Don Ettore Signorile: calano le istanze di nullità matrimoniale

Le cause di nullità matrimoniale presso il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano del Piemonte non sono care, né lunghe. Il 62% avviene senza costi di avvocati: le parti godono del patrocinio gratuito e si limitano a pagare € 525 di spese processuali per l’intero procedimento.
Non si tratta di cause lunghe, come ha spiegato spiega il vicario giudiziale don Ettore Signorile, che presiede il Tribunale: “Si arriva a sentenza con una tempistica che nella maggior parte dei casi si attesta sotto i 12 mesi, con l’annotazione del provvedimento nel registro di matrimonio e battesimo delle parrocchie quasi sempre entro 14 mesi”.
Tutti i dati relativi all’attività del Tribunale nel 2024 sono contenuti nella Relazione presentata da don Signorile sabato 15 marzo inaugurando presso il Seminario Metropolitano di Torino l’Anno Giudiziario del Tribunale Ecclesiastico, prolusione di apertura pronunciata dall’arcivescovo di Torino, card. Roberto Repole.
Continua da due decenni il calo dei matrimoni celebrati in chiesa con rito cattolico (nella Diocesi di Torino sono passati da oltre 5.000 nel 2002 a 1.500 nel 2023); si registra una ripresa solo rispetto al periodo della pandemia da Covid (500 matrimoni nel 2020).
Alla flessione dei matrimoni religiosi corrisponde un calo delle istanze di nullità matrimoniale, che nel 2024 risultano lievemente aumentate rispetto all’anno precedente, ma rispetto al 2015 sono passate da 160 a 60 l’anno. La quasi totalità delle cause si conclude con la dichiarazione di nullità del matrimonio, come ha spiegato vicario giudiziale don Ettore Signorile:
“In questi anni abbiamo davvero lavorato con impegno e passione per dare corso alla riforma di papa Francesco che ha richiesto accompagnamento e vicinanza alle coppie che si rivolgono al tribunale ecclesiastico. Sono convinto che il numero di fedeli che potrebbe intraprendere la via giudiziale è di gran lunga superiore alle attuali richieste di nullità, ma occorre che i fedeli siano ben consigliati e accompagnati da un’articolata e capillare pastorale famigliare”.
Per don Signorile non occorre contrapporre la pastorale con il diritto: “Pastorale e diritto spesso sono colte in modo separato, ponendo un’artificiosa contrapposizione che trova non poche ricadute nell’applicazione pratica di Amoris Laetitia. Sembra quasi che il ‘pastorale’ sia la via charitatis del foro interno prospettata nel documento post sinodale, mentre la via veritatis del foro esterno, demandata al tribunale, resterebbe relegata al giuridico. Una precomprensione questa determinata da un’idea del diritto canonico impregnata di positivismo giuridico, che induce ad una reazione di rifiuto e che porta a considerare superato l’istituto del processo attraverso il tribunale ecclesiastico”.
Secondo don Signorile la tendenza al calo delle istanze di nullità “è segno di una minore sensibilità alla dimensione religiosa del matrimonio che si vuole rendere nullo (a tante persone basta il divorzio civile), esprime una scarsa consapevolezza del senso del sacramento matrimoniale, ma anche una scarsa conoscenza della facilità di accesso al Tribunale Ecclesiastico”. Esiste una pubblicazione informativa sul procedimento giudiziario, a disposizione delle parrocchie e di tutti gli interessati.
Quindi il processo deve essere collocato nell’ambito pastorale: “Io credo che il processo vada sempre colto all’interno di un orizzonte che è pastorale ma, pur dando gran valore alla deposizione giurata delle parti, sento la necessità di ribadire che il bene pubblico del matrimonio non può essere pensato come una sorta di autocertificazione il cui esito è lasciato alla buona volontà o buona fede dei singoli. Le cause si giudicano infatti ‘per acta et probata’.
Le parti in causa non sono soltanto la parte attrice e la parte convenuta, ma anche il loro matrimonio (con l’operato del difensore del vincolo o parte pubblica). Intaccare il diritto di difesa di ogni fedele, ma anche la naturale dialettica che è implicata nel processo canonico, sarebbe un intollerabile vulnus al processo matrimoniale”.
Per don Signorile il diritto garantisce la regolarizzazione di una situazione già notificata: “E’ vero che, salvo diversa statuizione del giudice, i coniugi, parti in causa, possono esercitare direttamente la postulazione, rinunciando all’assistenza di un patrono, ma una simile opzione non è esente da limiti oggettivi, dovuti allo spessore tecnico dell’attività processuale .
La ragione ultima dell’esistenza del diritto nella Chiesa, consiste nel fatto che nel Popolo di Dio si danno necessariamente rapporti interpersonali di giustizia: vi sono diritti e doveri. Il giudicare la validità o meno di un matrimonio è al contempo un bene giuridico e pastorale. Per questo l’accertamento della verità sul matrimonio non è un divorzio, non un semplice tentativo di regolarizzazione di una situazione di fatto”.
Per questo il card. Roberto Repole ha sottolineato la necessità di superare la contrapposizione; “Soprattutto, il testo del documento chiede di andare oltre una contrapposizione tra consultività e deliberazione che, se spinge a superare una ambigua interpretazione del tantum consultivum, orienta a non interpretare in senso mondano le categorie di consultività e deliberazione all’interno dei processi ecclesiali”.
Ed ha descritto il ruolo dell’operatore: “A questo proposito lasciatemi ribadire come ciascun operatore debba avere una dimensione di servizio, fatta di generosa disponibilità, che presenta una portata ancora più evangelica per noi ministri ordinati, sempre più oberati da molteplici incombenze e incarichi diocesani. Abbiamo bisogno che gli officiali, chierici e laici, siano preparati, generosi, operativi e convinti della preziosità del loro lavoro. Le norme processuali vanno applicate con un dinamismo e una intelligenza eminentemente pastorali”.
(Foto: Arcidiocesi di Torino)