Riscoprire la centralità della liturgia nella vita della Chiesa

Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.02.2025 – Vik van Brantegem] – Negli ultimi anni, la pandemia ha scosso le fondamenta della nostra società, mettendo alla prova non solo la salute pubblica, ma anche la dimensione spirituale delle nostre vite. In particolare, il modo in cui viviamo la liturgia ha subito trasformazioni drastiche, ponendo interrogativi profondi sul suo ruolo in tempi di emergenza. Il libro di Don Enrico Finotti Liturgia virale, su fede e liturgia in tempo di crisi, affronta proprio questi temi, proponendo una riflessione lucida e documentata sulle difficoltà incontrate e sulle risposte che la Chiesa ha cercato di dare.

«Credo che tutti, pensando a questo tema della “liturgia virale”, andiamo con la mente alla recente pandemia e come essa abbia messo in crisi non solo la nostra salute, ma anche il posto che ha la fede nelle nostre vite e in essa la liturgia. In questo libretto di Don Enrico Finotti, ripercorriamo alcuni dei problemi che si sono dovuti affrontare al tempo dell’epidemia del coronavirus. Si parla di temi liturgici che hanno appassionato gli addetti ai lavori, come ad esempio quello delle “Messe senza popolo”. Si offrono risposte che possono essere utile per capire che posto dobbiamo dare alla liturgia in tempo di crisi. E soprattutto ci insegna a pregare di più perché queste prove non vengano a noi e, se vengono, perché Dio ci dia la forza per sopportarle» (Aurelio Porfiri).
Quale posto ha la liturgia nelle nostre vite? Possiamo davvero celebrare l’Eucaristia senza il popolo? La Messa trasmessa online è una soluzione sufficiente? Quali conseguenze ha avuto la pratica della Comunione nelle mani? E soprattutto: cosa ci ha insegnato questo periodo sulla centralità della liturgia nella vita Cristiana?
Liturgia virale. Il liturgista risponde (Chorabooks 2024, 67 pagine [QUI]) di Don Enrico Finotti con una Presentazione del Maestro Aurelio Porfiri, ripercorre le problematiche liturgiche emerse durante la pandemia, offrendo risposte chiare e fondate sulla Tradizione della Chiesa. Un testo che non solo aiuta a comprendere il passato recente, ma che diventa un monito per il futuro, affinché la celebrazione dei Sacramenti non venga mai più relegata a semplice optional nella vita dei fedeli.
Un percorso tra diritto liturgico, pastorale e spiritualità
Il libro si struttura in una serie di capitoli che affrontano, con precisione e rigore, questioni di grande attualità:
- La Messa senza il popolo: riflessioni sulla sua legittimità e sul valore della celebrazione comunitaria.
- Il diritto liturgico: quali sono le norme fondamentali che regolano la celebrazione dei Sacramenti?
- La sanificazione delle chiese e la santificazione delle anime: un confronto tra sicurezza sanitaria e necessità spirituali.
- Gli audiovisivi nella liturgia: un’opportunità o un rischio di desacralizzazione?
- La crisi dei Novissimi: perché la pandemia ha fatto emergere una crisi profonda nella predicazione su morte, giudizio, inferno e paradiso?
Un invito alla riflessione e alla preghiera
Don Enrico Finotti non si limita a un’analisi teorica, ma invita il lettore a interrogarsi sulla propria vita spirituale. La liturgia non è un semplice rituale, ma il cuore pulsante della fede Cristiana. Come possiamo riscoprirne il valore autentico?
In tempi di crisi, la tentazione è quella di trovare soluzioni pratiche immediate, ma senza una vera riflessione sul significato profondo della liturgia. Liturgia Virale ci aiuta a prendere coscienza di quanto sia importante custodire e vivere con fedeltà il culto divino, indipendentemente dalle difficoltà contingenti.
Un libro per tutti i fedeli e gli operatori pastorali
- Per chi vuole comprendere meglio le sfide liturgiche emerse durante la pandemia.
- Per sacerdoti e catechisti che desiderano approfondire il diritto liturgico e la pastorale sacramentale.
- Per i fedeli che si chiedono quale sia il vero posto della liturgia nella loro vita e come affrontare le crisi con una fede più salda.
Un’opera attuale e necessaria
Con la presentazione di Aurelio Porfiri, Liturgia virale si propone come un testo di grande valore per chi desidera capire e difendere il vero significato della liturgia in tempi difficili. Un libro che non solo illumina il passato recente, ma che offre anche strumenti concreti per affrontare il futuro con una fede più consapevole e radicata.
La serie Il liturgista risponde
Liturgia virale è il sesto volume della serie Il liturgista risponde di Don Enrico Finotti, edito da Chorabooks. I libri precedenti della serie:
- Se tu conoscessi il dono di Dio, con una Prefazione di Aldo Maria Valli (2018) [QUI]
- La spada e la parola (2018) [QUI]
- Nell’attesa della tua venuta (2018) [QUI]
- Il mio e il vostro Sacrificio (2018) [QUI]
- Per ritus et preces (2024) [QUI]
Tre cose buone della Messa in “rito virale”
di Leonardo Lungaresi
Leonardolugaresi-Vanitas ludus omnis, 22 giugno 2020
Dio, come è noto, scrive dritto su righe storte e anche da situazioni un po’ sgangherate sa trarre del bene. La regola vale pure in campo liturgico, dove può accadere che delle piccole buone riforme vengano non dalle pensate dei liturgisti (che Dio ce ne scampi), bensì da inopinate circostanze sfavorevoli e da rimedi abborracciati come quelli che si son visti in questi tempi di epidemia virale.
