Emanuela Orlandi e l’ennesima patacca di un riscatto che sarebbe stato pagato dal Vaticano per liberarla

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.03.2025 – Vik van Brantegem] – Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, cittadina vaticana, scomparve in circostanze misteriose a Roma il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni. Quella che all’inizio poteva sembrare la “normale” sparizione di un’adolescente, divenne presto uno dei casi più oscuri della storia italiana, che coinvolse il Vaticano, l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di diversi Stati, in un intreccio che non è ancora stato completamente districato, se mai fosse possibile.

L’allora Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I. dichiarò nel 2012, che «non è fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorità italiane preposte alle indagini. (…) La sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. (…) Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive». E concluse: «Vorremmo riprendere spunto e ispirazione dall’intensa partecipazione personale di Giovanni Paolo II alla tragica vicenda della giovane e alla sofferenza della sua famiglia, rimasta finora nell’oscurità sulla sorte di Emanuela. Ancor più perché questa sofferenza purtroppo si ravviva al sorgere di ogni nuova pista di spiegazione, finora senza esito. Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani – e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa».

Occorre sempre ripartire dalla Nota di Padre Federico del 14 aprile 2012, intitolato A proposito di recenti affermazioni nella stampa italiana sul Vaticano e il sequestro Orlandi, che riportiamo in fondo a questo articolo. Ovviamente, il “giallo” è continuato e continuerà a ricompare ciclicamente, tirando in ballo il Vaticano, e ciclicamente si risponderà, nel nome della verità e del rispetto per la povera ragazza e della sua famiglia. Tanto è dovuto.

La più recente ripresa del “giallo” è stata servita dal Venerdì di Repubblica del 28 marzo 2025 [QUI], secondo cui il Vaticano avrebbe pagato un riscatto per Emanuela Orlandi. La “fonte” è rappresentata da due documenti – definite “inediti”, che non lo sono per niente – depositati presso la Commissione bicamerale d’inchiesta sui casi di scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Uno è del SISMI (oggi AISE) ed è datato 27 luglio 1983: ipotizza il versamento di soldi per la liberazione della ragazza. Il secondo parla di una riunione in Vaticano tra magistrati italiani tra cui Domenico Sica, inquirenti come Nicola Cavaliere e l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Eduardo Martínez Somalo (Baños de Río Tobía, 31 marzo 1927 – Città del Vaticano, 10 agosto 2021), che smentisce però il pagamento. I documenti provengono dall’Archivio centrale dello Stato e sono a disposizione di tutti.

Riporta Simona Zecchi su Il Venerdì di Repubblica: «In un appunto del Sismi si trovano, quasi tutte espresse al condizionale, alcune informazioni che riguardano Orlandi, reperite da una fonte proveniente dall’Arma dei Carabinieri. Al documento è allegata un’altra informativa, anch’essa inedita, datata 12 agosto 1983, da cui emerge una riunione avvenuta il giorno precedente presso il Vaticano alla quale erano presenti diverse autorità investigative che al tempo si occupavano del caso: il titolare del fascicolo, magistrato Domenico Sica, il capo della sezione omicidi, Nicola Cavaliere, e il tenente colonnello dei Carabinieri Domenico Cagnazzo, oggi in pensione. Insieme a loro, al posto del segretario di Stato Agostino Casaroli, era presente l’arcivescovo Eduardo Martinez Somalo, suo stretto collaboratore».

L’On. Roberto Morassut, deputato del Partito Democratico e Vicepresidente della Commissione bicamerale d’inchiesta ha dichiarato: «È grave la divulgazione alla stampa dei materiali riservati del fascicolo dell’Archivio di Stato su Emanuela Orlandi. Un fascicolo definito come “vuoto” nelle informazioni rese alla Commissione parlamentare invece risulterebbe contenente documenti importanti pubblicati da un quotidiano. Questa circostanza, a prescindere dalla attendibilità dei documenti, sarà approfondita dalla commissione con i suoi poteri inquirenti».

Il caso Orlandi è il vero grande giallo italiano, che prima che diventò un affare di Stato (Vaticano) era un giallo “normale”. Lo resterebbe anche se – come sostiene il giornalista che più di ogni altro è andato a fondo nel fattaccio, Pino Nicotri – tutto questo clamore che da quasi quattro decenni non si attenua fosse solo frutto di una perversa spirale mediatica, uno show troppo ghiotto, con audience troppo malata e rinnovatasi nel tempo per essere abbandonato. Perché anche in quel caso la somma di depistaggi, interferenze, intrecci poco districabili di bugie e verità basterebbero a rendere quella scomparsa l’evento forse più clamoroso nella storia criminale della Capitale e del Paese tutto.

