M.A.R.I.A

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Il monologo, scritto ed interpretato da Giulia Merelli, narra l’attesa di Maria durante la sua gravidanza, caratterizzata da un dialogo intimo con Dio, che è sia suo padre sia colui che diventerà   suo figlio in un paradosso fra necessità di fiducia e senso di protezione. La storia esplora anche il significato dell’essere madre, che significa generare qualcosa che trascende la propria esistenza chiedendole un dolce decentramento. Maria, abbracciando il mistero dell’amore, si interroga sul senso della vita, sul perché della sofferenza e sulla gioia che deriva dal dare sé stessa, senza condizioni. 

PRIMO MOMENTO

(Maria è vestita di bianco, con il pancione, una abat-jour di fianco accesa. Parla con sé stessa e con Dio)

Lo sento, è poco tempo ma lo sento. 

(Si accarezza la pancia)

(Sorridendo) 

Ehi, ti fidi di questo?

Un corpo di una donna.

È strano, non sono mai stata pronta.

Scusa. Ma continuo a pensare che hai bisogno di aria e di luce. 

Tu sei la luce. 

(Pausa) 

Mi unisco al buio, al buio, il tuo stesso buio… 

Mi suggerisci come amare?

(Pausa)

Ti formi in me, ogni giorno… E se fossi un sogno?

(Avverte un dolore) 

Ti fai sentire, eh? Bravo, bravo…

Provo a respirare con te, eh? Facciamo così… 

​(Respira)

Mi sento meno sola, quasi mi addormento. 

Lo spirito non si placa, però… 

Ma tu mi senti? Se parlo, mi senti?

Porto la voce al tuo piccolo orecchio:

Mi senti? 

Questa è la voce di tua mamma

mi senti? Mi senti?

SECONDO MOMENTO

(Maria guarda fuori dalla finestra e parla con sé stessa e con Dio)

Ma sei vero? Un uomo vero? Un Dio, vero? 

Molte madri si chiedono:

mettere al mondo un figlio e perché? 

Perché abbia fame? 

Perché abbia freddo? 

Perché venga offeso, tradito, deriso, non creduto, 

flagellato, ammazzato vivo, crocifisso? 

È dolce lo sguardo di chi pensa all’improvviso

alle cose perdute… 

Secondo me è nel dolore, 

proprio in quel dolore senza ragione, 

quello che ti tradisce, che tradisce la vita 

– doveva andare così e non è andata così – 

che entra il mistero… 

Non si può essere felici sempre. 

L’importante è tenerselo stretto il mistero. 

E negano la speranza. 

​Che la sua fame possa essere saziata per una volta, il freddo scaldato, 

che viva quel tanto che gli basti per amare. 

Chi l’ha detto che bisogna vivere cent’anni!

Ti criticheranno, non ti crederanno… Anche se sei un re. 

(Lo chiama)

Re, re… 

Resta ancora in me, resta in questo grembo.

Non andare nel mondo! 

Scusa, finisco sempre per farti da padrona.

(Pausa)

Una madre. 

Respira per il bambino. 

Per lui mangia, non lo mangia. 

E fa tutto per lui, con lui, a lui. 

In quest’oscurità.

TERZO MOMENTO

(Maria accende della musica dalla radio, si stende sul divano e ascolta. Poi, parla con sé stessa e

con Dio)

Il tirocinio di una lentezza estrema, 

prossima all’immobilità. 

Dicono così

che per capire da quale strano mondo vieni, 

io debba restare così ferma. 

Quasi impercettibile… 

È che mi sento così piccola. 

Eppure gioisco 

mi muovo, mi agito, lavoro, piango, soffro, rido, 

ma non più sola! 

Adesso so che c’è qualcosa dentro di me che vive.

Basta parole, basta! Gesti. 

(Muove le mani simulando un battito cardiaco con le mani) 

Il linguaggio dell’amore. 

(Respira)

Serve una carezza che ti doni consistenza. 

Sono queste (intende le mani) a parlare.

Il linguaggio dell’amore. 

Serve una carezza che ti doni consistenza

che non ti faccia sentire perso in questo mondo

ma che ti allacci dal vecchio al nuovo. 

