Appello a Papa Francesco per il Venerdì Santo: «Tiri giù Becciu dalla croce»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.04.2025 – Ivo Pincara] – Presso l’ONU sono state depositare delle chat, originalmente segretate dal Promotore di giustizia vaticano, il Prof. Avv. Alessandro Diddi, rese note dal quotidiano Domani, che stanno terremotando il processo contro il Cardinale Angelo Becciu, condannato a cinque anni e sei mesi per truffa e peculato, nonostante il dibattito in aula ha dimostrato senza ombra di dubbi la sua innocenza. Oggi, Venerdì Santo, Vittorio Feltri chiede su il Giornale al Papa di ristabilire in Vaticano verità e giustizia.

Chi tace è complice
e altrettante colpevole

  • “Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine” – 14 aprile 2025 [QUI]
  • Verso la fine della cospirazione dell’inganno e della tragica farsa della (in)giustizia vaticana: “Abbiamo cucinato il cardinale”. “I pm? Io lavoro per il Papa” – 16 aprile 2025 [QUI]
  • 17 aprile 2025: Nuove chat che compromettono il Sostituto della Segreteria di Stato e il Promotore di Giustizia vaticano + Un post del 17 aprile 2024 e un riassunto del “caso Becciu” – 17 aprile 2025 [QUI]
  • Indice – Caso 60SA [QUI]
  • Rassegna stampa sul “caso Becciu di Andrea Paganini [QUI]

Proseguiamo la nostra copertura dello scandalo della (in)giustizia vaticano, con due interventi:

  • Lo scandalo in Vaticano. Quel che non si dice su Becciu di Vittorio Feltri su il Giornale del 18 aprile 2025

«Ci sono frasi che valgono come quelle che nei gialli si chiamano “pistole fumanti”. Ecco alcuni messaggi. Scrive Chaouqui: “Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine” (tutti: cioè le due donne e Diddi e la gendarmeria). Scandalizzata dalla immoralità di questa conduzione delle indagini, la Ciferri scrive al vescovo Parra, numero 3 del Vaticano, forse per farsi assolvere: «(La Chaouqui) conosce tutti i dettagli dell’inchiesta vaticana. Da chi, e come attinge queste informazioni sensibili? (…) La sostanza è questa. Il processo è marcio. (…) mi rivolgo al Papa. Non conosco indirizzo più umano di questo. Oggi è il Venerdì Santo: ne basta uno di Cristo in croce. Santo Padre, lei che può, stacchi i chiodi, e tiri giù da quel legno il cardinale Becciu. In questi giorni è diventato chiaro come il sole che c’è stata una macchinazione, di cui anche Lei è stato vittima, inducendola ad applicare una crocifissione preventiva, tanto le prove le parvero inequivocabili. (…) I giornalisti – e i vaticanisti non sono da meno – si conformarono alla regola aurea della sopravvivenza dei mediocri: dar ragione all’accusatore. (…) La prego perciò (…) di eliminare con atto sovrano – un colpo secco di bisturi – questo tumore che è cresciuto in Vaticano a colpi di intrigo. Tiri giù Becciu dalla croce».

  • Vaticano, la notte del diritto. Perché abbiamo il dovere di chiedere giustizia all’Italia di Cataldo Intrieri su Domani del 17 aprile 2025

