Un gigante della storia e un faro di libertà

Manifesto
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.04.2025 – Jan van Elzen] – Sono trascorsi venti anni da quando concludeva il suo cammino terreno San Giovanni Paolo II, un Papa eccezionale “venuto da un Paese lontano”. Tante sono in questa occasione gli eventi commemorativi. Tra questi il Convegno Vent’anni senza Giovanni Paolo II-L’uomo che abbatté i muri, promosso dalla Fondazione Alleanza Nazionale in collaborazione con Il Secolo d’Italia il 26 marzo 2025 alle ore 17.30 nella prestigiosa Sala Koch del Senato, «per ricordare il contributo straordinario dato dal pontefice polacco all’abbattimento del comunismo. Ha lasciato un segno indelebile sul piano valoriale e su quello politico e sociale», hanno affermato gli organizzatori.

«Un evento che ha come obiettivo ricordare il ruolo straordinario del pontefice polacco nella storia italiana, la cui eredità spirituale e politica continua a influenzare il mondo. Giovanni Paolo II è stato una figura centrale del XX secolo, lasciando un segno indelebile non solo nella Chiesa e sul piano valoriale, ma anche su quello politico e sociale. Il suo contributo è stato determinante nell’avviare il processo politico che ha portato alla caduta del Muro di Berlino, rappresentando al tempo stesso una guida spirituale di straordinaria autorevolezza e un faro di libertà per milioni di persone».

«Oggi, se i suoi connazionali polacchi e i cittadini di molti Paesi dell’Europa centrale e orientale possono esercitare i loro diritti democratici e professare liberamente la propria fede, è anche grazie all’impegno di Papa Wojtyła. Con la stessa fermezza con cui ha difeso le radici Cristiane, ha promosso il dialogo interreligioso, dimostrando un’incredibile capacità di abbattere barriere in nome della fratellanza tra i popoli».

«Karol Wojtyła non fu solo un Pontefice, capo della Cristianità, capace di portare il Vangelo in ogni angolo del mondo. Fu uno “statista”, un anticipatore, tra le altre cose, delle Giornate Mondiali della Gioventù, diventati veri e propri appuntamenti generazionali. Il suo carisma e la forza della sua parola contribuirono in modo determinante a dare una spallata al sistema del comunismo di derivazione sovietica. Un gigante. Tanti gli aspetti del suo Pontificato che saranno evidenziati durante il convegno».

Ad aprire il Convegno sono stati il Presidente della Fondazione Alleanza Nazionale, Giuseppe Valentino, e il Vicepresidente, Roberto Menia. È seguita l’introduzione di Francesco Giubilei, Direttore Scientifico della Fondazione. Gli interventi e la discussione sono stati coordinati dal Vicepresidente della Fondazione, Antonio Giordano, e moderati da Nina Fabrizio, vaticanista dell’ANSA e di QN. Sono intervenuti Giulio Tremonti, Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati; Andrea Riccardi, biografo di Giovanni Paolo II, e Mario Prignano, Caporedattore centrale di RAI Tg1. I lavori del Convegno si sono chiusi con un messaggio del Presidente del Senato, Ignazio La Russa.

In riferimento del Convegno abbiamo ricevuto una Lettera Aperta indirizzata al Presidente della Fondazione Alleanza Nazionale, Giuseppe Valentino, e per conoscenza ai due Vicepresidenti, Antonio Giordano e Giuseppe Menia, che qui di seguito riportiamo.

«Caro Presidente,

abbiamo partecipato volentieri e con grande interesse all’importante evento sulla figura di Giovanni Paolo II, svoltosi nella prestigiosa sala del Senato intestata all’architetto che, con il suo segno, ha progettato alcuni degli edifici più importanti di Roma Capitale.

Oltre ai vertici della Fondazione, la fondamentale figura del Pontefice che ha “abbattuto i muri” è stata degnamente ricordata, con un significativo messaggio, dalla seconda carica dello Stato, il Senatore Ignazio La Russa, che ne ha evidenziato l’impulso per il ritorno alla libertà nell’Est dell’Europa e la costruzione di una coesione europea fondata sulla pace e la libertà dei popoli.

In quanto ai relatori esterni, oltre alle interessanti ed originali notazioni sulla figura Pontificale del giornalista Rai Mario Prignano e al quadro contestuale dell’evoluzione del Continente tratteggiato, secondo i suoi noti schemi interpretativi, dal Presidente della Commissione Affari Esteri e comunitari della Camera, professor Giulio Tremonti, ha svolto un importante intervento il professor Andrea Riccardi, autore di una nota biografia del pontefice polacco.

