Papa Francesco: Dio ci attende per fare festa

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“Nel Vangelo di oggi Gesù si accorge che i farisei, invece di essere contenti perché i peccatori si avvicinano a Lui, si scandalizzano e mormorano alle sue spalle. Allora Gesù racconta loro di un padre che ha due figli: uno se ne va di casa ma poi, finito in miseria, ritorna e viene accolto con gioia; l’altro, il figlio ‘obbediente’, sdegnato col padre non vuole entrare alla festa. Così Gesù rivela il cuore di Dio: sempre misericordioso verso tutti; guarisce le nostre ferite perché possiamo amarci come fratelli”.

Ancora in convalescenza dopo il ricovero al Policlinico ‘Gemelli’ papa Francesco ha invitato a vivere la Quaresima come un tempo di guarigione: “Carissimi, viviamo questa Quaresima, tanto più nel Giubileo, come tempo di guarigione. Anch’io la sto sperimentando così, nell’animo e nel corpo. Perciò ringrazio di cuore tutti coloro che, ad immagine del Salvatore, sono per il prossimo strumenti di guarigione con la loro parola e con la loro scienza, con l’affetto e con la preghiera. La fragilità e la malattia sono esperienze che ci accomunano tutti; a maggior ragione, però, siamo fratelli nella salvezza che Cristo ci ha donato”.

Inoltre ha chiesto di pregare per la pace: “Confidando nella misericordia di Dio Padre, continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Repubblica Democratica del Congo e Myanmar, che soffre tanto anche per il terremoto”.

In particolare per la situazione che sta avvenendo in Sud Sudan: “Rinnovo il mio appello accorato a tutti i Leader, perché pongano il massimo impegno per abbassare la tensione nel Paese. Occorre mettere da parte le divergenze e, con coraggio e responsabilità, sedersi attorno a un tavolo e avviare un dialogo costruttivo. Solo così sarà possibile alleviare le sofferenze dell’amata popolazione sud-sudanese e costruire un futuro di pace e stabilità.

Ed in Sudan la guerra continua a mietere vittime innocenti. Esorto le parti in conflitto a mettere al primo posto la salvaguardia della vita dei loro fratelli civili; e auspico che siano avviati al più presto nuovi negoziati, capaci di assicurare una soluzione duratura alla crisi. La Comunità internazionale aumenti gli sforzi per far fronte alla spaventosa catastrofe umanitaria”.

In precedenza mons. Rino Fisichella, pro prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, aveva celebrato la messa per il Giubileo dei Missionari della Misericordia, nella chiesa romana di Sant’Andrea della Valle, concentrandosi sulla parabola del figliol prodigo, raccontata dall’evangelista Luca: “Gesù non poteva parlare di Dio in termini umani con tratti più significativi”, per dare voce “all’amore e misericordia del Padre”.

Lo sguardo, poi, si rivolge al popolo di Dio di oggi: “Tutti presto o tardi chiediamo l’eredità” e vogliamo “essere liberi, autonomi, prenderci la nostra esistenza”, con la conseguenza del fallimento. Perché “lontano da Dio e dalla sua casa, la Chiesa”, finiamo per seguire “la strada che ci porta a compiere cose inutili, a utilizzare pensieri futili e toccare con mano la distanza dalla sorgente dell’amore”.

Mentre l’altro figlio, “molto simile a tutti noi”, vive il ritorno del fratello “con rabbia e rancore”. Come lui, per i nostri anni di servizio fedele chiediamo “un capretto per far festa con i miei amici”, di avere in cambio qualcosa, a tal punto “da confondere la gratuità del servizio e farlo diventare un’arma di ribellione contro Dio”. Dalla risposta del Padre, “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”, emerge il nostro peccato. Non comprendiamo “il valore della vicinanza con Dio”.

Quindi il pro prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione invita a “fare nostri i sentimenti di paternità” del Padre della parabola, e “saper guardare lontano per cogliere subito la presenza di quanti sono lontani e si stanno avvicinando. Dobbiamo lasciare subito la miopia di pensieri e comportamenti per allargare il cuore e la mente a entrare in profondità verso chi si avvicina a noi”.

E rivolgendosi ai sacerdoti mons. Fisichella ha sottolineato la necessità di andare ‘incontro, in quanto il sacerdote non sta seduto nel confessionale, “ma sa andare incontro al figlio quando è ancora lontano perché ha riconosciuto il suo ritorno a casa”. E nell’abbraccio al figlio che ha sbagliato, si fa comprendere “quanto l’amore dimentica il peccato, e il perdono obbliga a guardare direttamente al futuro” da vivere degnamente.

(Foto: Vatican Media)

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