Ecco la “diplomazia delle periferie” di Papa Francesco

Papa Francesco a Lesbo
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.04.2025 – Andrea Gagliarducci] – “Andare lì dove c’è bisogno di Dio”. Sembra essere questo il criterio che ha guidato Papa Francesco nella scelta dei viaggi internazionali. Una scelta dettata anche dal suo profondo essere gesuita, un religioso per natura spinto ad andare oltre confine, a dialogare con l’incerto più che a rafforzare il certo. È nel labile confine tra missione e apostolato che si può comprendere la cifra internazionale di Papa Francesco.

Una cifra che si è declinata in due mondi diversi: la diplomazia dei viaggi e dei gesti e la diplomazia “tout court”, guidata in Vaticano da un diplomatico cresciuto alla scuola di Casaroli e Sodano come il Cardinale Pietro Parolin. Ma anche, la diplomazia delle mediazioni, provata in Venezuela, Colombia, Nicaragua, raggiunta con successo nell’aiutare Stati Uniti e Cuba a ripristinare le loro relazioni diplomatiche, e rimasta sospesa nell’ultimo grande tentativo di Papa Francesco, il lavoro per la pace in Ucraina che lo ha visto presentarsi in maniera non protocollare all’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, e poi inviare tre cardinali, incluso un inviato speciale, il Cardinale Matteo Zuppi, per cercare almeno di comprendere le vie di pace. Restano sullo sfondo gli appelli, continui, per la pace in Terrasanta, specialmente dopo il conflitto nato a seguito degli attacchi di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023.

Sono le tre direttive diplomatiche del lavoro di Papa Francesco nel corso di questi dodici anni.

Cominciamo dai viaggi internazionali di Papa Francesco. Ci sono stati viaggi quasi obbligati, nati da impegni imprescindibili: la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio nel 2013, l’Incontro Mondiale delle Famiglie di Philadelphia nel 2015, la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia nel 2016, e l’Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino nel 2018. Ma, in generale, i viaggi scelti da Papa Francesco raccontano molto dell’indirizzo che ha voluto dare al Pontificato.

Primo criterio: i viaggi sono ecumenici. Non a caso, tra i primissimi viaggi c’è quello a Gerusalemme, a maggio 2014, per celebrare il 50esimo anniversario dell’abbraccio di Paolo VI e Atenagora. Lì, c’è il Patriarca Bartolomeo, e suggellare un dialogo costante nato con la presenza di Bartolomeo alla Messa di inizio pontificato, il primo Patriarca di Costantinopoli a farlo. Bartolomeo sarà poi l’ospite di Papa Francesco durante il viaggio in Turchia nel novembre 2014, e sarà con Papa Francesco anche a Lesbo, nel marzo 2016, quando il Papa utilizzò poi il volo papale come un corridoio umanitario.

Ha avuto un profilo ecumenico anche il viaggio di Papa Francesco in Egitto, nel marzo 2017. Lì il Papa è stato alla cattedrale di San Marco, vittima di un attentato l’anno prima, accompagnato da Papa Tawadros, capo della Chiesa copta, e dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo.

Come è stato forte il tema ecumenico nel viaggio in Lituania, Lettonia ed Estonia che Papa Francesco ha compiuto dal 22 al 25 settembre 2018, dove tra il dipinto originale della Divina Misericordia e il lavoro costante di dialogo ecumenico tra cattolici e protestanti Papa Francesco ha potuto scoprire la fede di quella che fu proclamata “Terra Mariana”. Così come fu ecumenico il viaggio in Svezia del 31 ottobre – 1 novembre 2016, quando Papa Francesco andò a commemorare i 500 anni della Riforma Protestante, ma anche a creare nuove forme di dialogo e comunione.

Ed è stato un pellegrinaggio ecumenico quello che ha portato Papa Francesco a Ginevra il 21 giugno 2018, mentre l’ecumenismo è stato chiave della pace nell’incontro che Papa Francesco ha promosso a Bari il 7 luglio 2018.

Infine, sono stati viaggi ecumenici, in Paesi a maggioranza ortodossa, quelli che hanno visto Papa Francesco toccare Bulgaria e Macedonia del Nord dal 5 al 7 maggio 2019 e poi la Romania dal 31 maggio al 2 giugno 2019. Ed è stato ecumenico il viaggio in Cipro e Grecia dal 2 al 6 dicembre 2021, come quello in Kazakhstan del 13 – 15 settembre 2022, in realtà dedicato maggiormente al dialogo interreligioso.

Ma sono viaggi ecumenici perché sviluppano anche un tema caro a Papa Francesco: quello dell’ecumenismo del sangue, l’unione tra confessioni cristiane per il solo fatto di aver versato il sangue del Cristo. È il tema che ricorre durante il viaggio in Egitto, durante il viaggio in Armenia, nel giugno 2016, ma che è ben presente durante il viaggio in Africa del novembre 2015, e in particolare nella tappa in Uganda, lì dove cristiani ed anglicani sono stati martirizzati insieme. Come è stato ecumenico il viaggio in Sud Sudan, stavolta in compagnia dell’arcivescovo Justin Welby, primate anglicano, e del moderatore della Chiesa di Scozia, avvenuto nel 2023.