In tutto questo «soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi», come dichiarò la Segreteria di Stato di Sua Santità il 18 settembre 2017.

Per capire di cosa si tratta, nel caso delle “rivelazioni” di Venerdì di Repubblica, riportiamo l’articolo di Pino Nicotri su Blitzquotidiano.it di oggi, intitolato Orlandi 42 anni dopo: Nicotri spiega il (ri)ciclo delle notizie.

Il giornalista Giuseppe Nicotri, detto Pino, nato il 15 agosto 1943, ha iniziato a collaborare a L’Espresso nel 1972, per poi diventarne man mano collaboratore fisso, redattore, caposervizio e infine inviato. Su richiesta di Eugenio Scalfari è stato anche corrispondente dal Veneto di la Repubblica fin dalla sua fondazione. È considerato il maggiore conoscitore del caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, del quale si occupo da 2001 e ha scritto diversi libri: Mistero vaticano. La scomparsa di Emanuela Orlandi (2002), Emanuela Orlandi: la verità. Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana (2008), Cronaca criminale. La storia definitiva della banda della Magliana (2010), Mistero Emanuela Orlandi (2014), Triplo inganno. Il Vaticano, gli apparati, i mass media e il caso Orlandi (2014), Emanuela Orlandi. Il rapimento che non c’è (2023),

Orlandi 42 anni dopo: Nicotri spiega il (ri)ciclo delle notizie
di Pino Nicotri
Blitzquotidiano.it, 30 marzo 2025

Venerdì di Repubblica ha sparato un’inchiesta sul mistero Orlandi a base di “rivelazioni” e asseriti inediti vari, con un titolo che promette faville: “Caso Orlandi, i documenti segreti che svelano il riscatto fantasma”. Anche il sottotitolo non scherza, annuncia infatti “retroscena finora inediti”.

Alla base di tanto ben di Dio ci sono tre pilastri:

  1. una trattativa miliardaria (sia pure solo in lire dell’epoca) tra il Vaticano e i “rapitori” tramite intermediari;
  2. un rapporto “segretissimo” inviato ad asseriti “vertici”” dall’allora ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Claudio Chelli;
  3. il ruolo oscuro, ma secondo vertici vaticani dell’epoca molto sospettabile, del rifugiato bulgaro Theodor Hlebaroff.

1. Intanto notiamo una prima curiosità.

Il faldone Orlandi

Venerdì spiega che queste asserite novità si trovano in un faldone di 459 pagine provenienti dai servizi segreti militari dell’epoca (SISMI, oggi AISE). Faldone che Venerdì afferma essere stato “da noi acquisito in esclusiva” e che molto probabilmente è lo stesso che settimane fa era stato trovato vuoto nella sede dell’Archivio Centrale dello Stato da Gian Paolo Pelizzaro, consulente della Commissione parlamentare di indagine e sulle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.

Peccato che della misteriosa “trattativa miliardaria” abbiamo scritto su Blitz 11 anni fa, per l’esattezza il 21 febbraio 2014 con un apposito articolo intitolato Emanuela Orlandi, Francesco Pio Sbrocchi e il revival di un vecchio episodio [QUI].

I carabinieri alla Caritas

Eccone i passaggi che spiegano l’arcano:

“Grazie all’arresto in Puglia di un evaso, Francesco Pio Sbrocchi, il mistero Orlandi registra il revival di un vecchio episodio: quello della truffa tentata nel 1994 da un gruppetto di persone e che vide l’arresto del rappresentante della Caritas di Foggia Don Antonio Intiso, e dello stesso Sbrocchi, all’epoca ospite da un anno della Caritas foggiana.

Per la bella cifra di 40 miliardi di lire dell’epoca (più o meno 20 milioni di euro di oggi) venne proposta alla Segreteria di Stato l’immancabile “liberazione” della ragazza e la consegna di un fantomatico dossier su asserite attività imbarazzanti d’Oltretevere. […]

“La trattativa vide il coinvolgimento anche del responsabile della Caritas di Roma, Monsignor Di Liegro, che in alcuni incontri si presentò in compagnia di prelati qualificatisi come membri della Segreteria di Stato. Agli interlocutori che chiedevano una prova che la Orlandi fosse viva e in mano alla fantomatica organizzazione Sbrocchi rispondeva promettendo una videocassetta, ma pretendeva un anticipo di 5 miliardi di lire (più o meno 3 milioni di euro di oggi).