Ed è su quest’ultimo aspetto che desideriamo richiamare la tua attenzione.

Pur comprendendo le buone intenzioni che ne hanno determinato la scelta come relatore, le specifiche argomentazioni e il senso complessivo del pontificato wojtyłiano, come sono state offerte all’auditorio, non hanno dato riscontro alle sensibilità storiche e culturali con le quali la destra legge, da sempre, l’operato dello straordinario Pontefice.

I primari meriti attribuibili a Karol Wojtyła, a nostro avviso, riguardano l’insegnamento della Chiesa sul piano dottrinale e sociale, il suo ruolo nella storia, la riaffermazione di una visione ampia dell’Europa, il superamento e la sconfitta del marxismo.

Con il suo pontificato si realizzarono: la ripresa della autorevolezza della Sede Romana e della Tradizione della Chiesa Cattolica, attraverso  una visione universale che non mancò di porre al centro l’Europa, con la “svolta” dell’abbattimento del muro che, oltre Berlino, divideva essa stessa (Esortazione apostolica Ecclesia in Europa); la riconferma dell’indirizzo sociale del cattolicesimo nella tradizionale terza via (Enciclica Centesimus Annus); la “conferma” con la riaffermazione delle certezze dottrinali e della fondatezza dell’atto morale (Enciclica Veritatis splendor); il significativo ritorno al rapporto tra fede e ragione (Enciclica Fides et ratio).

Questi capisaldi del pensiero, le straordinarie affermazioni di principio esposte da Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato, la sua operosa attività per il riscatto dei popoli dell’oriente europeo, costituiscono il lascito, l’eredità, il vero, immenso, dono che, ancora oggi, sentiamo di riconoscere ad una figura che ha riconsegnato all’Europa ed alla cattolicità il segno di una missione storica e di una vocazione universale che coglie le attese di popoli e nazioni che soffrono tempi di crisi identitaria e di disordine etico, di guerre e di nuove povertà. Tutto ciò ebbe anche il merito di riordinare le linee essenziali di una visione che poteva contribuire ad ispirare una corretta via della politica.

È stato scritto, a suo tempo, che “Papa Wojtyła sentiva la necessità di impegnare la Chiesa nella storia”, certo in ciò interpretando una giusta esigenza del Vaticano II, tuttavia – andrebbe sempre precisato – circoscrivendo lo spazio in tale senso, occupato dai teologi progressisti che presuntivamente ambivano ad attribuirlo a se stessi, anche, in particolare, attraverso i sostenitori dello “spirito del Concilio” della “scuola di Bologna”, esponente quell’Alberto Melloni, critico di Paolo VI e di Papa Wojtyła. Sullo stesso Vaticano II, in continuità con Paolo VI e seguito da Benedetto XVI, affermò l’ermeneutica della continuità, senza spazi per forzate e inesistenti interpretazioni rivoluzionarie.

Sul piano del contrasto al relativismo, anticipò la grande stagione dottrinale di Benedetto XVI, con quella Enciclica, già menzionata, che riaffermava il primato del “Dio Creatore” e l’”obbedienza alla verità”, non fermandosi, tuttavia, al solo elemento dottrinale. Infatti, nella lettera Motu proprio del maggio del 1998, con la quale aggiungeva un canone al codice di diritto canonico: “Ad tuendam fidem”, stabilì l’obbligo di difendere la Fede e punire “chi insegni una dottrina condannata dal Romano Pontefice” o “non obbedisca alla Sede Apostolica o all’Ordinario o al Superiore che legittimamente gli comanda o gli proibisce”, essendo principio di identità, prima che di dialogo.

Coerente con questa impostazione, diede uno spazio enorme, comprendendone l’importanza, alla Congregazione per la Dottrina della Fede che produsse con Joseph Ratzinger numerosi documenti fondamentali, a partire da Donum vitae (Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione), che svilupparono quei “principi non negoziabili” su cui si fondò, successivamente, la pastorale dei vescovi negli anni del Cardinale Camillo Ruini.

Ed a proposito della Fede, l’importanza della Enciclica Fides et ratio del 1998, ristabiliva l’autorità dottrinale di San Tommaso, sconfessando i teologi progressisti, riallacciandosi all’Humani generis, scritta da Pio XII, ricomponendo un indirizzo teologico, contestato da influenti correnti del pensiero moderno e che veniva espresso magnificamente nell’incipit del documento: “ La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la comprensione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere Lui perché conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su sé stesso”.

Anche nell’aspetto sociale Giovanni Paolo II confermò l’impegno , espresso negli insegnamenti della Dottrina Sociale, ispirata dai “fondamenti di una società organica” di Giuseppe Toniolo, che da Leone XII in poi caratterizzarono l’opera della Chiesa, tanto è vero che, oltre ai documenti come la Laborem exercens e la Sollecitudo rei sociali, espose nella Centesimus annus della Rerum novarum la coerenza di un insegnamento, che ha affrontato la “questione operaia”, superando il “conflitto tra capitale e lavoro”, difendendo la “dignità del lavoratore e del lavoro”, il “giusto salario”, per lui e ”la sua famiglia”.

Insomma, esponendo e confermando una dottrina alternativa a marxismo e capitalismo, denunciando le false promesse del primo e le ingiustizie del secondo, proponendo uno sviluppo non esclusivamente economico, ma in un senso integralmente umano.

Di questi essenziali aspetti del lascito wojtyłiano, nella relazione del Professor Riccardi, abbiamo riscontrato un insufficiente o nullo riferimento. Nessuna esplicita menzione di questi documenti, pur mirabili nei fondamenti dottrinari e culturali; così come alcuna adeguata considerazione per la stessa visione dell’Europa che Wojtyła definiva “grande casa comune all’interno della quale ogni popolo deve poter esprimere la peculiare ricchezza che lo contraddistingue”, specificando nell’allocuzione al V Simposio dei Vescovi europei il 2 ottobre del 1982 che tale evento “attesta[va] in effetti la vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono dall’Atlantico agli Urali”.

Non mancando, l’illustre Pontefice, di esortare l’Europa a recuperare la sua identità, come, un mese dopo, a Santiago di Campostela: ”Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà”.

Anzi, tutti abbiamo avuto modo di ascoltare che tale configurazione dell’Europa, secondo Riccardi, apparirebbe “superata”.

Oltre a tali aspetti assenti o solo parzialmente sfiorati, alcuni contenuti dell’intervento del Professor Riccardi richiedono, a nostro avviso, alcune precisazioni. Esso preliminarmente, ha inteso correlare, attraverso le parole di un colloquio che ebbe con Lui, le preoccupate remore verso il comunismo e la dimenticanza del “male del nazismo”.

Ora, non vi è dubbio che ambedue tali ideologie e regimi hanno prodotto tragedie, dolori, schiavitù dei popoli, e, per quanto riguarda il nazismo,  la particolarità della persecuzione antisemita ne ha ulteriormente collocato il male nel rango dell’assolutezza, tuttavia, sul piano della storia, l’opera di liberazione verso il comunismo, a cominciare dalla terra polacca, con il sostegno a Solidarnosc e all’azione di Lech Wałesa, ha oggettivamente contribuito in modo determinante per la fine del sistema politico e sociale comunista in Europa dell’Est. Qui, soprattutto, ha operato Wojtyła e questo è il suo merito storico.

Anche il concetto con il quale Riccardi riconosce, in Wojtyła, “la centralità dell’Europa nella missione della Chiesa Cattolica” che, tuttavia, Riccardi precisa essere “senza esclusivismo”, andrebbe chiarito con un “senza mondialismo”, in quanto, nel presente, forti componenti non solo di interesse specifico, ma anche storico-culturale, spingono per il sostegno ad una globalizzazione che è stata fallimentarmente definita anche come “fine della storia”.

Troppo spesso la citata “ricomposizione del mondo”, sotto la specie della globalizzazione appare, per le insidie di nuove diseguaglianze e di feroci sradicamenti, la spinta per reazioni identitarie, nelle quali le giuste istanze subiscono sollecitazioni estreme. Va ricercato, in tali casi, il corretto rapporto tra cause ed effetti.

Sul concetto espresso circa il ritorno delle religioni ad esercitare “un ruolo pubblico”, mentre comprendiamo le citate preoccupazioni circa i rischi per la pace che, tuttavia, in primis, non possono essere attribuiti alla componente delle fedi, vorremmo rammentare come proprio su tale questione, nel 2005, a cavallo del referendum sulla procreazione assistita che si svolse solo due mesi dopo la scomparsa del Pontefice, si sviluppò un dibattito, anche all’interno della destra. Non può negarsi, comunque, che l’impegno di allora del Presidente della CEI Camillo Ruini, avesse il pieno sostegno di Giovanni Paolo II.

Non riteniamo di voler andare oltre nelle riflessioni che, rispettosamente, abbiamo inteso esprimere.

Solo un ultimo rilievo riguardo la corretta notazione con la quale Riccardi denuncia, giustamente, che Giovanni Paolo II “non ha trovato posto nella storiografia”, palesando che “la sua dimensione, grande e complessa, non rientri nelle misure dell’attuale pensare e narrare”.

Certamente è così. Il suo pontificato con il suo fondamentale messaggio e il suo ruolo nella storia dell’Europa che il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, definisce anche come “inquietante”, forse per chi non condivideva gli sviluppi a cui diede il via, pur comprendendone il senso, riteniamo possa meglio definirsi come “sconcertante”.

Wojtyla si oppose ad una condizione ed un percorso che sembravano essere definitivamente impressi alla storia, cioè la possibile vittoria del comunismo, la costruzione di società desacralizzate, il dominio dell’economia, la rassegnazione dell’Europa.

Lo sconcerto, la sorpresa, provocata da questa figura forte e carismatica che cambiava la storia, di chi aveva accettato di essere complice di questa rinuncia del cuore, di questo “inginocchiamento di fronte al mondo”, furono e sono ancora tali da tentarne la marginalizzazione.

Concludiamo con una valutazione complessiva sull’evento.

Riteniamo che la Fondazione Alleanza Nazionale abbia di fronte un compito storico di grande rilievo. In coerenza con gli obbiettivi statutari e nel quadro dell’attuale condizione politica dell’Italia, dovrebbe principalmente contribuire e stimolare la crescita della culturale nazionale attraverso la funzione di una destra che può aiutare a liberare quelle energie sociali e culturali dell’Italia che una diffusa presenza e l’intenzione egemonica della sinistra condizionano da decenni.

Oltre al necessario buon governo, assicurato in primis da Giorgia Meloni, alla destra si richiede di esercitare un compito alto, di rispetto e di costruzione di una coscienza nazionale unitaria, di assicurare un più pluralistico accesso alla docenza universitaria, ad una valorizzazione storica complessiva dei beni, delle tradizioni, delle culture italiane nel loro ruolo di sviluppo della civiltà europea, alla ricostruzione di un filo unitario del complesso e articolato percorso storico del nostro Paese, al fine di contribuire ad un approccio costruttivo della politica, per la salvaguardia dell’interesse nazionale, anche in ambito  internazionale.

La svolta che ha portato alla guida del governo una personalità di destra, richiede anche questa opera difficile, ma essenziale per il futuro dell’Italia.

Per tali motivi le attività della Fondazione non possono non operare con la necessaria chiarezza di intenti, evitando, soprattutto nel riflettere su figure ed eventi fondamentali, di offrire spazi a chi, pur a livelli culturali elevati e in spirito di confronto, esprima valutazioni che poco contribuiscano a realizzare tali obbiettivi.

La Fondazione non può essere solo e soprattutto una palestra di opinioni, un palcoscenico per chi ha diverse e contrastanti valutazioni e obbiettivi storico-culturali, per una diffusione di interpretazioni del presente e del passato che, a volte, contribuiscono a mantenere un terreno di conflitto aprioristico e di una emarginazione della destra.

Alcuni aspetti dell’evento sul quale abbiamo richiamato l’attenzione, ed altri in preparazione, pongono le questioni sulle quali auspichiamo che si faccia chiarezza.

Con amicale, ma ferma convinzione sulle necessità indicate, ti rivolgiamo un caro, fraterno saluto».

Adalberto Baldoni
Pietro Giubilo
Domenico Gramazio
Giulio Ferranti
Giorgio Cirillo
Carlo Scala
Luigi Mancini
Francesco Rossi
Roberto Borgehresi
Stefano Savino
Alessandro Rossi
Alessandro Rosa
Giuseppe Sugamele
Ruggiero Capone
Pier Giorgio Francia
Roberto Rosseti
Federico Gennaccari
Giovanni Feola
Filippo Pepe
Italo Rochira
Lello Della Bona
Giuseppe Sanzotta
Sabrina Valletta
Matilde Cinti
Cinzia Pignattoni
Antonella Mattei
Francesca Mancia
Maria Carla Cecchin
Cristina Alibrandi

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