Papa Francesco: nella malattia Dio non ci lascia soli

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“Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della donna colta in adulterio. Mentre gli scribi e i farisei vogliono lapidarla, Gesù restituisce a questa donna la bellezza perduta: lei è caduta nella polvere; Gesù su quella polvere passa il suo dito e scrive per lei una storia nuova: è il ‘dito di Dio’, che salva i suoi figli e li libera dal male”: mentre mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, leggeva le prime parole dell’Angelus scritte da papa Francesco, egli è apparso in piazza san Pietro salutando i presenti al giubileo dei malati e della sanità, ringraziando per le preghiere.

Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato la cura che si deve agli ammalati: “Carissimi, come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il ‘dito di Dio’ e sperimento la sua carezza premurosa. Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro”.

Inoltre ha chiesto di pregare per tutti coloro che lavorano nella sanità: “E prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni. La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata. Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri”.

Infine ha pregato per la pace nel mondo: “Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini. E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita. Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione.

Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti, dove infuria la violenza, che alcuni giorni fa ha ucciso due religiose”.

Nella celebrazione eucaristica l’omelia del papa, letta da mons. Fisichella, è stato sottolineato la novità di Dio: “Sono le parole che Dio, attraverso il profeta Isaia, rivolge al popolo d’Israele in esilio a Babilonia. Per gli Israeliti è un momento difficile, sembra che tutto sia andato perduto. Gerusalemme è stata conquistata e devastata dai soldati del re Nabucodonosor II e al popolo, deportato, non è rimasto nulla. L’orizzonte appare chiuso, il futuro oscuro, ogni speranza vanificata. Tutto potrebbe indurre gli esuli a lasciarsi andare, a rassegnarsi amaramente, a sentirsi non più benedetti da Dio”.

In tale situazione c’è l’invito a vedere la novità: “Eppure, proprio in questo contesto, l’invito del Signore è a cogliere qualcosa di nuovo che sta nascendo. Non una cosa che avverrà in futuro, ma che già accade, che sta spuntando come un germoglio. Di che si tratta? Cosa può nascere, anzi cosa può essere già germogliato in un panorama desolato e disperato come questo?”

E’ la nascita di un popolo: “Quello che sta nascendo è un popolo nuovo. Un popolo che, crollate le false sicurezze del passato, ha scoperto ciò che è essenziale: restare uniti e camminare insieme nella luce del Signore. Un popolo che potrà ricostruire Gerusalemme perché, lontano dalla Città santa, con il tempio ormai distrutto, senza più poter celebrare solenni liturgie, ha imparato a incontrare il Signore in un altro modo: nella conversione del cuore, nel praticare il diritto e la giustizia, nel prendersi cura di chi è povero e bisognoso, nelle opere di misericordia”.

Ugualmente avviene nel Vangelo: “Pure qui c’è una persona, una donna, la cui vita è distrutta: non da un esilio geografico, ma da una condanna morale. E’ una peccatrice, e perciò lontana dalla legge e condannata all’ostracismo e alla morte. Anche per lei sembra non ci sia più speranza. Ma Dio non l’abbandona. Anzi, proprio quando già i suoi aguzzini stringono le pietre nelle mani, proprio lì, Gesù entra nella sua vita, la difende e la sottrae alla loro violenza, dandole la possibilità di cominciare un’esistenza nuova”.

Quindi le letture di questa domenica quaresimale indicano la necessità di porre la fiducia in Dio: “Con questi racconti drammatici e commoventi, la liturgia ci invita oggi a rinnovare, nel cammino Quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci. Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo. Anzi, specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci”.

Questo è vero anche nei momenti di malattia: “Sorelle e fratelli, noi leggiamo questi testi mentre celebriamo il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, e certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro.

Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza e sa bene che cos’è il patire. Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”.

E la malattia si può trasformare in un ‘luogo santo’: “Ma non solo. Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, ‘angeli’, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un ‘luogo santo’ di salvezza e di redenzione”.

Poi si è rivolto ai medici ringraziando per le cure offerte ai malati: “Cari medici, infermieri e membri del personale sanitario, mentre vi prendete cura dei vostri pazienti, specialmente dei più fragili, il Signore vi offre l’opportunità di rinnovare continuamente la vostra vita, nutrendola di gratitudine, di misericordia, di speranza.

Vi chiama a illuminarla con l’umile consapevolezza che nulla è scontato e che tutto è dono di Dio; ad alimentarla con quell’umanità che si sperimenta quando, lasciate cadere le apparenze, resta ciò che conta: i piccoli e grandi gesti dell’amore. Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione”.

Un ultimo pensiero è stato rivolto agli ammalati, che possono sperimentare la misericordia di Dio: “Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno. Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire.

La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: ‘Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’ E così rinnovare e rafforzare la fede”.

L’omelia è stata conclusa con un pensiero di papa Benedetto XVI, che ha sperimentato la malattia: “Benedetto XVI (che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia) ha scritto che ‘la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza’ e che ‘una società che non riesce ad accettare i sofferenti… è una società crudele e disumana’. E’ vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità”.

(Foto: Vatican Media)

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