«L’affaire Chaouqui e l’opera di inquinamento sono fatti risaputi a chi abbia seguito il processo. Lo scandalo è stato soffocato occultando con omissis il contenuto delle chat tra la signora, monsignor Perlasca e una sua amica, Genoveffa Ciferri, che ora rende pubblici migliaia di messaggi su questo oscuro rapporto. Per tali motivi noi difensori abbiamo in animo, con delle denunce, di sollecitare l’intervento della magistratura per i fatti realizzati sul territorio italiano. (…) nel cuore della cristianità e dell’Europa degli Stati di diritto, opera una giurisdizione svincolata dalla Rule of The law e dal rispetto del diritto di difesa, una vera e propria autocrazia giudiziaria che condanna, arresta, sequestra beni senza rispettare la volontà ed i principi degli Stati dell’Unione europea a cui a parole dichiara di ispirare il suo sistema giudiziario. Un tema oggi di enorme portata e sul quale lo Stato della Chiesa dovrebbe essere un faro di civiltà e non un pessimo esempio. (…) parliamoci chiaro, se gli imputati incarnano certi modelli che il dilagante populismo ripudia, dall’alto prelato “con le mani in pasta” al finanziere spregiudicato, al funzionario trafficone, perfino la femme fatale, tra leggenda e realtà meglio vinca la favola su cui impancare il mito populista di inesistenti rivoluzioni e palingenesi etiche. L’affaire Chaouqui, i suoi vantati legami con i vertici della giustizia e dello Stato vaticano, l’opera di inquinamento processuale, la sua «missione per conto di Dio» spinta sino alla subornazione di un teste tramite minacce e pressioni, sono fatti risaputi e ben noti a chi abbia seguito il processo. (…) crediamo che in un tempo buio in cui il senso della giustizia e del diritto sembrano persi anche nei paesi liberi, non sia tollerabile che il simbolo della rivoluzione cristiana e di tutti gli ideali più nobili dell’umanità spenga “la democrazia nell’oscurità”».

Lo scandalo in Vaticano
Quel che non si dice su Becciu
di Vittorio Feltri
il Giornale, 18 aprile 2025

Da tre giorni il quotidiano Domani sta squadernando i messaggi che si sono spedite le due accusatrici principali del cardinale Angelo Becciu (condannato a cinque anni e sei mesi per peculato).  Sono le chat segrete che rivelano la trama occulta su cui si regge il processo contro il prelato sardo. In esse Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri concordano le accuse per incastrare il cardinale. Stanno lavorando – si sostengono a vicenda – d’accordo con il promotore di giustizia (il procuratore) Alessandro Diddi e i capi della gendarmeria vaticana. Cominciano ad accordarsi quando le indagini sono ancora nelle primissime fasi. Le signore hanno per questo a disposizione carte segretate.  Conoscono in anticipo quel che faranno i magistrati e chi costoro intendono prosciogliere e chi condannare. La Chaouqui garantisce a Genoveffa che d’accordo con Diddi farà prosciogliere il monsignore amico suo (Perlasca), purché riesca a incastrare il cardinale facendolo intercettare. Al che Genoveffa si presta a fare l’agente sotto copertura in Italia: «Buongiorno Francesca. Scrivimi per bene quella cosa che desiderano i magistrati». Ed ecco scatta la trappola (in Italia, indagini fuori dallo Stato coordinate dal Vaticano?)

Gli scritti tramite WhatsApp erano stati in realtà consegnati al procuratore Diddi dalla Ciferri perché fossero acquisiti durante il processo. Furono coperti da omissis, erano più di cento.

Ci sono frasi che valgono come quelle che nei gialli si chiamano “pistole fumanti”. Ecco alcuni messaggi. Scrive Chaouqui: «Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine» (tutti: cioè le due donne e Diddi e la gendarmeria). Scandalizzata dalla immoralità di questa conduzione delle indagini la Ciferri, scrive al vescovo Parra, numero 3 del Vaticano, forse per farsi assolvere: «(La Chaouqui) conosce tutti i dettagli dell’inchiesta vaticana. Da chi, e come attinge queste informazioni sensibili? Come è stato possibile che una casalinga quale sono io, che abita sotto una montagna, possa, in tempo reale, essere messa al corrente di informazioni tanto riservate e dettagliate?».

Altri messaggi li ha riferiti Filippo Manti su ilgiornale.it di lunedì. La sostanza è questa. Il processo è marcio. Finisco qui con la cronaca di questi giorni. I giornaloni tacciono. Ovvio.

Consapevole che ha altro da fare, mi rivolgo al Papa. Non conosco indirizzo più umano di questo.