E, ovviamente per conto dell’”organizzazione internazionale”, minacciava in caso di intoppi nella trattativa di far trovare Emanuela Orlandi cadavere in Piazza San Pietro”.

2. Riguardo il misterioso “rapporto segretissimo” dell’ambasciatore Claudio Chelli, peccato che da dieci anni il suo PDF figuri per intero nel libro del giornalista Tommaso Nelli intitolato Atto di dolore. Titolo che nelle intenzioni di Nelli indica l’atto di dolore che dovrebbe giustamente essere recitato da tutti battendosi il petto per il modo col quale (non) sono state condotte le indagini (e per come se n’è occupato il giornalismo).

Riproduciamo il PDF per intero in modo che il lettore possa vedere che oltre a non contenere nulla di interessante, o almeno nulla di decisivo, si tratta di una lettera che contrariamente a quanto sostenuto da Venerdì non era per nulla “segretissima”: Anzi, come si legge chiaramente in alto a sinistra della missiva, era solo URGENTISSIMA, ma non CLASSIFICATA. Non era cioè né riservata, né riservatissima, né segreta e tanto meno segretissima.

3. Riguardo il ruolo del bulgaro Hlebanoff, vale la pena riportare come ne ha parlato anni fa Altervista.org nel suo Blog di Emanuela Orlandi avente per sottotitolo Pensieri Informazioni Aggiornamenti [QUI].

Il lettore può agevolmente constatare che si tratta di pura fuffa. A tirarlo in ballo è stato monsignor Carlo Maria Viganò, sulla cui scarsa attendibilità abbiamo peraltro già scritto [QUI].

Interessante nell’inchiesta di Venerdì è uno dei due appunti dei servizi segreti militari di allora. L’interessante è quello in cui si parla di una riunione avvenuta l’11 agosto 1983, a quasi due mesi dalla scomparsa di Emanuela, in Vaticano tra il magistrato italiano Domenico Sica, titolare delle indagini, il commissario di polizia Nicola Cavaliere, il tenente colonnello dei carabinieri Domenico Cagnazzo e il Cardinale Eduardo Martinez Somalo in rappresentanza del Segretario di Stato Agostino Casaroli, assente perché impegnato a Castel Gandolfo, sede estiva del Papa.

Tale appunto è interessante perché in 42 anni chissà perché non era mai trapelata la notizia di riunioni di questo tipo. Nella sua recente audizione Nicola Cavaliere se ne ha parlato lo ha fatto nella parte secretata.

L’altro appunto è redatto sulla base di una fonte dei carabinieri non si sa quanto attendibile e coi verbi quasi sempre al condizionale, ammissione quindi di mancanza di certezze.

Vi si parla di riscatto forse pagato dal Vaticano per Emanuela, della conoscenza di Ercole Orlandi, padre di Emanuela, di “notizie importantissime” riguardanti il Vaticano, del passaggio di Emanuela da un gruppo di “rapitori” all’altro, di contatti tra il Vaticano e i “rapitori”, e del “rapporto segretissimo” dell’Ambasciatore Chelli. Rapporto che come abbiamo visto segretissimo non era. Non era neppure riservato.

Si direbbe che l’atto di dolore chiesto da Nelli sia opportuno ancora oggi.

A suo tempo ho scritto tanto sul “giallo” della scomparsa di Emanuela Orlandi sul mio diario Facebook (non c’era ancora il Blog dell’Editore). Il 29 novembre 2021 ho scritto l’articolo Torna il giallo Orlandi. Giancarlo Capaldo: «Dal Vaticano ci fu disponibilità a trovare il corpo». La famiglia di Emanuela chiede alla magistratura vaticana di riaprire il caso e di sentire l’ex magistrato [QUI].

Ho dedicato alla questione delle patacche e delle fake news in riferimento al caso Orlandi molto attenzione nel tempo [Proporre, accogliere e diffondere patacche e fake news non è informazione seria, non è giustizia di verità del 13 aprile 2023 [QUI]].

