La celebrazione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e della XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025

Apparizione di Lourdes
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.02.2025 – Vik van Brantegem] – La XXXIII Giornata Mondiale del Malato quest’anno assume carattere giubilare, sul tema «La speranza non delude» (Rm 5,5) e ci rende forti nella tribolazione. Essa cade proprio in occasione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, che si celebra oggi, l’11 febbraio. Alla grotta di Massabielle di Lourdes, dall’11 febbraio 1858 fino ad oggi, milioni di persone sono giunte per chiedere alla Vergine sostegno, forza e consolazione per affrontare l’inevitabile fatica della vita. La Giornata Mondiale del Malato fu istituita da San Giovanni Paolo II il 13 maggio 1992, con lo scopo di testimoniare una speciale attenzione verso le persone malate, che si trovano nei luoghi di cura o che sono accudite in famiglia. Da allora, ogni anno, è stato posto l’accento su temi, situazioni, realtà diverse, in un cammino ecclesiale condiviso ricco di contenuti.

L’esperienza della malattia
chiede la condivisione

È necessario una riconciliazione tra le persone ammalate e il proprio corpo, la propria storia, la comunità cristiana, la società. Quante volte, anche senza volerlo, si creano distanze enormi. Quindi, la comunità Cristiana è invitata a trovare modalità per ridurre le distanze tra i luoghi di cura, chi vive la malattia e le comunità Cristiane. La Giornata Mondiale del Malato può diventare in questo senso un’occasione preziosa per rimettere coloro che soffrono al centro dello sguardo, della preghiera e della cura delle comunità Cristiane.

Il Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute, Don Massimo Angelelli, ha commentato il Messaggio di Papa Francesco per la XXXIII Giornata Mondiale del Malato, notando che «il Santo Padre ci dice che è possibile trovare il senso in ciò che sembra esserne privo. Ciascuno di noi è chiamato a trovare la risposta di senso nella propria esperienza». Don Angelelli osserva, che «l’esperienza della malattia e della sofferenza può generare un incontro facendo emergere una domanda di senso: “perché io, perché a me, perché in questa situazione”. E questa domanda in genere viene rivolta al Dio creatore, del quale sappiamo che è la risposta di senso per ognuno di noi». Il Papa, aggiunge Don Angelelli, invita ad «accogliere l’esperienza della malattia nella fedeltà a Dio e nella dimensione del dono» ma anche della «condivisione» parlando degli «“angeli di speranza”, che sono i nostri affetti, i nostri curanti, tutte le persone attorno a noi quando sperimentiamo la sofferenza: nulla è peggio di viverla da soli. Il Papa ci dice che i malati hanno un ruolo speciale. Camminare insieme è un segno della dignità umana, è un canto di speranza. I malati non sono solo i destinatari della nostra azione ma gli agenti principali di una rinnovata testimonianza, che dà luce e speranza a tutti noi».

Messaggio del Santo Padre Francesco
per la XXXIII Giornata Mondiale del Malato
«La speranza non delude» (Rm 5,5)
e ci rende forti nella tribolazione

