Un grande studioso della mente si interroga: «È possibile per un non credente parlare con Dio?»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.03.2025 – Jan van Elzen] – Il 1° aprile 2025 esce il libro Preghiera del non credente (TS Edizioni 2025, 128 pagine [QUI]) di Vittorino Andreoli [*]. Il testo non è facilmente riducibile ad un genere convenzionale. A volte sembra una poesia ma è un canto razionale, in altre occasioni il lettore ha l’idea di essere di fronte a un monologo ma, in realtà, è un dialogo. Il testo appare quindi un confronto fra l’uomo e Dio ma presto sembrano materializzarsi i due veri protagonisti, il cuore e la mente di un uomo brillante che si sente chiamato a spiegare l’inspiegabile, la meta che attende tutti, e proprio in quell’occasione ci si rende conto che i veri protagonisti sono l’idea di uomo e l’idea di Dio.

Scrive Andreoli nell’Introibo: «È bellissimo pensare di poter avere una esperienza diretta di Dio. Io lo cerco da tempo ma non è ancora tempo; io so che a lui piace incontrare, relazionarsi direttamente con le sue creature. La maniera migliore per occupare l’attesa è la preghiera. La preghiera del non credente. Esprime il bisogno del divino che c’è dentro l’umano». Introibo, come si usava una volta, nella Santa Messa preconciliare, quando il sacerdote recitava il Salmo 42, «Introibo ad altare Dei», prima di iniziare la celebrazione della Santa Messa.

“Preghiera del non credente” recita il titolo, ma forse ha davvero ragione quel cardinale che ha definito lo scrittore un credente: «Devo dirti di essere stato definito da un eminente cardinale “un credente inconsapevole”, come fossi un tale che mette resistenze a riconoscere ciò che non solo è avvenuto, ma che si continua a manifestare».

In un dialogo diretto e appassionato con Dio, Vittorino Andreoli evoca le domande più profonde dell’animo umano, interrogandosi sul bisogno di trascendenza e sul rapporto con il divino di una società spesso segnata dal dubbio e dalla perdita della fede.

È un’invocazione intima, toccante, che ha avuto una lunga gestazione nella scrittura. Andreoli esplora il tema universale della preghiera, non soltanto come atto religioso, ma anche come momento interiore di chi cerca un significato alla propria esistenza, anche senza la certezza di Dio.

A tratti – come nella biblica lotta di Giacobbe con l’angelo – il colloquio si trasforma in un confronto quasi sfrontato in cui Dio stesso, provocato, prende la parola.

Si apre così un ventaglio di paradossi: la fragilità, che è la vera grandezza della persona umana, perché ci avvicina e affratella tutti; la fede, che ha bisogno di trovare una dimensione spirituale, talvolta oltre i confini della religione; la bellezza della Creazione e il mistero del male.

La Preghiera del non credente diventa così un modo per dare voce alle tante persone che cercano, che non credono ma vorrebbero credere, che credevano e non credono più. E in questa voce risuona una sincera speranza: «Signore, non ti conosco ma ti penso, non so se esisti ma ti cerco, e giungo a desiderare che tu ci sia». Per arrivare a comprendere che, in fondo, solo l’amore conta e solo se avremo davvero amato, potremo vivere veramente.

[*] Vittorino Andreoli (Verona 1940) è psichiatra di fama internazionale, editorialista e scrittore. È stato direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona-Soave ed è membro della New York Academy of Sciences. È autore di saggi e romanzi pubblicati con i più importanti editori italiani e tradotti in vari Paesi. Fra i più recenti ricordiamo, per TS Edizioni: Il Gesù di tutti. Viaggio nel mistero dell’uomo di Nazareth (2023) e Preti. Un viaggio contemporaneo fra gli uomini del sacro (2024).

Riportiamo il capitolo iniziale di Preghiera del non credente, in cui Vittorino Andreoli evoca le domande più profonde dell’animo umano e dà voce alle tante persone che cercano, che non credono ma vorrebbero credere, che credevano e non credono più.