Che la sua fame possa essere saziata per una volta, il freddo scaldato, 

che viva quel tanto che gli basti per amare. 

Chi l’ha detto che bisogna vivere cent’anni!

Ti criticheranno, non ti crederanno… Anche se sei un re. 

(Lo chiama)

Re, re… 

Resta ancora in me, resta in questo grembo.

Non andare nel mondo! 

Scusa, finisco sempre per farti da padrona.

(Pausa)

Una madre. 

Respira per il bambino. 

Per lui mangia, non lo mangia. 

E fa tutto per lui, con lui, a lui. 

In quest’oscurità.

Che la sua fame possa essere saziata per una volta, il freddo scaldato, 

che viva quel tanto che gli basti per amare. 

Chi l’ha detto che bisogna vivere cent’anni!

Ti criticheranno, non ti crederanno… Anche se sei un re. 

(Lo chiama)

Re, re… 

Resta ancora in me, resta in questo grembo.

Non andare nel mondo! 

Scusa, finisco sempre per farti da padrona.

(Pausa)

Una madre. 

Respira per il bambino. 

Per lui mangia, non lo mangia. 

E fa tutto per lui, con lui, a lui. 

In quest’oscurità.

QUARTO MOMENTO

Non mi crederanno, 

mi diranno che sono bugiarda, 

ma che devo fare? 

Sento di essere fatta per questo. 

(Sorride)

Sono inesperta, è tutto iniziale ma… 

Quando si forma qualcosa dentro, 

che non hai deciso tu, 

cosa puoi fare?

A tre settimane, 2 millimetri e mezzo… 

Una cavità più in basso che diventerà la bocca 

con cui pronuncerà la prima parola. 

E poi un accenno d’occhi 

con cui donerà la compassione. 

E quella spina dorsale, piccola, 

lo farà stare diritto davanti alle umiliazioni. 

Lo stomaco, per accogliere e difendersi dal dolore. 

Gli intestini, il fegato, per digerire le offese. 

E poi i polmoni per respirare un’aria nuova. 

E poi il cuore, per ricominciare daccapo, 

ogni volta, ad amare. 

(Piccola Pausa)

All’inizio sarà dolente, 

come il bruciore della luce del sole, 

quando la guardi fa male, 

ma poi si abituerà a questo mondo. 

Il suo cuore è già grande, io lo sento… 

È in proporzione nove volte più del mio. 

Forse per questo posso accettare, 

perché tu hai più amore di me. 

Lui ha più amore di me ed io posso sentirmi di lui, 

figlia di te. 

E di nuovo generata, ogni volta, daccapo. 

QUINTO MOMENTO

(Maria gioca, come una bambina. Si affaccia dalle lenzuola, sopra al letto, in modo giocoso,

imitando un bambino appena nato)

La nascita è un salto! La nascita è un salto! La nascita è un salto!

Quest’istante, come bisogna rispettarlo! 

Schhh! è un momento fragilissimo… 

Piano, piano, piano… 

Lui è lì, sull’uscio. 

E non è più un feto e non è ancora un neonato. 

Piano! 

Non parlate per favore, silenzio! 

Silenzio! 

Anche le luci, 

se potete abbassatele, 

sta passando dal vecchio al nuovo… 

Serve tenerezza, piano piano… 

Non si è ancora staccato del tutto dalla mamma, 

lei respira ancora per lui, con lui. 

Lasciate alla nascita la sua gravità, 

per favore. 

Non stategli addosso con tutte quelle parole. 

Avete presente il momento in cui l’uccello corre con le ali spiegate, 

sta per prendere il volo… 

Quando volerà? 

Non si sa… 

Oppure quando la marea del mare sale e poi ridiscende… 

Ecco lasciategli il tempo. 

Il sole si alza forse di colpo? 

O fra il giorno e la notte non indugia un tramonto? 

Fra la notte e il giorno indugia l’alba, e l’aurora. 

Ecco lui è l’aurora. 

E non stategli addosso con tutte quelle analisi scientifiche, 

gli studi medici,

 non capite nulla di mistero. 

Fermi! Fermi! 

Lui viene dal Mistero. 

(Pausa)

Lasciate alla nascita la sua gravità.