Quelli di Papa Francesco sono viaggi ecumenici anche perché creano le occasioni di un incontro. Come la tappa a Cuba, a marzo 2016, nella rotta verso il Messico. Una tappa fatta e voluta solo per poter incontrare il Patriarca Kirill, capo del Patriarcato Ortodosso di Mosca. È il primo incontra tra il Papa e un Patriarca ortodosso nella storia, dopo che per anni si era provato, senza successo, prima sotto Giovanni Paolo II e poi sotto Benedetto XVI. Ma il dialogo è un dialogo “pastorale” come “pastorale” è il comunicato congiunto finale, ci tiene subito a spiegare Papa Francesco. Segno che per lui l’incontro viene prima della teologia e del dialogo sui principi. Prima il fare, poi il resto, secondo l’adagio che “la realtà è più grande della teoria” contenuto nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che più volte il Papa ha definito documento programmatico.

Secondo criterio: andare alle periferie. Papa Francesco ha viaggiato in Europa, ma toccando di rado l’Unione Europea. Le eccezioni sono state l’Ungheria, dove è andato per la prima volta nella sola Budapest per il Congresso Eucaristico Internazionale ed è tornato dal 28 al 30 aprile 2023, e la Slovacchia, visitata per tre giorni nel 2022.

È stato in Armenia, Georgia e Azerbaijan, lì dove continente europeo e continente asiatico si toccano. È stato in Albania a settembre 2014, lì dove l’ateismo di Stato aveva cancellato ogni traccia della religione, e lo ha accolto una strada costellata dalle immagini dei martiri. È stato in Corea del Sud ad Agosto 2014, nella nazione asiatica che fu evangelizzata da laici. È stato nel gennaio 2015 nello Sri Lanka del dialogo sempre difficile, nelle Filippine dalla fede fortissima (dove ha celebrato una Messa cui hanno partecipato almeno un milione di persone) nelle pieghe incerte di una vita difficile e di una politica violenta, nel Myanmar dove si vive il dramma nascosto dei cristiani perseguitati e non solo quello dei Rohingya, nel Bangladesh ferito dagli attacchi di Dhaka. È stato a giugno 2015 a Sarajevo, la città ferita dalla guerra, a promuovere ancora una volta la sua cultura dell’incontro. E poi, nel suo Sudamerica, ha viaggiato tra Ecuador, Bolivia e Paraguay, ha fatto due tappe a Cuba ed ha svolto un viaggio in Colombia per confermare nella speranza nel settembre 2017 e un viaggio in Cile e Perù nel gennaio 2018. Ma non va dimenticato il viaggio, agognato, in Sud Sudan, anche quello un viaggio ecumenico, svolto insieme al moderatore della Chiesa di Scozia e all’arcivescovo di Canterbury. In Sud Sudan ci era arrivato dalla Repubblica Democratica del Congo, lì dove c’è stato l’incontro forse più intenso del pontificato, quello con le vittime della guerra civile.

Particolarissimo il viaggio in Thailandia e Giappone del novembre 2019: da una parte, una nazione dove i cattolici sono minoranza, ma dove comunque il dialogo è florido è dunque c’è bisogno di dare forza alla fede; dall’altra, un luogo da dove far ripartire il no alle armi nucleari, fortissimo, ma anche da dove far ripartire la fede, perché i cattolici giapponesi sono stati anche i cattolici del periodo del silenzio.

Papa Francesco è stato poi in Canada nel 2022, in un viaggio “penitenziale” per chiedere perdono di eventuali errori della Chiesa nel dramma delle scuole residenziali. Un viaggio delicato – in Canada, era il governo che gestiva le scuole e ancora lo fa – che ha toccato persino un villaggio eschimese al Polo, Iqaluit.

E ancora più particolare il viaggio in Mongolia del settembre 2023, da una sparuta minoranza di cristiani, e poi il viaggio più lungo del pontificato, che nel settembre 2024 lo ha portato a toccare l’Indonesia dalla maggioranza musulmana, la nazione più cattolica del mondo dopo il Vaticano, ovvero Timor Est, la porta della Cina, ovvero Singapore, fino ad andare oltre l’Australia in Papua Nuova Guinea.

Ci sono, poi, due posti che sono stati un crocevia importante per Papa Francesco: Bari e Cuba.

A Bari, Papa Francesco è tornato il 23 febbraio 2020, per parlare ai vescovi del Mediterraneo e lanciare un messaggio affinché il mare nostrum non sia più un cimitero, ma un luogo di pace.

Questo articolo è stato pubblicato sull’agenzia ACI Stampa [QUI]. I link nel testo originale.

Foto di copertina: Papa Francesco con il Patriarca Bartolomeo e il Patriarca Girolamo a Lesbos, marzo 2016 (Foto de L’Osservatore Romano/ACI Group).

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