È bellissimo cercare Dio, anche se non lo si trova e persino se non esistesse. Cercando una realtà necessaria, la si pensa, la si immagina e così la si vive. La ricerca diventa attesa, una condizione straordinaria della mente che dà corpo a ciò che ancora non c’è. Si aspetta e questo atteggiamento crea persino il proprio creatore. Si cerca il necessario ed è come se le tracce fossero dentro di noi. È bellissimo pensare di poter avere una esperienza diretta di Dio. Io lo cerco da tempo ma non è ancora tempo; io so che a lui piace incontrare, relazionarsi direttamente con le sue creature. La maniera migliore per occupare l’attesa è la preghiera. La preghiera del non credente. Esprime il bisogno del divino che c’è dentro l’umano.

Prima

Signore, non ti conosco ma ti penso, non so se esisti ma ti cerco, e giungo a desiderare che tu ci sia. E questo pensiero, mi dà sollievo e speranza. Non posso crearti io, sono un uomo fragile, ma proprio questa percezione mi spinge persino a pregare. Non so come fare, e mi riesce difficile se solo considero che tu non ci sei, ma mi pare impossibile che possa esistere io e non Dio. Nell’Inno alla gioia di Friedrich Schiller si invita a cercare, perché da qualche parte nel cielo ci devi essere tu, Dio. Ma io voglio trovarti qui sulla terra. Adesso ho bisogno di un Dio. Per questa vita. Non so nulla dell’aldilà. Sono attaccato a questa terra. Vedi Signore, non è difficile credere che qualcuno abbia fatto, non so come, questo mondo. E dentro ci sono anch’io. L’alternativa a te è pensare che in principio era il Caos. Il Big Bang. Lo so, anche Dio è una parola, ma non riesco a inginocchiarmi davanti al Caos, al Big Bang. A Dio sì! L’ho fatto, ma non so cosa dirgli, sono rimasto in silenzio, e ho sentito solo il mio silenzio. Come molti, io sono convinto che la bellezza e la complessità dell’universo non possano essere il risultato del Caos. È impossibile che l’ordine della natura, che la bellezza di una farfalla che nasce e trova subito il fiore su cui porre la proboscide e nutrirsi del nettare, sia una combinazione casuale. Non è possibile che la bellezza del cervello umano e delle sue funzioni sia prodotta dal Caos. Albert Einstein diceva che l’uomo deve faticare a scoprire una piccola legge dell’universo, men-tre è composto di una infinità di leggi… che qualcuno deve aver messo insieme armonicamente. Ma il grande scienziato non riusciva a immaginare che potesse esistere una relazione tra un Dio potentissimo e l’uomo, ciascun uomo. Io, invece, se penso a un Dio lontano, distaccato, enorme, Re dei re, sovrano del cielo e della terra, non provo alcun entusiasmo… e neppure interesse. Sento il bisogno di un Dio che mi possa ascoltare. Forse è un sogno impossibile. Come per un suddito venire ascoltato dal suo dominus. Come vedi, Signore, sono già entrato in un labirinto; non sarà ancora come quello costruito da Dedalo per il Minotauro a Creta, ma so che anche dal labirinto delle parole è difficile uscire. E ogni uomo rischia, pensando a Dio, di costruire la propria cella abitata dal dubbio dei propri limiti. Vedi, Signore, l’uomo, l’io-uomo, è complesso, ma anche tremendamente limitato. La sua complessità è il limite. Pensando a te, che forse sei e forse non sei, mi accorgo del mio pensiero, fatto di carne delicata, ma pur sempre carne. E tutto quello che ne emerge sa di carne. I miei pensieri su di te sono disperati e servono a sostenere che il cervello umano, forse la condizione umana, non possono comprenderti. Sei un mistero. Perché l’uomo è uno sconosciuto a se stesso. E non serve l’invito che si trovava scritto sul frontone del tempio di Apollo, a Delfi: «Conosci te stesso». Con il mio cervello non posso conoscere il mio cervello. Forse tu hai fatto l’uomo incapace di riconoscerti, eppure lo hai reso capace di desiderarti, di incontrarti. Perché? Perché vuoi rimanere nascosto nel buio della ragione… mentre sei vivo nella “logica dei sentimenti”?

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