In particolare a seguito del talk show DiMartedì su La7 dell’8 aprile 2023, dove in riferimento alla sparizione di Emanuela Orlandi sono state riproposte “testimonianze” già screditate in passato e “documenti” già smascherato come falsi: la pataccata del 18 settembre 2017, di cui nel frattempo avevamo perso la memoria. Niente di nuovo, il “giallo” Orlandi ritorna ciclicamente con le stesse “prove” e “piste”, e ogni volta è come non avessi scritto niente e tutto ritorno a capo.

Ecco, le sei puntate del dossier Sua Riverita Eccellenza dopo 5 anni ci riprova con la sua pataccata pubblicate tra il 6 e l’11 novembre 2022: Parte 1 [QUI]; Parte 2 [QUI]; Parte 3 [QUI]; Parte 4 [QUI]; Parte 5 [QUI]; Parte 6 [QUI].

Il complesso fenomeno del “disordine informativo”, cioè la divulgazione di contenuti non veritieri, si evidenzia in tre tipi di informazioni false, diffuse con o senza intento malevolo:

Malinformazione: consiste nella circolazione di informazioni basate su fatti realmente accaduti, ma strumentalizzati ad hoc al fine di recare danno a persone, istituzioni o intere comunità.

Misinformazione: una variante informativa priva di attinenza al reale, con la divulgazione di contenuti non veritieri senza alcun intento malevolo, quindi, diramata senza lo scopo intrinseco di rendere virale un contenuto falso.

Disinformazione: una tipologia di informazione di stampo volutamente fittizio, che ha come scopo malevole il trarre in inganno singoli individui, organizzazioni collettive o intere comunità. La disinformazione si verifica quando le informazioni percepite da un soggetto possono non corrispondere alla stessa intenzione per cui esse sono state diffuse, confondendo e/o modificando le opinioni di qualcuno o dell’intera opinione pubblica verso una persona, un argomento, una situazione.

Una bufala (o sòla, o patacca), è una fake news (notizia falsa o inverosimile), diffusa a prescindere da qualunque tipo di controllo di veridicità, sulla base del cosiddetto principio della “post-verità” (la condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza: la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della effettiva veridicità dei fatti raccontati; fatti oggettivi – chiaramente accertati – sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli ad emozioni e convinzioni personali). Si dice anche “mediatica”, quando la falsa notizia viene diffusa e amplificata dai mass media, involontariamente (misinformazione), a causa delle insufficienti verifiche sulle fonti della notizia, o intenzionalmente (disinformazione).

Poi, non dimentichiamo che la storia umana è piena di misteri, composti di fatti ed eventi famosi e non che sono a prima vista incomprensibili. Ma poi con il tempo vengono alla luce elementi che permettono di capire le cause di quanto accaduto e risolvere i casi. Invece, ce ne sono altri che nonostante le ricerche, le analisi e gli approfondimenti sviluppati nel corso del tempo rimangono misteri incomprensibili e per questo inquietanti, talvolta terribili, che sembrano sfidare le leggi della fisica, della logica e della razionalità. E finché un mistero resta tale, il giallo costruito sopra continua a riproporsi ad intervalli regolari. Finché non arriva un elefante, che sfonda il muro di omertà e di segreti, che fa sgretolare il mistero e risolve l’arcano.

Il pataccaro di turno, un soggetto affetto di disordine informativo, si comporta sì come un elefante che sfonda lo schermo, ma non ha nessuna intenzione di risolvere l’arcano, ma soltanto di rafforzare il mistero… e fare audience, come si fa per vendere abbonamenti ad un programma televisivo o per vendere un libro, con delle pataccate nel disordine informativo.

Definitivo è quanto scrisse a suo tempo il canonista Mauro Visigalli sulla pataccata del 18 settembre 2017 di Fittipaldi (spacciando un “documento” falso che qualsiasi addetto di segreteria di seconda classe, per non parlare di un minutante, avrebbe fatto cento volte meglio, senza i grossolani errori che contiene) [La “pataccata” di Fittipaldi. Se vero o falso pari sono… un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo italiano [QUI]]: «E basterebbe dare un’occhiata (per chi vuole vedere) per capire (se vuole sapere) che il documento sul caso Orlandi è un falso da pataccari. E che un pataccaro “ha trovato il suo albero e continuerà a scrollarlo finché i gonzi lo riterranno un giornalista serio comperando i suoi libri”».

Poi, vale la pena ricordare che ne disse l’Arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato di Sua Sanità: «Il documento è un falso, questo è chiaro, per stile e contenuto», parlando in tono pacato, scandendo le parole una ad una, con Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera del 19 settembre 2017.

