Il giorno in cui si sopprime una vita nel nome della “libertà”, può essere “uno dei più belli” della propria vita?

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.02.2025 – Vik van Brantegem] – L’On. Gilda Sportiello, Deputata del Movimento 5 Stelle, Segretario dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati, Coordinatore territoriale del Movimento 5 Stelle-Napoli, rivendica il giorno in cui 14 anni fa ha abortito, come «uno dei più belli della sua vita». Sulla questione è intervenuto, con un commento molto umano su Avvenire, Don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano, comune della Città Metropolitana di Napoli, che la criminalità organizzata ha cercato di intimorire facendo esplodere una bomba davanti al cancello della sua chiesa, nel marzo del 2022, e che si definisce “solo un prete di periferia”. Osserva: «Questa affermazione dell’onorevole, però, andrebbe gridata di meno e riflettuta di più. Per il semplice fatto che la libertà di cui, giustamente, va fiera, è costata la vita di un innocente che, senza colpa alcuna, ha dovuto rinunciare alla sua, di vita».

L’On. Gilda Sportiello sta girando l’Italia per parlare del suo libro, uscito lo scorso 25 gennaio, Potevi pensarci prima. E altri giudizi non richiesti sui nostri corpi. Ho abortito e non me ne vergogno. Nessuna persona dovrebbe. Questa è la mia battaglia politica (Rizzoli 2025, 204 pagine [QUI]). Il 7 febbraio 2025 è tornata nella sua Napoli per la presentazione presso la libreria Mondadori nella Galleria Umberto.
«In Campania la situazione per le donne che vogliono abortire è allarmante, peggiore di quella di altre regioni».
«Ho deciso di abortire in passato, deve essere una libera scelta, rompendo il tabù che ci vede condannate a doverne soffrire per sempre».
«In Campania troppi i medici obiettori di coscienza, lo sono il 70% dei ginecologi in questa regione e poi qui non si può accedere all’aborto farmacologico».
«Ho deciso di raccontare la mia esperienza in Parlamento perché l’aborto è accompagnato da uno stigma. Ricevo ancora insulti”, racconta, con alle spalle la copertina del suo testo dal titolo “Potevi pensarci prima».

Il tema della sanità in Campania è legato a quello che avverrà con le elezioni regionali alle porte. A margine della presentazione a Napoli di Potevi pensarci prima, l’ex Presidente della Camera Roberto Fico ha dichiarato: «Stiamo lavorando ad un’alleanza progressista sul modello del comune di Napoli. E partiamo dai temi. Ambiente e sanità prima di tutto». Glissa sul giudizio del governo di Vincenzo De Luca, mentre l’attacco al Governatore della Campania è arrivato dalla Dott.ssa Federica Di Martino, che nel suo intervento, l’unico in scaletta, ha detto: «Ho accompagnato una donna che doveva abortire ad Avellino perché a Salerno non è possibile. Ora bisogna cambiare. Altrimenti questa non è la mia rivoluzione».

L’intervista all’On. Sportiello sul Corriere
Sul Corriere del Mezzogiorno e il Corriere della Sera del 7 febbraio 2025 è apparso un’intervista (Quattordici anni fa ho scelto di abortire, non me ne vergogno: questa è la mia battaglia politica». La deputata ha scritto in un libro la sua storia: «Contro lo stigma sociale». Gilda Sportiello: «Vi racconto perché il giorno dopo il mio aborto è stato uno dei più belli della mia vita) a cura di Simona Brandolini all’On. Gilda Sportiello [QUI]:
«”Ancora oggi, dopo più di dieci anni, posso affermare con certezza che il giorno dopo il mio aborto è stato uno dei più belli della mia vita”. Gilda Sportiello va dritta al punto. D’altronde non ha avuto timore quando in Parlamento, il 18 aprile 2024, ha detto: “Sono madre, ho scelto di essere madre. Quattordici anni fa ho scelto di abortire, e sapete perché lo dico qui, nel luogo più alto della rappresentanza democratica di questo Paese, in cui ancora oggi qualcuno fa fatica a dire la parola “aborto” o gli tremano le gambe quando si parla di aborto? Lo dico qui perché non vorrei che nessuna donna che in questo momento volesse abortire si sentisse attaccata da questo Stato”.
Erano i giorni della discussione sull’emendamento al Pnrr che apriva le porte dei consultori pubblici alle associazioni pro-vita.
Sportiello, napoletana, 37 anni, è una deputata del Movimento 5 Stelle, e su quella battaglia e sulla sua storia ha scritto un libro, edito da Rizzoli, Potevi pensarci prima. E altri giudizi non richiesti sui nostri corpi. Il sottotitolo è un manifesto: “Ho abortito e non me ne vergogno. Nessuna persona dovrebbe. Questa è la mia battaglia politica”.
Non usa artifici retorici, né addolcisce i termini.
“D’altronde chi pone ostacoli alla libertà delle donne è violento. Quindi bisogna essere chiari”.
Lei, e lo scrive, non dà alcuna spiegazione. Dice solo: ho scelto.
“Ed è voluto. Perché la maggior parte delle volte si cercano motivazioni limite per delegittimare la scelta consapevole di non volere un figlio. Non dovrebbe e non deve interessare nessuno. Poi c’è la narrazione per spalancare le porte agli antiabortisti. Il sostegno alle donne in difficoltà che porterebbe a non scegliere di abortire. Non bastano un pacco di pannolini e una confezione di latte in polvere. Servirebbe parlare e incidere sulle politiche abitative, sul precariato. Gli stessi movimenti che usano la retorica colpevolizzante poi non ce li ritroviamo accanto quando bisogna combattere per aumentare il numero dei posti negli asili nido”.
Lei afferma che bisogna spezzare la catena dei silenzi “carburante per mandare avanti un mondo degli uomini e per gli uomini”. Che vuol dire?
“Che il silenzio è una sorta di “fine pena mai”. E soprattutto bisogna rompere uno dei tanti tabù: che si può abortire e non sentirsi in colpa. Ci sono persone e studi che testimoniano che si può essere serene e tranquille”.
Cosa intende dire quando scrive: “Il giorno dopo il mio aborto è stato uno dei più belli della mia vita”?
“È ammettere che ho avuto paura degli ostacoli che ho incontrato, che ho vissuto settimane di incertezza, interminabili. È stato il giorno più bello perché avevo il controllo della mia vita”.
Racconta però di un’altra gravidanza, successiva, che non ha potuto portare a termine. Quello lo racconta con dolore.
“Certo. Perché quella era una gravidanza desiderata. Questa è la differenza. Non è andata come speravo. E quello che mi era stato detto quando avevo vent’anni, ovvero stai commettendo un abominio, è tornato in maniera prepotente”.
Sulla sua strada lei ha trovato dei medici obiettori. Previsti dalla legge 194, però.
“Il problema sono le percentuali altissime di obiettori. La media italiana è del 60 per cento, ma si arriva a punte del 90 per cento in Molise. In Campania, secondo l’ultima relazione ministeriale, la percentuale è del 79,6 per cento, in Puglia dell’80,6 per cento, in Basilicata del 78,6 per cento. L’aborto non è solo una scelta, ma un atto medico e va rispettato il diritto alla salute delle donne. Ci sono posti in cui bisogna andare fuori regione, ci sono periodi dell’anno, come agosto, in cui è difficile trovare una struttura pubblica. Serve un limite”.
Che tempo è questo?
“Difficile. Lo stigma non riguarda solo l’aborto. Ma anche la maternità, la genitorialità. Nessuno parla della solitudine, della violenza ostetrica, della sessualità”.
Lei ne ha parlato in Parlamento.
“Perché avevo una responsabilità enorme in un momento in cui c’era un attacco alla nostra libera scelta. Ma dopo?”
Sono fioccati insulti sui social. Una sequela: assassina, mafiosa. Lei ha ringraziato la sua mamma, sua nonna, sua sorella. E il loro femminismo.
“Vengo da una situazione familiare molto lontana dalle lotte degli anni ’70. A casa mia la priorità era la quotidianità. Ma le mie donne hanno spezzato vincoli forti. E oggi posso dirmi femminista, anzi transfemminista”.
Termina il libro con una lista di voglio essere e non voglio essere. Se dovesse sintetizzare. Cosa vuole essere?
“Libera dagli stereotipi, voglio che non serva essere madri per essere definite donne”.
Cosa non vuole essere?
“In questo caso sintetizzare è più difficile. Non voglio essere giudicata, che mi si dia per scontata. Che venga considerata, in quanto donna, fragile. Che mi debbano per forza piacere i complimenti. Non vorrei la vostra violenza e la vostra invadenza”».
L’intervento di Don Patriciello su Avvenire
«La libertà di cui, giustamente, va fiera, è costata la vita di un innocente che, senza colpa alcuna, ha dovuto rinunciare alla sua, di vita»
Ascoltando quanto dice la deputata, viene a domandarsi come si fa ad essere felice dopo che si è eliminata una vita, una vita che non aveva difesa e che non poteva difendersi? Invece, propagandare la felicità per la soppressione di una vita è aberrante. Di seguito riportiamo l’intervento Perché non posso credere che il giorno dell’aborto sia bello, , pubblicato l’8 febbraio 2025 su Avvenire [QUI], di Don Maurizio Patriciello:
«”Ancora oggi, dopo più di dieci anni, posso affermare con certezza che il giorno dopo il mio aborto è stato uno dei più belli della mia vita”.
Lo afferma Gilda Sportiello, parlamentare napoletana, in quota Movimento 5 Stelle. Perché, dice, ha potuto riprendere in mano la sua vita. Capisco. Una delle esperienze più orribili che possa capitare a una persona è sentirsi prigioniero. La schiavitù è disumana.
Questa affermazione dell’onorevole, però, andrebbe gridata di meno e riflettuta di più. Per il semplice fatto che la libertà di cui, giustamente, va fiera, è costata la vita di un innocente che, senza colpa alcuna, ha dovuto rinunciare alla sua, di vita.
Non è questione di essere maschi o femmine. Non credo che riguardo all’aborto serva continuare a insistere sul fatto che essendo le donne a portare in grembo la vita nascente i maschi, a riguardo, non avrebbero diritto alla parola. Non conviene pigiare troppo questo tasto, si finirebbe per approdare su terreni minati dai quali sarebbe poi impossibile uscirne.
C’è gente – e lo sappiamo tutti, non solo chi, eletto dal popolo sovrano, siede in parlamento – c’è gente, dicevo, in giro, che è convinta di essere in diritto di esercitare diritto di vita e di morte sui propri cittadini, impedendo agli stati viciniori di metterci il becco.
Papa Giovanni Paolo II, a proposito delle guerre cosiddette civili, cioè fratricide, ebbe a parlare di “ingerenza umanitaria”. Fino a che punto posso farmi i fatti miei se al mio vicino accade qualcosa di brutto? Fino a che punto il mondo può tacere mentre uno Stato sovrano angaria – secondo noi – il proprio popolo credendo o illudendosi di metterlo al riparo contro le derive del mondo moderno? Dio per chi crede, la natura per chi non ha questo dono o di questi problemi, hanno voluto che ognuno di noi iniziasse a esistere nel grembo di una donna che sarà per sempre la sua mamma. Un dono, una condanna, o, semplicemente, un caso?
Ognuno ha la sua visione delle cose. Fatto sta che quell’esserino vorrebbe nascere e ci riuscirebbe se chi è nato prima ed è quindi più forte, non glielo impedisse. Non mi soffermo sulla legge italiana che prevede l’aborto, la conosciamo tutti. Una cosa è certa: quella fragile vita chiamata alla vita, una volta interrotta non nascerà. Non esisterà. Punto. E non nascerà perché la persona che lo portava in grembo, per motivazioni degnissime di essere ascoltate, non ha ritenuto che nascesse.
Capisco. Non giudico. Non faccio guerra a nessuno. So solo che grazie anche alla mia “ingerenza” decine di esseri umani sono nati, sgambettano, vivono, studiano, lavorano, amano, e decine di genitori non smettono di ringraziarmi. Fatti non chiacchiere.
Faccio fatica a credere che il giorno dopo aver eliminato un germe di vita nascente – identico al germe che fu la stessa donna che lo ha deciso – il giorno dopo, dicevo, possa essere uno dei più belli della propria vita. Non ci credo. Non ci credo perché so per certo che non è vero. Non ci credo perché continuo a credere che in chiunque quella vocina interiore che chiamiamo coscienza veglia notte e giorno. E quanto più lo si grida tanto più faccio fatica a crederci.
Possiamo arrivare fino alla fine del mondo, possiamo inventarci mille giustificazioni, possiamo schierarci per o contro l’aborto, possiamo entrare in questo o in quel movimento politico, assumere questa o quella ideologia, non cambia un bel niente.
Non sono gli antiabortisti a inquietare la pace delle donne che hanno rinunciato a portare a termine la propria gravidanza. Non è contro di loro che occorre alzare i toni e mostrare i muscoli. Il problema non è fuori ma dentro.
Sono un prete, una persona, quindi, che secondo la visione dell’onorevole Sportiello, essendo maschio e per giunta celibe, non avrebbe il diritto a parlare di queste cose. Ma questo è un errore madornale.
La stessa cosa me la volevano imporre coloro che avvelenarono la mia terra, che è anche quella della Sportiello. Anche dai camorristi mi fu fatto arrivare il medesimo “consiglio”: “Non impelagarti in cose che non ti riguardano, ti farai male…”. La tentazione di zittire l’avversario è sempre dietro l’angolo. Ma riguardo alla vita nessuno è avversario di nessuno.
Se riusciamo a salvare un solo bambino dalla fogna abbiamo vinto tutti.
Certo, ognuno va per la sua strada. Le ore più tragiche dopo aver preso una decisione tanto seria non sono quelle trascorse con gli amici ma quelle dopo la mezzanotte, soprattutto per chi soffre di insonnia.
Quando con gli occhi spalancati a fissare il buio ci rendiamo conto di essere davvero poca cosa di fronte all’immensità dell’universo e alla lunghezza dei millenni.
Quando ci accorgiamo che la nostra tanto decantata libertà deve fare i conti con la terra che trema, l’aereo che cade, il tempo che passa, le rughe che appaiono, il cancro che arriva, il cuore che cede, l’innamorato che tradisce, l’amico che se ne frega, gli imbrogli che ci assediano.
Quando la vita che non facemmo nascere, per quanto tentiamo di zittirla, non smette di gridare e pretende di essere ascoltata. Le leggi sono leggi e vanno rispettate. Ma sono pur sempre leggi degli uomini. Possono essere osservate, raggirate, modificate, migliorate, peggiorate. Cose risapute. Quante leggi del passato, oggi, ci fanno inorridire!
È la legge della propria coscienza la più difficile da abbindolare. E quella legge, grazie a Dio o al caso, dentro di noi non tace né tacerà mai».
Chi è don Patriciello, il parroco che non si piega alla camorra
“Sono solo un prete di periferia”
di Fabiana Cofini
RaiNews.it, 11 maggio 2024
“Sono solo un povero prete di periferia. Non ho mai toccato una pistola. Le mie armi sono il Vangelo e la preghiera”.
Così Don Maurizio Patriciello, il prete simbolo della lotta in prima linea contro la criminalità organizzata, si rivolgeva a chi aveva cercato di intimorirlo, facendo esplodere una bomba davanti al cancello della sua chiesa, nel marzo del 2022. L’utlima di una serie di intimidazioni.
“Non posseggo niente. Di che avevano paura queste persone che hanno scelto la via del male? In che cosa avrei potuto danneggiarli? I camorristi hanno bisogno del silenzio omertoso dei cittadini più del pane. Odiano la libertà. Tiranneggiano il nostro popolo. Lo vogliono condannare a morte. Ma non rinunciano all’ebbrezza di essere ipocritamente osannati e riveriti. Non vogliono bene a nessuno, nemmeno ai loro stessi figli, ai quali aprono le porte del carcere o del camposanto. Questi scempi vanno denunciati. Ad alta voce. L’ho fatto. A loro non piace. E arrivano le minacce”, continuava il Parroco di Caivano.
Un padre scomodo
Nato a Frattaminore, in provincia di Napoli, nel 1955. Paramedico scrupoloso, lavorava a 100 metri da casa. Poi nel 2013 la “conversione”. Un passaggio in auto a un sacerdote francescano, di quelli che per ubbidienza alla povertà, scalzi, viaggiano in autostop, lo aveva incuriosito. Proprio lui, lontano dalla Chiesa da tempo. Alla fine Patriciello a 30 anni si iscrive a Teologia e poi diventa prete.
Il vescovo lo invia a Parco Verde di Caivano, nel napoletano, dove si contano 13 piazze di spaccio per un business di 100 milioni di euro all’anno. Da allora è impegnato in prima linea nella lotta per la tutela del territorio inquinato dalle discariche industriali inquinanti e radioattive, la cosiddetta Terra dei fuochi.
La battaglia e la vita sotto scorta
Costretto a vivere sotto scorta dal 2022 per le minacce ricevute dalla camorra di cui ha denunciato l’oppressione “ad alta voce”, si è scagliato soprattutto contro il malaffare nella cosiddetta Terra dei fuochi. Per il cattivo odore che aleggia nel quartiere a volte non è riuscito a celebrare la messa, vedendo poi morire di tumore il fratello Franco.
Per denunciare la criminalità sul suo territorio Don Maurizio ha fatto ricorso anche ai social network su cui ripetutamente ha messo in evidenza una situazione ormai insostenibile tra degrado, mafia e pericoli per la salute, arrivando alla ribalta nazionale.
Proprio attraverso i social il sacerdote ha commentato l’operazione della polizia dopo l’attentato intimidatorio del 2022 in un post sulla sua pagina Facebook: «Mi avete costretto, fratelli camorristi, a vivere sotto scorta – scrive don Patriciello –. Mi pesa. Non lo avrei mai pensato. Fa niente. Vi perdono. Vi abbraccio. Vi chiedo però di cambiare vita. Per il nostro bene. Per il vostro bene. Per il bene dei vostri figli».
L’incontro con la Premier Meloni
Il sacerdote ha più volte riconosciuto al governo e al Presidente del Consiglio Meloni, di avere per la prima volta, dopo tante richieste precedenti inascoltate, agito concretamente sul territorio di Caivano, dopo che lui aveva sollecitato la premier a visitare il quartiere periferico.
Dopo l’operazione della polizia a Parco verde, il sacerdote ha scritto in un post sulla sua pagina Facebook: “La sua risposta rapida mi ha lasciato davvero sbalordito. Avevo conosciuto Matteo Renzi e Giuseppe Conte, ma la differenza con la Meloni è che lei ha davvero preso in mano la situazione”.
Dopo il blitz, Caivano è diventato un modello di intervento del Governo nelle zone svantaggiate; del resto, anche il pacchetto di interventi, il cosiddetto “decreto Caivano”, prende il nome proprio dalla cittadina del Napoletano. Pur sottolineando l’importanza del maggior numero di forze dell’ordini presenti in strada per i pattugliamenti, Patriciello però non si accontenta e ha chiesto alle istituzioni un ulteriore sforzo: Dopo la polizia a Caivano “serve anche un esercito di maestri e assistenti sociali”.
Ogni bambino nato, ogni comunione, ogni lezione di catechismo, ogni manifestazione di vita restano per Don Patriciello, la ragione della sua missione a Caivano. La difesa della sua parrocchia, baluardo contro la deriva criminale che fagocita giovani vite, continua a essere lo scopo della sua battaglia.
- L’insultocrazia, un estrinsecarsi della capocrazia con il suo quasismo e inciucio. La sconfitta dell’illegalità al “Cuore Verde” di Caivano – 1° giugno 2024 [QUI]