Papa Francesco ai vescovi statunitensi: lottare per la dignità umana

“Vi rivolgo alcune parole in questi momenti delicati che state vivendo come Pastori del Popolo di Dio che cammina negli Stati Uniti d’America”: con questo inizio di lettera papa Francesco ha scritto ai vescovi statunitensi, che si trovano ad affrontare una ‘crisi’ con il programma di ‘deportazione di massa’ di immigrati e rifugiati clandestini, voluto dall’amministrazione del presidente Trump, esortandoli in dieci punti a non cedere a ‘narrazioni’ discriminatorie.
Dopo la presa di posizione dei vescovi statunitensi il papa ha sottolineato che la storia del popolo ebreo è un esempio per la società contemporanea: “Il cammino del popolo d’Israele dalla schiavitù alla libertà, narrato nel libro dell’Esodo, ci invita a guardare alla realtà del nostro tempo, così marcatamente segnata dal fenomeno delle migrazioni, come a un momento decisivo della storia per riaffermare non solo la fede in un Dio sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato, ma anche l’infinita e trascendente dignità di ogni persona umana”.
Quindi ha voluto evidenziare che le sue parole non sono inventate, ma poggiano sulla Sacra Scrittura: “Le parole con cui inizio non sono pronunciate artificialmente. Anche un esame superficiale della Dottrina sociale della Chiesa mostra con grande forza che Gesù Cristo è il vero Emmanuele e che Egli non ha vissuto senza la difficile esperienza di essere espulso dalla propria terra a causa di un rischio imminente per la sua vita, e senza l’esperienza di dover rifugiarsi in una società e in una cultura estranee alla sua. Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha scelto di vivere anche il dramma dell’immigrazione”.
Ed ha ricordato anche le espressioni di papa Pio XII sulla cura dei migranti, che parla della famiglia di Nazareth costretta alla fuga: “Mi piace ricordare, tra le altre, le parole con cui Papa Pio XII iniziò la sua Costituzione apostolica sulla cura dei migranti, considerata la Magna Carta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni:
La famiglia di Nazareth in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe, emigranti in Egitto e lì profughi per sfuggire all’ira di un re empio, sono il modello, l’esempio e la consolazione degli emigranti e dei pellegrini di ogni età e paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, spinti dalla persecuzione o dalla necessità, sono costretti ad abbandonare la loro patria, i loro amati familiari e i loro cari amici per recarsi in terre straniere”.
Queste ‘deportazioni’ ledono la dignità umana, a cui i cristiani devono conformarsi: “Allo stesso modo, Gesù Cristo, amando tutti con un amore universale, ci insegna a riconoscere permanentemente la dignità di ogni essere umano, senza eccezioni. Infatti, quando parliamo di ‘dignità infinita e trascendente’, vogliamo sottolineare che il valore più decisivo che la persona umana possiede supera e sostiene qualsiasi altra considerazione giuridica che possa essere fatta per regolare la vita nella società. Pertanto, tutti i fedeli cristiani e le persone di buona volontà sono chiamati a considerare la legittimità delle norme e delle politiche pubbliche alla luce della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, e non viceversa”.
Il messaggio è un invito ad esprimere un pensiero critico a seguito di una giusta informazione: “Ho seguito da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti a causa dell’avvio di un programma di deportazioni di massa. Una coscienza debitamente formata non può esimersi dal formulare un giudizio critico e dall’esprimere il proprio dissenso nei confronti di qualsiasi provvedimento che identifichi, tacitamente o esplicitamente, la condizione di illegalità di alcuni migranti con la criminalità”.
Però riconosce anche il diritto di uno Stato a proteggere i propri cittadini senza ferire la dignità di una persona: “Allo stesso tempo, deve essere riconosciuto il diritto di una nazione a difendersi e a proteggere le proprie comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel paese o prima di arrivarci. Detto questo, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado ambientale, ferisce la dignità di molti uomini e donne, di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e indifesa”.
La giustizia di uno Stato si fonda su questo principio: “Non si tratta di una questione di poco conto: un autentico Stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che tutti gli uomini meritano, soprattutto i più poveri ed emarginati. Il vero bene comune si promuove quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti (come ho affermato in numerose occasioni) accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi e vulnerabili.
Ciò non impedisce lo sviluppo di una politica che regoli la migrazione ordinata e legale. Tuttavia, la suddetta ‘maturazione’ non può essere costruita attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che si costruisce sulla base della forza, e non sulla base della verità sulla pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”.
In ciò consiste l’amore cristiano che si differenzia da quello filantropico: “Noi cristiani sappiamo bene che solo affermando l’infinita dignità di tutti può giungere a maturazione la nostra identità come persone e come comunità. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che si estendono gradualmente ad altre persone e gruppi.
In altre parole: la persona umana non è un semplice individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, può maturare gradualmente la sua identità e vocazione. Il vero ‘ordo amoris’ da promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del ‘buon samaritano’, cioè meditando sull’amore che costruisce la fraternità”.
Per il papa risulta pericoloso riflettere solo su se stessi, riconoscendo il ‘lavoro’ svolto dalla Conferenza episcopale statunitense: “Preoccuparsi dell’identità personale, comunitaria o nazionale, al di fuori di queste considerazioni, introduce facilmente un criterio ideologico che distorce la vita sociale e impone la volontà del più forte come criterio di verità.
Riconosco i preziosi sforzi di voi, cari vescovi degli Stati Uniti, mentre lavorate a stretto contatto con i migranti e i rifugiati, annunciando Gesù Cristo e promuovendo i diritti umani fondamentali. Dio ricompenserà abbondantemente tutto ciò che fai per proteggere e difendere coloro che sono considerati meno preziosi, meno importanti o meno umani!”
Il messaggio è un’esortazione alla costruzione di ‘ponti’ di fraternità: “Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a non cedere a narrazioni che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo tutti chiamati a vivere in solidarietà e fraternità, a costruire ponti che ci avvicinino sempre di più, a evitare muri di ignominia e a imparare a donare la nostra vita come Gesù Cristo ha offerto la sua, per la salvezza di tutti”.
Ed ha invitato a pregare la Madonna di Guadalupe: “Chiediamo alla Beata Vergine Maria di Guadalupe di proteggere le persone e le famiglie che vivono nella paura o nel dolore a causa della migrazione e/o della deportazione. La ‘Vergine oscura’, che ha saputo riconciliare i popoli quando erano in conflitto, ci conceda di rincontrare tutti come fratelli, nel suo abbraccio, e di fare così un passo avanti nella costruzione di una società più fraterna, inclusiva e rispettosa della dignità di tutti”.