Cari fratelli e sorelle!
Celebriamo la XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025, in cui la Chiesa ci invita a farci “pellegrini di speranza”. In questo ci accompagna la Parola di Dio che, attraverso San Paolo, ci dona un messaggio di grande incoraggiamento: «La speranza non delude» (Rm 5,5), anzi, ci rende forti nella tribolazione.
Sono espressioni consolanti, che però possono suscitare, specialmente in chi soffre, alcune domande. Ad esempio: come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci? In tutte queste circostanze sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1808).
Fermiamoci allora un momento a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre, in particolare sotto tre aspetti che la caratterizzano: l’incontro, il dono e la condivisione.
1. L’incontro. Gesù, quando invia in missione i settantadue discepoli (cfr Lc 10,1-9), li esorta a dire ai malati: «È vicino a voi il regno di Dio» (v. 9). Chiede, cioè, di aiutare a cogliere anche nell’infermità, per quanto dolorosa e difficile da comprendere, un’opportunità d’incontro con il Signore. Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato.
La malattia allora diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita: un’esperienza che, pur nel sacrificio, ci rende più forti, perché più consapevoli di non essere soli. Per questo si dice che il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza, perché fa sperimentare vicina e reale la consolazione che viene da Dio, fino a «conoscere la pienezza del Vangelo con tutte le sue promesse e la sua vita» (S. Giovanni Paolo II, Discorso ai giovani, New Orleans, 12 settembre 1987).
2. E questo ci porta al secondo spunto di riflessione: il dono. Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo «fedeli alla fedeltà di Dio», secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl (cfr La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, Prefazione).
Del resto, solo nella risurrezione di Cristo ogni nostro destino trova il suo posto nell’orizzonte infinito dell’eternità. Solo dalla sua Pasqua ci viene la certezza che nulla, «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio» (Rm 8,38-39). E da questa “grande speranza” deriva ogni altro spiraglio di luce con cui superare le prove e gli ostacoli della vita (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 27.31). Non solo, ma il Risorto cammina anche con noi, facendosi nostro compagno di viaggio, come per i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-53). Come loro, anche noi possiamo condividere con Lui il nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni e le nostre delusioni, possiamo ascoltare la sua Parola che ci illumina e infiamma il cuore e riconoscerlo presente nello spezzare del Pane, cogliendo nel suo stare con noi, pur nei limiti del presente, quell’“oltre” che facendosi vicino ci ridona coraggio e fiducia.
3. E veniamo così al terzo aspetto, quello della condivisione. I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore! Ci si rende conto, cioè, di essere “angeli” di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche.
Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro. Sono tutte luci di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità (cfr Lc 10,25-37).
Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, «un inno alla dignità umana, un canto di speranza» (Bolla Spes non confundit, 11), la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità «la coralità della società intera» (ibid.), in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno.
Tutta la Chiesa vi ringrazia per questo! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno:
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,
e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Vi benedico, assieme alle vostre famiglie e ai vostri cari, e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.
Roma, San Giovanni in Laterano, 14 gennaio 2025
FRANCESCO

La memoria liturgica
della Beata Maria Vergine di Lourdes
e la Giornata Mondiale del Malato

L’odierna memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes ricorda le apparizioni della Vergine Maria a Lourdes, a cominciare dall’11 febbraio 1858. Protagonista di questo evento è una ragazza di nome Bernadette Soubirous, oggi annoverata tra la schiera dei Santi. Maria le appare per 18 volte nei pressi di una grotta lungo il fiume Gave. I dettagli di questa esperienza sono stati raccolti dalla Commissione diocesana incaricata di esaminare i fatti. Da qui, sappiamo che Bernadette si trovava lungo il fiume con le sue compagne quando sente una sorta di “colpo di vento” venire da una grotta. Si avvicina, ma le foglie degli alberi erano immobili. Mentre cerca di capire, sente un secondo “rumore” e vede una figura bianca che ha l’aspetto di una signora. Intimorita di avere un’allucinazione, si stropiccia gli occhi, ma Lei era sempre lì. Non sapendo cosa fare, estrae dalla tasca la corona del rosario e comincia a recitarlo: la Vergine si unisce alla sua preghiera. Nel gruppo di ragazze, c’era anche sua sorella: le confida quanto le è capitato, e così dice alla madre, giunta a casa, la quale le proibisce di tornare in quel luogo. La notizia si sparge per il paese, e il 14 febbraio Bernadette torna in quel luogo con un gruppo di amiche: avviene una seconda apparizione.
Il 18 febbraio un’altra apparizione e in questa circostanza la Vergine le chiede di tornare per 15 giorni consecutivi. Il 25 la “Signora” invita Bernadette a mangiare erba, fare gesti di penitenza, scavare con le mani per trovare dell’acqua.
Il 25 marzo, alla richiesta di Bernadette, la Vergine le dice di essere l’Immacolata Concezione: il dogma di fede era stato promulgato da Papa Pio IX l’8 dicembre 1854.
Le apparizioni durano dall’11 febbraio al 16 luglio, con cadenze diverse: 11, 14, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25, 27, 28 febbraio 1858; 1, 2, 3, 4 e 25 marzo; 7 aprile e 16 luglio. Le apparizioni vengono ufficialmente riconosciute dal vescovo di Tarbes il 18 gennaio 1862.
La fama di Lourdes la si deve non tanto all’apparizione in sé, quanto al messaggio di speranza per l’umanità sofferente nel corpo e nello spirito. A cominciare da qui, Lourdes è conosciuta come la località che accoglie malati nel corpo e nello spirito e che, per intercessione della Vergine Maria, l’Immacolata, cercano di ritrovare pace, salute e serenità. Sono 70 le guarigioni fisiche riconosciute – ad opera di un’autonoma équipe medica – e tante le conversioni.
«In quel tempo vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,1-12).
In questo quadro, si comprende il significato della memoria odierna: la Vergine Maria è colei che ancora oggi continua a intercedere per i suoi figli, ancor più i deboli e i malati nel corpo e nello spirito, a fidarsi di Gesù, Signore e Salvatore, l’unico che può trasformare l’acqua in vino; che può cioè trasformare ogni fatica in letizia, ogni lutto in speranza, ogni malattia in fiducia nuova.
Il messaggio delle nozze di Cana e quello di Lourdes portano a comprendere il perché il 13 maggio 1992 San Giovanni Paolo II ha scelto di indire in questa circostanza la Giornata Mondiale del Malato: in fondo, attraverso Lourdes viene ribadito che ogni malato, qualunque malato, non può essere mai scartato, ma necessita di trovare piena cittadinanza dentro la vita.