Vi preoccupa la possibilità di una nuova stagione di dossier e veleni?
«No, non c’è preoccupazione e non abbiamo nulla da nascondere. Non so cosa si proponesse chi lo ha prefabbricato, ma la falsità è palese. Andiamo avanti sereni. Dispiace, certo, per questo accanimento contro la Santa Sede e soprattutto perché così si finisce con l’infierire, con notizie infondate e novità illusorie, sulla famiglia e il suo dolore».

L’Arcivescovo Becciu sospira: «C’è poco da dire, è falso e basta. Un falso strano, tra l’altro, basta vedere lo stile».

Monsignor Becciu lo aveva già detto pochi mesi prima, quando la famiglia di Emanuela aveva chiesto alla Santa Sede di rendere pubblico un «dossier segreto» sul caso: «Non c’è nulla di segreto, non esiste niente di simile».

Il Vaticano è a conoscenza di nuove piste?
«Magari lo fossimo. Non avremmo esitato un attimo a suggerirle, e non solo adesso ma fin da subito. Non c’era e non c’è nulla da nascondere, il Vaticano ha collaborato fin dall’inizio, sospettare il contrario significherebbe negare la realtà dei fatti. Tutto ciò che avevamo lo abbiamo condiviso fin da allora con gli inquirenti italiani che stavano conducendo l’indagine».

Poi, istruttivo è l’articolo Caso Orlandi, se vero o falso pari sono… di Andrea Tornielli (poi diventato Direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede) sul suo blog Sacri Palazzi del 19 settembre 2017:

