La presentazione di un libro su un amore dimenticato alla corte vicereale di Napoli e il contributo di uno dei poeti più importanti del Seicento napoletano

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.04.2025 – Jan van Elzen] – Martedì 13 maggio 2025 alle ore 16.00 presso la Società Napoletana di Storia Patria a Castel Nuovo (Maschio Angioino) si terrà la presentazione del libro Un amore segreto alla corte vicereale di Napoli, nelle opere di Don Giuseppe Storace d’Afflitto (KDP 2024, 817 pagine) di Vincenzo Palmisciano e Sonia Benedetto. Introduce Vincenzo Palmisciano. Dialoga con l’autore Michele Rak, storico della fiaba e della cultura napoletana del Seicento. Interviene Nicola Trotta, sarto storico. Modera Angela Del Core. Musiche e letture di Prof. Ignacio Rodulfo Hazen, Gennaro Caruso, Ludovica Colameo e Luca Arbore. Sonia Benedetto nell’abito storico che omaggia Donna Anna Carafa di Stigliano.

Il volume si inserisce con grande rilievo nella letteratura contemporanea sulla storia e la cultura napoletana, offrendo al lettore non solo uno spaccato affascinante di una Napoli seicentesca sotto il dominio vicereale spagnolo, ma anche una minuziosa ricostruzione storica e letteraria che riesuma le opere e la figura, fino ad oggi poco conosciuta, di Don Giuseppe Storace d’Afflitto, poeta e cortigiano napoletano.
Il contesto storico in cui si muove la vicenda raccontata nel libro è il periodo vicereale spagnolo, uno dei momenti più significativi della storia di Napoli. Durante il XVII secolo, Napoli era governata dai viceré spagnoli, che rappresentavano il potere della Corona spagnola. Questo periodo fu caratterizzato da una profonda crisi economica e sociale, ma anche da una vivace attività culturale e artistica. La corte vicereale era un centro di potere e intrighi, ma anche un luogo dove fioriva la letteratura, con poeti e intellettuali che cercavano di ottenere il favore dei potenti attraverso le loro opere. In questo contesto si inserisce la figura di Don Giuseppe Storace d’Afflitto, che con i suoi scritti in italiano e in napoletano, non solo raccontava le vicende di corte, ma osava sfidare il potere spagnolo attraverso l’uso dell’ingegno e della parola.
Attraverso la ricostruzione e l’interpretazione dell’autore, rivive un amore sconosciuto del Seicento, inesorabilmente interrotto dal potere spagnolo: quello tra e il poeta di corte, Don Giuseppe Storace d’Afflitto e la Viceregina di Napoli, Donna Anna Carafa della Stadera, Principessa di Stigliano e Duchessa di Mondragone. La letteratura dà voce al desiderio di eternare la vicenda amorosa dei due, consolando la sofferenza per le angherie subite, il tradimento dell’amata e la morte di lei.

Donna Anna Carafa della Stadera (Portici, luglio 1610-Portici, 24 ottobre 1644) era una nobildonna, figlia di Antonio Carafa della Stadera e di Elena Aldobrandini. Suo padre era l’unico figlio ed erede di Luigi Carafa della Stadera, IV Principe di Stigliano e IV Duca di Mondragone, e di Isabella Gonzaga, Duchessa di Sabbioneta. Tuttavia, sia suo padre sia i suoi due fratelli maschi premorirono sia a Luigi sia a Isabella. Per questo, Anna, in quanto unica sopravvissuta, divenne erede universale di un ricchissimo bouquet di titoli e feudi. Così, oltre ai vari feudi e titoli minori, successe il padre e il nonno nei titoli di Principessa di Stigliano e Duchessa di Mondragone, e successe la nonna nel Ducato di Sabbioneta ma senza titolo ducale, poiché passò per concessione imperiale a un altro ramo dei Gonzaga. Si sposò con il nobile spagnolo Ramiro Felipe Núñez de Guzmán, che venne nominato Viceré di Napoli e la rese viceregina consorte.
Don Giuseppe Storace d’Afflitto (Sant’Agnello, 24 agosto 1605- dopo 1648) fu un poeta napoletano, compagno di studi di Girolamo Fontanella di cui rimase amico sino al 1640, quando Donna Anna Carafa della Stadera li pose in contrasto. Nel 1635 si imbarcò al seguito di suo fratello minore, il Capitano Domenico, ma la nave affondò nel mar Ligure, fortunatamente i due si salvarono. Studiò la maggior parte delle opere dei suoi contemporanei per elaborare dei componimenti frizzanti e innovativi. È molto importante per la letteratura napoletana e barocca. Considerato il “Petrarca napoletano”, con Giovan Battista Basile e Giulio Cesare Cortese costituisce le tre corone napoletane. In tutte le sue cinque opere manifestò un atteggiamento antispagnolo: Della Musa lirica, parte prima (1636); Della Musa lirica, parte seconda (composta più volte); Scherzo italiano (1645 e 1646); De la tiorba a taccone (1646); Scherzo napoletano (1648).