Dal mio limitatissimo punto di vista (che si esaurisce in pratica nella mia parrocchia) vedo tre cose buone nella “nuova Messa di rito virale” scaturita dal famoso protocollo (su cui peraltro mantengo qualche ironica riserva).
La gente arriva per tempo in chiesa. Per tempo vuol dire prima che la Messa abbia inizio. E alla Messa, prima si arriva, meglio è. La cosa più preziosa che ho reimparato nei mesi di sospensione della celebrazione pubblica è stata l’Adorazione Eucaristica, che nella mia parrocchia si è fatta tutti i giorni per un’ora dalle 18 alle 19. Stare in chiesa, in silenzio, davanti al Signore: cosa c’è di meglio? A me sembra che, specialmente oggi, sia l’esercizio spirituale più salutare. Purtroppo, con la ripresa delle Messe cum populo, il mio parroco non ha aderito al suggerimento che mi ero permesso di dargli, cioè di continuare con l’esposizione quotidiana del Santissimo almeno per un’ora prima della Messa, ma non importa: adesso io cerco comunque di andare prima in chiesa e di star lì davanti al tabernacolo. Senza far niente di particolare: star lì e basta. In silenzio e ora anche in attesa del Sacrificio Eucaristico. Bene, vedo con grande soddisfazione che adesso lo fanno in molti. Domenica sono andato alla Messa delle 10. Quando sono entrato in chiesa, verso le 9.30, c’era già qualcuno e alle 10 meno cinque la chiesa era praticamente piena. Come mai? Prima non succedeva. La parola magica è «posti limitati»: sapere che arrivare all’ultimo momento o addirittura in ritardo potrebbe “avere una conseguenza” è sufficiente a compiere il miracolo. (A volte ci vuol poco per migliorare i comportamenti umani: un euro in pegno basta e avanza a far sì che nessuno lasci in giro i carrelli della spesa al supermercato). Dio solo sa quanto bene potrebbe venire se questa pratica si consolidasse e si mantenesse nel tempo. Dieci minuti di attesa silenziosa del Sacramento, esposti alla presenza del Santissimo possono fare molto di più di tante belle omelie e di tante energie vanamente spese nella “animazione liturgica” (horribile dictu). Certo, la condizione imprescindibile è il silenzio. E il silenzio viene osservato quanto più si è coscienti che in chiesa ci si va prima di tutto per ascoltare e adorare Dio e non per “coltivare i rapporti umani”, come invece pare nella vulgata neo-Cristiana.
È stato abolito lo scambio del gesto di pace. Ci vogliamo bene esattamente tanto (o tanto poco) quanto prima, ma in compenso è stata tolta di mezzo una distrazione proprio al momento in cui ci si prepara a ricevere il corpo di Cristo
Il nuovo modo di distribuire la comunione è migliore di quello precedente. Intanto perché richiede più tempo, il che vuol dire più attesa del sacramento da ricevere e/o più tempo di ringraziamento per il sacramento ricevuto. Poi perché evita un’altra manovra di distrazione di massa con la formazione (sempre un po’ disordinata, in Italia) della fila dei comunicandi, con l’intoppo di quelli che dalle prime panche si vogliono inserire nella fila già formata, quelli che sbagliano a tornare indietro e soprattutto il pernicioso “effetto gregge”: tutti si alzano, si mettono in coda, e in automatico mi ci metto anch’io, che stia o che non stia “pensando chi vado a ricevere”. Infine perché la comunione la dà solo il sacerdote, e non tutti quei laici che una cattiva prassi ha promosso da “ministri straordinari” dell’Eucarestia ad ausiliarii in servizio permanente effettivo, senza che ve ne sia una sola ragione al mondo: se anche ci vogliono cinque minuti in più per distribuire la comunione, che problema c’è? Cos’è tutta questa fretta di andar via? Rispetto a questi vantaggi, mi pare che passi in secondo piano l’obbligo di ricevere la particola sulla mano. Ritengo infatti che il contesto ora consenta una maggiore serietà e concentrazione nel compiere il gesto (io prima preferivo sempre ricevere l’ostia in bocca e non sulla mano, ma il problema non era la mano in sé – che è esattamente tanto degna quanto la bocca – ma l’attitudine che l’un gesto o l’altro favoriva). Anzi, il fatto che il sacerdote mi dia l’ostia mentre sono fermo al mio posto e non quando mi devo muovere per farvi ritorno mi consente di tenerla sulla mano per qualche istante e compiere un atto di adorazione prima di mangiarla. Se il protocollo lo avesse previsto, si sarebbe potuto ottenere un altro vantaggio con la soppressione di tutti quegli orribili canti che infestano ogni celebrazione, anche la più sparuta. Visto che si era così preoccupati delle goccioline potenzialmente piene di virus, e così inclini a spaventare la gente, sarebbe bastato ammonire che cantando se ne emettono molte di più che tacendo, mascherine o non mascherine, e l’eliminazione della “colonna sonora”, che invece a quanto pare viene ritenuta indispensabile da tutti, avrebbe dato un altro piccolo contributo alla “riforma liturgica virale”. Ma non si può avere tutto.