«Cari amici, mi permetto qui di postare qualche parola di commento sulla vicenda del documento sul caso di Emanuela Orlandi pubblicato dal Corriere della Sera e da Repubblica (quest’ultima anticipando il contenuto di un nuovo libro di Emiliano Fittipaldi). Credo infatti che segni un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo del nostro Paese.
La storia del rapimento della Orlandi, la ragazza scomparsa dal centro di Roma il 22 giugno 1983, è una vicenda intessuta di depistaggi e intrighi internazionali con messaggi e ricatti certamente indirizzati al Vaticano. È una vicenda ancora avvolta nel buio, e purtroppo le inchieste della magistratura non sono arrivate a nulla.
Perché sostengo che quanto è accaduto lunedì 18 settembre 2017, con la divulgazione dell’ultimo documento, evidentemente scritto e costruito come una “patacca”, rappresenta un punto di non ritorno? Lo spiego subito. Un documento – in questo caso il clamoroso e quanto mai presunto rendiconto delle spese sostenute dalla Santa Sede per “gestire” il rapimento Orlandi e le rette pagate per la sua permanenza all’estero – può essere vero o falso. Tertium non datur. Se è vero, va pubblicato con tutte le pezze d’appoggio del caso, dopo una seria e documentata inchiesta giornalistica. Ribadisco che se fosse vero, il Vaticano dovrebbe chiudere domani (altro che riforma), perché significherebbe essere tornati all’epoca dei Borgia, oltre che macchiare indelebilmente il pontificato dell’ultimo Papa proclamato santo, Giovanni Paolo II. Se è falso, va spiegato perché è falso, ed eventualmente pubblicato in un contesto nel quale si parla di depistaggi, ricatti, veleni, etc. etc. Ma dicendo, dopo le opportune verifiche, che è falso. Attenzione: non sto dicendo che, se è falso, non se ne dovesse parlare.
Se quel documento (dopo le opportune verifiche che competono al giornalista, non al lettore) fosse risultato vero, saremmo di fronte a uno scoop mondiale, epocale: non soltanto sarebbe stato risolto uno dei misteri più oscuri della nostra storia recente, più o meno collegato ad altri misteri, come l’attentato a Papa Wojtyla e lo scandalo IOR-Ambrosiano, ma si sarebbe anche messa in luce la tremenda responsabilità di un’istituzione che pur predicando pace, amore, rispetto per i diritti umani, si sarebbe poi comportata in tutt’altro modo, tradendo palesemente il suo messaggio ai danni di una povera ragazza e di una altrettanto povera famiglia di dipendenti vaticani. Non ci sarebbero scuse: se la verità sul caso Orlandi fosse quella contenuta nel testo pubblicato da Fittipaldi i fedeli cattolici avrebbero il diritto-dovere di chiedere che tutto lo Stato della Città del Vaticano venisse chiuso e la Curia azzerata.
Se invece quel documento (dopo le opportune verifiche che competono al giornalista, non al lettore) fosse risultato falso, saremmo di fronte a un nuovo capitolo di Vatileaks, a un tentativo di depistaggio o peggio di ricatto, a uno degli innumerevoli segnali trasversali che purtroppo hanno segnato tutta la vicenda Orlandi.
Che cosa, a mio modesto avviso, non dovrebbe mai accadere. Non dovrebbe mai accadere che un giornalista pubblichi un documento dicendo: forse è vero, forse è falso. Se sia vero o falso io non lo so e non lo posso sapere, fate voi cari lettori. Di certo c’è che sia che sia vero, sia che sia falso, il Vaticano ci deve delle spiegazioni. Ma che modo di ragionare è mai questo? L’onere della prova, della verifica, del lavoro di scavo, spetterebbe al lettore o alla parte in causa, la Santa Sede. Io giornalista ho ricevuto questa carta e ve la spiattello, senza potervi dare una conclusione sulla sua autenticità. Ripeto: non sto dicendo che se quel testo è falso, allora non avrei dovuto raccontare la sua storia, il perché fosse conservato nell’archivio di monsignor Vallejo Balda, il perché la sua esistenza sia stata preannunciata da chi si dedica ad avvelenare i pozzi, etc. etc.
Sto dicendo che lasciare a chi legge l’onere della verifica è la fine del giornalismo. E se non si raggiunge una qualche ragionevole certezza sulla natura di un testo, così da poterlo inquadrare e contestualizzare (converrete con me che vero o falso non sono la stessa cosa, men che meno in una vicenda come questa), allora non lo si pubblica.
Veniamo infine al documento. Che sia scritto come una patacca è evidente a una prima lettura a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i documenti e i testi prodotti nella Curia romana. Al di là degli errori formali, ci sono problemi di sostanza. Come si può anche soltanto immaginare che nel 1998, con inchieste della magistratura italiana ancora aperte, la Segreteria di Stato commissioni la stesura di una nota spese complessive per la gestione del crimine Orlandi (detenzione della ragazza all’estero senza riconsegnarla alla famiglia tenuta all’oscuro di tutto, gestione del suo ritorno in Vaticano con annesse «pratiche finali» che lasciano intendere il peggio), e che questa venga compilata in triplice copia coinvolgendo diverse persone che fino a quel momento dovevano essere all’oscuro di tutto, a partire dal Cardinale Lorenzo Antonetti, Presidente dell’APSA?
Dunque: non tornano la forma, il linguaggio, la mancanza di intestazione e di timbri, la mancanza di firma, l’errore nel nome dell’Arcivescovo Tauran. Non torna il contenuto: il segreto così ben conservato sulla Orlandi sarebbe stato reso noto a diversi dipendenti della Santa Sede al fine di avere una nota spese finale di tutta l’operazione. Non torna il fatto che una ragazza rapita sarebbe stata tenuta prigioniera non in un covo sotterraneo, ma in convitti e residence nel centro di Londra, con il rischio che qualcuno la fotografasse e la riconoscesse. Non torna il fatto che una ragazza sotto sequestro da parte del Vaticano sarebbe stata portata a far visitare da medici con tanto di pagamento di parcella… Insomma, non ci vuole l’acume di Sherlock Holmes per capire che ci si trova di fronte a una vera e propria “patacca”, maldestramente confezionata.
Ora, qualcuno potrebbe osservare: e se gli errori così grossolani e palesi fossero stati inseriti apposta nel documento proprio per screditarlo in caso di sua divulgazione? Certo tutto è possibile. Anche che l’anziano Cardinale Antonetti si sia trasformato in un abile agente 007, e che abbia infarcito – forzando sé stesso – quel balordo rendiconto, di tante assurdità formali, per tutelare se stesso e la Santa Sede. Ma anche ipotizzando ciò (e bisogna mettercela tutta per farlo) resta il macigno delle obiezioni sostanziali: che bisogno aveva la Segreteria di Stato di far pagare la “retta” mensile per il rapimento Orlandi dall’ente pagatore APSA, invece di usare per questo i fondi riservati a sua disposizione, sui quali è tenuta a rendere conto soltanto al Papa? E che bisogno aveva di avere un’accurata nota spese finale, con tanto di ricevute e pezze d’appoggio?
La Santa Sede ha smentito seccamente affermando ciò che è evidente a chiunque legga quel testo: è un falso. Il Cardinale Re, destinatario indicato nella “patacca”, ha detto di non aver mai ricevuto quel documento. Questo chiude il mistero? Questo fa chiarezza sul caso Orlandi? Certamente no. Perché è vero che quel documento è stato fabbricato da qualcuno, e che questo qualcuno aveva uno scopo: depistare o ricattare, mandare segnali o magari ottenere qualcosa in cambio. Questo qualcuno sa qualcosa sul caso Orlandi che a noi è sconosciuto? Può essere, ed è pure probabile. Allora l’inchiesta giornalistica, partendo dal falso ci avrebbe dovuto presentare questo contesto. Ma, ripeto, l’onere della prova sull’autenticità non può essere lasciato al lettore, né al Vaticano. Perché vero o falso pari non sono, mai. E non lo sono nemmeno nel pozzo senza fondo del caso Orlandi».