Oggi è il Venerdì Santo: ne basta uno di Cristo in croce.  Santo Padre, lei che può, stacchi i chiodi, e tiri giù da quel legno il cardinale Becciu. In questi giorni è diventato chiaro come il sole che c’è stata una macchinazione, di cui anche Lei è stato vittima, inducendola ad applicare una crocifissione preventiva, tanto le prove le apparvero inequivocabili. Lo ha esposto al mondo come traditore e ladro, sfogliando l’Espresso, che le fu presentato come fosse la Bibbia. Erano le 18 e 02 di giovedì 24 settembre del 2020 quando il cardinale faceva il suo ingresso nello studio papale di Santa Marta. Ne usciva poco più di venti minuti dopo avvolto dall’incredulità di quando ti si aprono le porte degli abissi e tu ci stai volando dentro come in un sogno, ma sogno non era. Alle 20 e 18 il Tg1 diede la notizia. Per cinquantasei giorni nessuno alzò una parola in difesa dell’accusato. Per rispetto, il Pontefice lo lasciò cardinale, privandolo però delle prerogative tra cui quella decisiva di entrare in conclave: un sacco vuoto di color porpora, come una beffa di Carnevale.

I giornalisti – e i vaticanisti non sono da meno – si conformarono alla regola aurea della sopravvivenza dei mediocri: dar ragione all’accusatore. Negli anni ho acquisito l’attitudine a non bere dal bicchiere degli inquirenti. Feci lo stesso con l’affare Becciu. Ho esercitato l’intuito, come mi era capitato nei casi di Tortora e successivamente di Stasi. Usare logica e buon senso. Attingere a fonti alternative. Il 19 novembre del 2020, in perfetta solitudine, Libero, che allora dirigevo, aprì la prima pagina con questo titolo: «Sacro imbroglio in Vaticano». Occhiello: «Le carte assolvono il cardinale Becciu». Andrebbe benissimo anche per lo scoop del Domani, dopo quattro anni e cinque mesi dal mio. Per tre giorni consecutivi e quindi per settimane, e mesi, e ancora in vari interventi da quando sono rientrato a il Giornale, ho battuto sul tema, cercando di schiodare il cardinale dal patibolo.

Sono ormai quasi cinque anni che dal povero cristo di Ozieri cola sangue che nessuno tra i suoi colleghi principi della Chiesa osa tamponare, e la faccia del piccolo prete sardo è riempita di sputi che il mondo intero gli ha tirato addosso, senza una Veronica che gli asciugasse la faccia. Ci siamo trovati un muro di silenzio o di dileggio davanti, salvo colleghi illuminati come Ernesto Galli Della Loggia, Giovanni Minoli e Lucetta Scaraffia che hanno dovuto usare il loro prestigio per rompere il lucchetto della censura.

Devo alle indagini dell’avvocato Natale Callipari alcune scoperte devastanti. Il sito web de L’Espresso anticipò di 8 ore e mezza la notizia delle dimissioni chieste da Lei e ottenute da Becciu. E ancora. Genoveffa Ciferri – e Callipari raccolse testimonianze precise sin dal 2020 – gridò ai parenti di Becciu che avrebbe perso il cardinalato. Non era l’urlo di una pazza, ma la voce dal sen fuggita di una congiurata infelice.

La condanna non è stata soltanto un errore giudiziario, l’esito di maneggi che hanno bacato l’indagine e – soprattutto – ingannato Sua Santità. Lei, Francesco, è l’unico ad avere avuto il coraggio, sin dall’inizio, di invocare trattative per la pace. Purtroppo nel vasto mondo il Papa ha potere solo sulle coscienze; però nel suo Stato è sovrano assoluto. La prego perciò, non in nome di un’autorità morale che non ho, ma per i miei precedenti di rabdomante delle ingiustizie, di eliminare con atto sovrano – un colpo secco di bisturi – questo tumore che è cresciuto in Vaticano a colpi di intrigo. Tiri giù Becciu dalla croce.

L’INTERVENTO
Vaticano, la notte del diritto
Perché abbiamo il dovere di chiedere giustizia all’Italia
di Cataldo Intrieri, avvocato difensore di Fabrizio Tirabassi
Domani, 17 aprile 2025

Gentile direttore, l’inchiesta giornalistica che Domani nell’assoluto silenzio degli altri organi di informazione sta conducendo sull’ennesimo inquietante retroscena di ciò che viene definito «il processo Becciu» ma meglio sarebbe dire «il processo dei dieci», dal numero dei cittadini italiani imputati e condannati con un «ingiusto processo», ha molti meriti. Uno in particolare: (di)mostrare che nel cuore della cristianità e dell’Europa degli Stati di diritto opera una giurisdizione svincolata dalla Rule of the law e dal rispetto del diritto di difesa, una vera e propria autocrazia giudiziaria che condanna, arresta, sequestra beni senza rispettare la volontà e i principi degli Stati dell’Unione europea a cui a parole dichiara di ispirare il suo sistema giudiziario. Un tema oggi di enorme portata e sul quale lo Stato della Chiesa dovrebbe essere un faro di civiltà e non un pessimo esempio. Più volte si è scritto (a opera anche di insigni vaticanisti che hanno firmato articoli e volumi) dei quattro provvedimenti legislativi (rescritti) adottati dal papa dietro riservata e specifica sollecitazione del promotore di giustizia, l’organo della pubblica accusa alle sue dirette dipendenze, a cui sono stati concessi “pieni poteri” in deroga ad alcune garanzie difensive. In particolare è stato conferito potere di adottare misure cautelare personali e strumenti d’indagine estremamente invasivi come le intercettazioni telefoniche, addirittura all’interno della Segreteria di Stato, il tutto estromettendo il controllo del giudice, e tutto questo a valere solo per un unico processo e solo per dieci cittadini italiani. Un arbitrio che nessuno Stato di diritto può e deve tollerare. Invece lo si è tollerato perché evidentemente ci sono autocrazie e autocrazie, alcune da mettere al bando, altre su cui sorvolare. E poi perché, Parliamoci chiaro, se gli imputati incarnano certi modelli che il dilagante populismo ripudia, dall’alto prelato “con le mani in pasta” al finanziere spregiudicato, al funzionario trafficone, perfino la femme fatale, tra leggenda e realtà meglio vinca la favola su cui impancare il mito populista di inesistenti rivoluzioni e palingenesi etiche. L’affaire Chaouqui, i suoi vantati legami con i vertici della giustizia e dello Stato vaticano, l’opera di inquinamento processuale, la sua «missione per conto di Dio» spinta sino alla subornazione di un teste tramite minacce e pressioni sono fatti risaputi e ben noti a chi abbia seguito il processo. Lo scandalo è stato soffocato occultando con gli omissis del promotore il contenuto delle chat tra la signora Chaouqui, monsignor Perlasca, alto dirigente della Segreteria di Stato, e una sua amica, Genoveffa Ciferri, che ora ha improvvisamente deciso di rendere pubblici migliaia di messaggi su questo oscuro rapporto. È stato soffocato dal tribunale che ha espressamente vietato ai difensori ogni domanda sui rapporti tra Chaouqui e i vertici della Chiesa di cui ella si vantava di essere diretta emanazione. Per tali motivi noi difensori abbiamo in animo, tramite denunce, di sollecitare l’intervento della giustizia italiana, ancora indipendente, per i fatti illeciti che riteniamo siano stati realizzati, almeno in parte, sul territorio italiano ai sensi dell’art. 6 cp. Lo faremo non solo per adempiere a un dovere professionale, ma perché crediamo che, in un tempo buio in cui il senso della giustizia e del diritto sembrano persi anche nei paesi liberi, non sia tollerabile che il simbolo della rivoluzione cristiana e di tutti gli ideali più nobili dell’umanità spenga «la democrazia nell’oscurità».