La pace impossibile. Il drago azero tiene la sua scimitarra sopra la testa degli Armeni

Aliyev e Pashinyan
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.04.2025 – Renato Farina] – Il Molokano mantiene le promesse. E dunque parlerà del destino di Komitas, il grande musicista Armeno deportato dai Turchi nell’aprile del 1915, e di quale scelta estrema adottò dinanzi al genocidio del proprio popolo, lui che era stato salvato dalla morte perché protetto dalla sua fama internazionale e dalla predilezione per lui della figlia del Sultano. Prima però l’attualità, o la quasi attualità. E a questo punto Komitas e il suo sacrificio verranno buoni per costringerci alla vigilanza.

Aliyev e Pashinyan
Ilham Aliyev e Nikol Pashinyan.

La notizia è che intorno alla metà di marzo le istituzioni internazionali tirarono (preferisco usare il passato remoto, purtroppo) un respiro di sollievo. Il Segretario del Consiglio d’Europa, il Francese Alain Berset ha accolto con favore – dice un comunicato ufficiale emanato da Strasburgo – l’annuncio dell’Armenia e dell’Azerbaigian sulla conclusione dei negoziati sulla bozza dell’Accordo sulla pace e l’istituzione di relazioni interstatali. Dice Berset: “Al momento dell’adesione al Consiglio d’Europa nel 2001, entrambi i Paesi si sono impegnati a lavorare per una cooperazione pacifica. Questa bozza dell’accordo dimostra la volontà di entrambi gli Stati membri di realizzare questo potenziale e di costruire una pace stabile e duratura nella regione. È ora fondamentale mantenere questo slancio e assicurare il regolare completamento di questo processo, nello spirito delle relazioni di buon vicinato e nel pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di entrambi i paesi, in linea con lo Statuto del Consiglio d’Europa. Il Consiglio d’Europa sostiene pienamente la normalizzazione delle relazioni tra l’Armenia e l’Azerbaigian e continuerà a fornire il suo sostegno e la sua assistenza a entrambi gli Stati membri, in particolare con l’obiettivo di garantire il pieno rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto”.

Ottimo e abbondante. Nessun quotidiano italiano ha dato spazio a questa notizia, nessun articolo. Perché? Un’idea ce l’ho, e mi brucia il cuore: perché è un’altra bolla di sapone molto colorata, che galleggia nell’aria, ma le sue prospettive di trasformarsi in solida realtà sono nulle, o quasi.

Subito dopo la conquista totale (settembre 2023), armi in pugno, da parte di Azerbaigian e Turchia dell’Artsakh (o Nagorno-Karabakh, nella dizione internazionale), con la cacciata di circa 106mila Armeni dalla loro terra, compresi i monaci dai monasteri, cominciò subito il tentativo di impedire il peggio da parte del governo armeno.

Il Primo Ministro di Erevan Nikol Pashinyan aveva pensato di spegnere l’appetito del vincitore, preponderante per arsenale e appoggi internazionali, accettando formalmente la sovranità azera della culla della civiltà armena, l’Artsakh! pullulante e palpitante cuore dell’Armenia nello spazio geografico dell’Azerbaigian.

Gli Azeri insistevano però erodendo i confini, prendendo questo e quel villaggio. Il dittatore presidente Ilham Aliyev arrivò a sostenere che l’intera Armenia era da considerarsi Azerbajgian occidentale, e ponendo le premesse per giustificare l’invasione. Pashinyan propone una pace che fissi i confini una volta per tutte. Consegna definitiva, oltre all’Artsakh, di quattro villaggi reclamati da Baku. Un sacrificio niente affatto gradito da una buona parte dei tre milioni di Armeni residenti nel Caucaso, ma rifiutato recisamente dalla maggioranza di quelli (circa sette milioni) della diaspora. Stalin aveva assegnato la culla con l’antico bambini dentro (il popolo), alla Repubblica Socialista di Azerbaigian. Era stata un’atroce e beffarda sfida alla nazione armena, un furto di identità clamoroso. Che fare nella attuale situazione? Inaccettabile arrendersi (in teoria e col cuore). Inevitabile arrendersi (salvando il salvabile).

Di qui la trattativa di pace e la bozza di accordo con il cuore (armeno) sanguinante.

Un punto tuttavia era stato escluso, per essere trattato in una successiva fase. La questione del collegamento tra l’Azerbaigian e il Nakhchivan,  l’exclave azera in Armenia, separata dalla terra madre da un lembo di Armenia. Baku vuole che questa strada si chiami con il nome azero, con ciò trasformandola in proprio possesso, Erevan non accetta una simile capitolazione. Si potrà trovare un accordo con adeguate garanzie presto, ma intanto si firmi quel che è stato stabilito: cioè il disegno dei sacri confini!

Signora Europa, Signora Italia

Niente da fare. O tutto o niente, dice ora Baku, dopo aver annunciato per primo l’accordo raggiunto per metterci sopra il cappello, o meglio la scimitarra, e poi rifiutando di firmarlo. In realtà si tratta di un ricatto penoso. Aliyev chiede anche, come precondizione per la firma, il cambiamento di due punti della Costituzione armena dove si afferma l’identità armena (indiscutibile peraltro) dell’Artsakh. Pashinyan l’avrebbe fatto, l’aveva già spiegato ai connazionali. Ma se lo facesse sulla base di un obbligo imposto da un altro Stato, sarebbe una sottomissione senza dignità, assumendo lo status di colonia turca.

In realtà, il drago azero vuole tenere la sua zampa sopra la testa dell’Armenia, non intende chiudere l’accordo, preparando il pretesto per una prossima aggressione.

Una dittatura non riconosce il genocidio accaduto ad un popolo è perché si prepara a rifarlo dicendo che tanto non è un genocidio.

Signori dell’Unione Europea, Signora Italia di voi miei fratelli soprattutto, so che avete bisogno del gas azero, ma esercitate la pressione necessaria in modo benevolo, sereno, perché intanto il vostro fornitore Aliyev firmi la pace fissando i confini. La logica del tutto o niente che pretende Baku significa che il più forte vuole il niente per poter divorare tutto.

E qui siamo a Komitas. Ma accidenti lo spazio è finito. Prometto: racconto di lui nel mese di maggio, quello delle rose.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di aprile 2025 di Tempi in formato cartaceo.

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