partendo dalle periferie, ma così facendo non solo crea un nuovo centro. Piuttosto, adotta il punto di vista delle élite che combatte. Entra nel pensiero occidentale attraverso i temi più mainstream, come la questione ecologica, la tratta di esseri umani dal lato laico, la questione dei divorziati risposati, il ruolo delle donne e l’accettazione degli omosessuali dal lato dottrinale.

Questi sono tutti temi che provengono dal Primo Mondo. Il Terzo Mondo – come lo chiamavamo una volta – desidera vivere la fede. Le persone delle periferie desiderano vivere la fede. Le persone in Europa e in Occidente vogliono salvare il pianeta. Le persone nei paesi in via di sviluppo sono preoccupate per la sopravvivenza, ma la fede Cristiana le aiuta a sopravvivere. Questo tema è esploso drammaticamente quando il Dicastero per la Dottrina della Fede ha pubblicato la dichiarazione Fiducia supplicans sulla benedizione delle coppie irregolari, quasi interamente respinta dalle stesse regioni Cristiane a cui il Papa sembrava rivolgersi più spesso.

In queste situazioni, emerge il terzo paradosso del pontificato: l’universalizzazione dei temi della (molto) particolare Chiesa latinoamericana.

Fiducia supplicans è stata pubblicata quando il Cardinale Víctor Manuel Fernández, ghostwriter del Papa, era già alla guida del Dicastero per la Dottrina della Fede. Il Papa ha atteso nove anni per chiamare Fernández a Roma, ma dalla sua nomina ha definito un cambio di narrativa.

Il desiderio di cambiare la narrativa era già evidente nell’insolita lettera che Papa Francesco ha inviato a Fernández quando lo ha nominato Prefetto dell’ex Sant’Uffizio. In essa, il Papa ha persino fatto riferimento a cattive pratiche del passato. Si è trattato di una distorsione della storia e di una contaminazione di un’istituzione che aveva conosciuto i limiti della natura umana, ma che portava in sé anche la grandezza della Fede. Fernández ha portato alla ribalta temi tipicamente latinoamericani, con la continua pubblicazione di documenti, responsa ad dubium, che prima rimanevano confinati al rapporto tra il Dicastero e il vescovo locale. Si parla persino dei fedeli che non si accostano alla comunione perché si vergognano di come vengono giudicati dai pastori – un tema che poi si trasformerà nella richiesta di perdono per la “dottrina usata come pietra” all’inizio dell’ultimo Sinodo dei vescovi.

Così, Papa Francesco, che desiderava una “visione più chiara del centro” dalle periferie, ha finito invece per portare tutto il peso della sua eredità e della sua delusione nella fase finale del suo pontificato. Parte di ciò si ritrova anche nella decisione finale di sciogliere il Sodalitium Christiane Vitae, una società laicale il cui fondatore si era macchiato di abusi. Questa decisione è estranea alla tradizione della Chiesa, che cerca sempre di recuperare il buono dalle realtà della Fede. Tuttavia, è in linea con il rovesciamento della “guerra” vissuta in America Latina dopo il Concilio Vaticano II. Il quarto paradosso sta proprio nello stile di governo.

È un Papa che vuole camminare come un “vescovo con il popolo”, ma alla fine prende tutte le decisioni da solo. Durante il pontificato di Papa Francesco, sono stati celebrati cinque Sinodi (l’ultimo diviso in tre parti) e la Chiesa è stata posta in uno stato di Sinodo permanente. Alla fine, però, questa sinodalità è più ostentata che praticata. Il Papa ha infatti accolto con favore il documento finale del Sinodo, approvandone la pubblicazione come se fosse un documento magisteriale.

In questi dodici anni, tuttavia, Papa Francesco non ha preso una sola decisione in modo riconoscibile come sinodale. Ha parlato a lungo del Sinodo – ma il punto della sua approvazione del documento finale del Sinodo quest’ultima volta è stato che lui, Papa Francesco, l’ha approvato – ma ha dato al Sinodo ben poco, in realtà. L’ultimo Sinodo ha visto Papa Francesco nominare dieci gruppi di studio che continuano a riunirsi sulle questioni più controverse. Li ha eliminati dal Sinodo.

Il quinto paradosso riguarda la trasparenza. Mai un Papa ha parlato così tanto di sé, nemmeno in quattro libri autobiografici negli ultimi due anni e in decine di interviste, rilasciate con una generosità sempre più straordinaria e sempre con uno sguardo al di fuori dell’ambito Cattolico. Eppure, sappiamo molto poco o nulla di questo Papa. Non conosciamo il periodo del “deserto” in cui i Gesuiti lo mandarono a Cordova e lo isolarono. Non conosciamo a fondo come si comportò durante la dittatura argentina. Non conosciamo nemmeno la profondità dei suoi veri studi teologici, anche se diversi studi hanno cercato di attribuirgli l’influenza di vari autori.

Infine, c’è il grande paradosso del pontificato stesso: fu amato e odiato in egual misura.

Inizialmente fu apprezzato, persino nei suoi fruttuosi sforzi diplomatici. Tuttavia, alla fine fu disprezzato, e forse il motivo è che il buono iniziale era ancora un residuo del lavoro svolto in passato, mentre la parte finale era tutta attribuibile agli uomini di Francesco. Un pontificato popolare all’inizio, quando i colpi di genio comunicativo del Papa hanno lasciato slogan destinati alla storia. Un pontificato ovattato e quasi invisibile alla fine, quando Papa Francesco ha continuato a ripetere gli stessi concetti senza sprazzi di novità.

Qual è dunque l’eredità di Papa Francesco?

A livello di governo, l’istituzione e la fiducia in essa devono essere ricostruite. A livello dottrinale, le incertezze teologiche devono essere superate e alcuni aspetti devono essere chiariti. Ma c’è anche la parte bella, quella dei grandi gesti, di Papa Francesco che si inginocchia drammaticamente per confessare, o del Papa che si dedica incessantemente alle folle.

È un’eredità complessa e in definitiva incompiuta.

Perché incompiuta, allora? Perché l’ultima grande rivoluzione di Papa Francesco è stata la nomina di una donna, Suor Raffaella Petrini, per guidare il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Ma il mandato di Suor Petrini non è ancora iniziato, e un Papa successivo potrebbe prendere una decisione diversa: alla sua morte, tutte le cariche in Curia decadono.

Poiché l’ultima grande decisione è stata quella di sciogliere il Sodalitium Christianae Vitae, tale scioglimento non è ancora stato “iniziato” alla congregazione, e un Papa successivo potrebbe decidere di non procedere. Il Dicastero per la Dottrina della Fede stava lavorando a documenti riguardanti schiavitù, monogamia e questioni mariologiche. Se mai questi documenti venissero pubblicati, probabilmente saranno di una foggia molto diversa da quella che gli uomini di Papa Francesco avevano iniziato a dar loro.

Ora tutto è nelle mani del successore, ma la transizione sarà più complessa che mai.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

Indice – Caso 60SA [QUI]