I coniughi Vincenzo Palmisciano e Sonia Benedetto sono due accademici, docenti di scuola, con una lunga carriera nella ricerca storica e letteraria. La loro collaborazione ha dato vita ad un’opera monumentale che si distingue non solo per il valore storico, ma anche per l’accuratezza delle traduzioni e l’approfondimento linguistico.
Vincenzo Palmisciano si dedica da anni a ricerche sulla cultura napoletana e la storia della danza. È autore di diverse pubblicazioni scientifiche per case editrici, riviste storiche (Archivio Storico per le Province Napoletane) e letterarie (Studi secenteschi).
Sonia Benedetto da anni collabora con enti culturali e associazioni nell’organizzazione di eventi culturali e percorsi di visita, come storica dell’arte e rievocatrice storica.
L’opera è impreziosita dalla ricostruzione filologica e storica delle pubblicazioni di Storace d’Afflitto, che vengono riportate tutte: cinque pubblicazioni stampate nell’arco di dodici anni, delle quali tre in italiano e due in napoletano, corredate da un ricchissimo apparato di traduzioni, presentazioni e note, oltre a un vocabolario italiano-napoletano. Tra le opere, la più nota è De la tiorba a taccone, uno dei capolavori della letteratura napoletana seicentesca, che valse all’autore l’appellativo di “Petrarca napoletano”. Un lungo, paziente, arduo e appassionato lavoro di ricerca sulle fonti archivistiche, con frequenti richiami al contesto culturale di riferimento del letterato, ha finalmente sottratto all’oblio la storia personale e familiare di quest’ultimo (nativo di Sant’Agnello di Napoli), ma anche la sua brillante e audace personalità, che affascina il lettore con un linguaggio enigmatico, mossa dal gusto per la sfida al potere, contro il quale adopera una sola arma: l’ingegno.
L’autore ha ricostruito la biografia del letterato e della sua famiglia, utilizzando documenti archivistici; ha rilevato il lavoro di traduzione, imitazione, studio e innovazione da questi svolto su opere di poeti pubblicate dopo la morte di Giulio Cesare Cortese e prima della stampa De la tiorba a taccone. Inoltre, ha dimostrato che deve essergli attribuito anche Il monte Posilipo, recante molte informazioni autobiografiche relative alla donna amata, Donna Anna Carafa della Stadera, e al conflitto che questa creò fra lui e l’amico Girolamo Fontanella. Quest’ultimo venne infatti accusato di plagio, quando la raccolta Nove cieli fu pubblicata esclusivamente a suo nome anziché anche a nome di Don Giuseppe Storace d’Afflitto. Diversi sonetti in essa contenuti non furono dichiarati frutto della sua penna, nonostante fossero stati già parzialmente pubblicati nella parte prima Della Musa lirica, di cui era in preparazione la parte seconda. Palmisciano presenta ciascun sonetto in napoletano (tradotto e commentato) delle prime sei corde De la tiorba a taccone affiancato a un componimento in italiano, perché quelli dialettali intendevano richiamare quelli italiani appartenenti a Della Musa lirica o ai Nove cieli e ingiustamente sottrattigli. L’autore attribuisce al poeta di Sant’Agnello di Napoli anche lo scherzo napoletano Rebuffo alli Spagnuoli, corredandolo di traduzione in prosa italiana e di note esplicative.
Il libro non solo si limita a raccontare una vicenda romantica e tragica, ma ha un importante valore documentale, analizzando con cura le opere di Don Giuseppe Storace d’Afflitto. Attraverso un accurato studio delle fonti, gli autori offrono una serie di aggiunte preziose per la comprensione della cultura napoletana dell’epoca. Nel volume si trovano le traduzioni in italiano di alcune parole napoletane la cui cognizione si era persa (gallo patano, na varvetta), il contenuto di libri che erano considerati dispersi (Domenico de Sanctis, Le spine di Parnaso), l’analisi e la comparazione di tante opere non considerate da altri studiosi (Giovanni di Dura, Musa lirica). L’inclusione di un vocabolario italiano-napoletano restituisce al lettore moderno la ricchezza di un dialetto che all’epoca rivaleggiava con l’italiano come lingua colta.
Nel capitolo finale, l’autrice delle introduzioni alla lettura dei sonetti in napoletano propone una rielaborazione, filologicamente attendibile, dell’abito di Donna Anna Carafa della Stadera, la musa ispiratrice del capolavoro poetico di Don Giuseppe Storace d’Afflitto. La veste, parzialmente raffigurata in un ritratto a stampa, viene esaminata e integrata attraverso le fonti iconografiche, letterarie, archivistiche e materiali, ossia i dati desunti dall’analisi di altri ritratti del periodo (in primis quelli della sovrana di Spagna, coeva della viceregina), da citazioni letterarie (versi di D’Afflitto e di suoi contemporanei), documenti d’archivio napoletani e spagnoli e originali dell’epoca.
Lo studio ha rappresentato la fase preparatoria della realizzazione dell’abito stesso, affidata a un celebre costumista teatrale, e dei gioielli che lo corredavano, riprodotti da abili artigiani napoletani. Il risultato finale viene presentato nelle foto conclusive.
Un amore segreto alla corte vicereale di Napoli, nelle opere di Don Giuseppe Storace d’Afflitto è un’opera imprescindibile per gli studiosi e per chiunque voglia approfondire la storia, la letteratura e la cultura di Napoli e del suo periodo vicereale. Attraverso un racconto appassionante, supportato da una solida ricerca storica e letteraria, gli autori riportano alla luce non solo una storia d’amore dimenticata, ma anche il contributo di uno dei poeti più importanti del Seicento napoletano.