Nota del Direttore della Sala stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., a proposito di recenti affermazioni nella stampa italiana sul Vaticano e sul sequestro Orlandi – 14 aprile 2012

La vicenda del tragico sequestro della giovane Emanuela Orlandi è stata nuovamente richiamata all’attenzione pubblica nel corso degli ultimi mesi da alcune iniziative e interventi che hanno avuto eco sulla stampa, e in cui è stato avanzato il dubbio se da parte di istituzioni o personalità vaticane si sia fatto veramente tutto il possibile per contribuire alla ricerca della verità su quanto avvenuto.

Poiché è passato ormai un tempo considerevole dai fatti in questione (il sequestro avvenne il 22 giugno 1983, quasi trent’anni fa) e buona parte delle persone allora in posizioni di responsabilità sono scomparse, non è naturalmente possibile pensare a un riesame dettagliato degli eventi. Ciononostante è possibile – grazie ad alcune testimonianze particolarmente attendibili e ad una rilettura della documentazione disponibile – verificare nella sostanza con quali criteri e atteggiamenti i responsabili vaticani procedettero ad affrontare quella situazione.

Le domande principali a cui rispondere sono le seguenti:

Le Autorità vaticane del tempo si impegnarono veramente per affrontare la situazione e collaborarono con le autorità italiane in tal senso?

Ci sono ancora elementi nuovi, non rivelati ma conosciuti da qualcuno in Vaticano, che potrebbero essere utili per conoscere la verità?

È giusto ricordare anzitutto che il Papa Giovanni Paolo II in persona si dimostrò particolarmente coinvolto dal tragico sequestro, tanto che intervenne diverse volte (ben otto in meno di un anno!) pubblicamente con appelli per la liberazione di Emanuela, si recò personalmente a visitare la famiglia, si interessò perché fosse garantito un posto di lavoro per il fratello Pietro. A questo impegno personale del Papa è naturale che corrispondesse l’impegno dei suoi collaboratori.

Il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato e quindi primo collaboratore del Papa, seguì personalmente la vicenda, tanto che, com’è noto, si mise a disposizione per i contatti con i rapitori con una linea telefonica particolare.

Come ha attestato già in passato e attesta tuttora il Cardinale Giovanni Battista Re – allora Assessore della Segreteria di Stato e oggi principale e più autorevole testimone di quel tempo -, non solo la Segreteria di Stato stessa, ma anche il Governatorato furono impegnati nel fare tutto il possibile per contribuire ad affrontare la dolorosa situazione con la necessaria collaborazione con le Autorità italiane inquirenti, a cui spettava evidentemente la competenza e la responsabilità delle indagini, essendo il sequestro avvenuto in Italia.

La piena disponibilità alla collaborazione da parte delle personalità vaticane che a quel tempo occupavano posizioni di responsabilità, risulta da fatti e circostanze. Solo per fare un esempio, gli inquirenti (e soprattutto il SISDE) avevano avuto accesso al centralino vaticano per possibile ascolto di chiamate dei rapitori, e anche in seguito in alcune occasioni Autorità vaticane ricorsero alla collaborazione con Autorità italiane per smascherare ignobili forme di truffa da parte di presunti informatori.

Risponde perciò a pura verità quanto affermato con Nota Verbale della Segreteria di Stato N. 187.168, del 4 marzo 1987, in risposta vaticana alla prima richiesta formale di informazioni presentata dalla magistratura italiana inquirente in data 13 novembre 1986, quando dice che “le notizie relative al caso…erano state trasmesse a suo tempo al PM dottor Sica”. Atteso che tutte le lettere e le segnalazioni pervenute in Vaticano furono prontamente girate al Dott. Domenico Sica e all’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, si presume che siano custodite presso i competenti uffici giudiziari italiani.