Foto di copertina: a Lourdes, ai piedi dei Pirenei, in una grotta sulla riva del fiume Gave presso la cittadina di Lourdes (Lorda in lingua occitana), dove innumerevoli folle di fedeli accorrono con devozione, la Madonna apparve a una giovane semplice, delicata, cagionevole di salute, figlia di una famiglia poverissima. L’11 febbraio 1858 si mostrò per la prima volta a Santa Bernadette Soubirous una “signora” molto bella, vestita di bianco, davanti alla quale la ragazza, non sapendo che fare, iniziò a pregare il Rosario. La Vergine si mostrò ancora 17 volte fino al 16 luglio. A febbraio sgorgò la famosa sorgente d’acqua prima inesistente. Ma delle diciotto apparizioni in totale, una delle più importanti fu la sedicesima, che avverrà il 25 marzo 1858. “La bella signora” rispose alla domanda della piccola contadina, che le aveva chiesto chi fosse. Bernadette raccontò: «Lei, allora, alzò gli occhi al cielo, unendo, in segno di preghiera, le Sue mani che erano tese e aperte verso la Terra, e mi disse: “Que soy era Immaculada Councepciou” (Io sono l’Immacolata Concezione)». La Madonna parlò con Bernadette nel dialetto guascone di quel territorio, l’unica lingua che la piccola contadina parla. Bisogna tener presente che Bernadette, analfabeta, non sapeva neanche cosa volessero dire quelle parole, certamente incomprensibili a una bambina che non aveva neanche frequentato il catechismo e che, anche se così fosse stato, era nell’impossibilità di entrare in un mistero di “alta teologia” così profondo, come quello della concezione immacolata della Vergine Maria. Eppure, furono proprio quelle parole a colpirla così tanto che rimasero impresse nella su memoria durante il camino per andare riferire al suo parroco, Don Peyramale che sorpreso da tale espressione, tanto che fu proprio questa a dissipare ogni dubbio sulla veridicità della testimonianza di Bernadette, perché quattro anni prima Papa Pio IX aveva promulgato il dogma dell’Immacolata Concezione. Rendere autentiche le parole della piccola contadina, in questa maniera fu la Beata Vergine Maria stessa, a confermare il dogma.
Negli ultimi cinquant’anni, la presenza di pellegrini a Lourdes non ha che continuato a crescere, accogliendo ogni anno tra i 2 ei 6 milioni di pellegrini, di cui circa l’1% di malati.