Anche nella seconda fase dell’inchiesta – anni dopo – le tre rogatorie indirizzate alle Autorità vaticane dagli inquirenti italiani (una nel 1994 e due nel 1995) trovarono risposta (Note Verbali della Segreteria di Stato N. 346.491, del 3 maggio 1994; N. 369.354, del 27 aprile 1995; N. 372.117, del 21 giugno 1995). Come domandato dagli inquirenti, il Sig. Ercole Orlandi (papà di Emanuela), il Comm. Camillo Cibin (allora Comandante della Vigilanza vaticana), il Card. Agostino Casaroli (già Segretario di Stato), S.E. Mons. Eduardo Martinez Somalo (già Sostituto della Segreteria di Stato), Mons. Giovanni Battista Re (allora Assessore della Segreteria di Stato), S.E. Mons. Dino Monduzzi (allora Prefetto della Casa Pontificia), Mons. Claudio Maria Celli (già Sotto-Segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato), resero ai giudici del Tribunale Vaticano le loro deposizioni sulle questioni poste dagli inquirenti e la documentazione venne inviata, per il tramite dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, alle Autorità richiedenti. I relativi fascicoli esistono tuttora e continuano a essere a disposizione degli inquirenti. È anche da rilevare che all’epoca del sequestro di Emanuela, le Autorità vaticane, in spirito di vera collaborazione, concessero agli inquirenti italiani ed al SISDE l’autorizzazione a tenere sotto controllo il telefono vaticano della famiglia Orlandi e ad accedere liberamente in Vaticano per recarsi presso l’abitazione degli stessi Orlandi, senza alcuna mediazione di funzionari vaticani.

Non è quindi fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorità italiane preposte alle indagini.

Ciò dà occasione di ribadire che è prassi costante della Santa Sede di rispondere alle rogatorie internazionali, ed è ingiusto affermare il contrario (come si è fatto ancora recentemente a proposito di una rogatoria sullo IOR, che in realtà non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato, come confermato ufficialmente dalle competenti Autorità diplomatiche italiane).

Il fatto che alle deposizioni in questione non fosse presente un magistrato italiano, ma che si fosse richiesto alla parte italiana di formulare con precisione le questioni da porre, fa parte della prassi ordinaria internazionale nella cooperazione giudiziaria e non deve quindi stupire, né tantomeno insospettire (si veda anche l’Art. 4 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, del 20 aprile 1959).

La sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa.

Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro. L’attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità.

In conclusione, alla luce delle testimonianze e degli elementi raccolti, desidero affermare con decisione i punti seguenti:

Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive.

Non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano “segreti” da rivelare sul tema. Continuare ad affermarlo è del tutto ingiustificato, anche perché, lo si ribadisce ancora una volta, tutto il materiale pervenuto in Vaticano è stato consegnato, a suo tempo, al P.M. inquirente e alle Autorità di Polizia; inoltre, il SISDE, la Questura di Roma ed i Carabinieri ebbero accesso diretto alla famiglia Orlandi e alla documentazione utile alle indagini.

Se le Autorità inquirenti italiane – nel quadro dell’inchiesta tuttora in corso – crederanno utile o necessario presentare nuove rogatorie alle Autorità vaticane, possono farlo, in qualunque momento, secondo la prassi abituale e troveranno, come sempre, la collaborazione appropriata.

Infine, poiché la collocazione della tomba di Enrico De Pedis presso la Basilica dell’Apollinare ha continuato e continua ad essere motivo di interrogativi e discussioni – anche a prescindere dal suo eventuale rapporto con la vicenda del sequestro Orlandi – si ribadisce che da parte ecclesiastica non si frappone nessun ostacolo a che la tomba sia ispezionata e che la salma sia tumulata altrove, perché si ristabilisca la giusta serenità, rispondente alla natura di un ambiente sacro.

Per terminare, vorremmo riprendere spunto e ispirazione dall’intensa partecipazione personale di Giovanni Paolo II alla tragica vicenda della giovane e alla sofferenza della sua famiglia, rimasta finora nell’oscurità sulla sorte di Emanuela. Ancor più perché questa sofferenza purtroppo si ravviva al sorgere di ogni nuova pista di spiegazione, finora senza esito. Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani – e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa.