La libertà in cambio della pace? Il dilemma straziante degli Armeni. Come è dura accompagnare il nemico a disegnare i confini che esige per sé

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.02.2025 – Renato Farina] – La prima notizia è che, mentre adesso vi scrivo, si stanno fissando i confini certi e riconosciuti dalle due parti tra Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbajgian, per poter passare a un vero e proprio trattato di pace. Insomma: oggi non moriremo, ma è tutto proprio giusto quel che si sta facendo? Non do giudizi, se questo sia bene o sia male. Il Premier Nikol Pashinyan ha scelto questa strada, rinunciare a un pezzo di noi, l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) per salvare la nazione. O meglio: ha ceduto la sovranità di quella regione armena – promette – cercando di trattare per il ritorno su quella terra dei 120mila Armeni avendo lo statuto di regione autonoma tipo il Sud Tirolo.
Ci credete? Io poco. Contentarsi intanto che la temperatura sotto le ascelle non sia bruciante, ma appena appena sotto i 37°? In fondo questo consola persino me che sono ribelle ed eretico. Mi adagio sotto le stelle che scintillano tremolanti sul lago di Sevan, e vorrei tanto che la cometa mi accarezzasse come capitò ai magi partiti a un giorno di cammello più a sud del mio villaggio partirono per Betlemme. Pace, pace. Troppo sangue è stato versato qui e altrove, e la terra intera ne è satolla ed anche il cielo stilla gocce rosse. Per cui sia benedetta questa tregua. Ma è pace?
E la libertà? Un giorno, una settimana, un mese senza sangue, valgono la rinuncia a lottare per la libertà e l’autodeterminazione (per quel tanto che a un popolo sia possibile)? Come è difficile e stretto il sentiero sui crinali dirupati della patria che il nemico esige per sé. Com’è dura accompagnarlo a disegnare i confini…
Questo passo è considerato indispensabile per impedire che la legge della forza bruta consenta al dittatore Aliyev di deciderli unilateralmente, e – non essendo mai stati nel dettaglio ufficializzati – siano infine accettati dalla comunità internazionale. Insomma, con la pistola alla tempia, sognando Trump (illusione?), intanto si evita il peggio, cioè l’esplodere devastante di una guerra non solo strisciante ma frontale, dove i miei fratelli sarebbero portati via come batuffoli da un tornado (e io con loro, perché loro = io).
Una sveglia da Israele
Questa aleatorietà ha finora consentito al Paese ricco e prepotente di erodere in questi ultimi due anni, dopo essersi impossessato dell’Artsakh, il territorio abitato dagli Armeni. Per di più circondato dall’affetto e dalla protezione politica dei clienti del suo gas e a lui fornitori di armi ad alta tecnologia. Due Stati di popoli a me cari hanno accettato questo scambio: Israele e l’Italia.
È uscito nelle scorse settimane sul Jerusalem Post l’articolo del diplomatico Nadav Tamir, che servì come consigliere il Presidente defunto Simon Peres. Egli contesta un intervento dell’attuale Ambasciatore di Gerusalemme a Baku intitolato Perché gli Ebrei hanno bisogno dell’Azerbajgian (uscito su The Jerusalem Post, il 16 dicembre 2024). Scrive: “Il Dott. Mordechai Kedar ha esaltato l’Azerbajgian come un faro di amicizia per Israele e un modello di tolleranza in una regione ostile. Come ex diplomatico non ignoro mai le considerazioni di Realpolitik e riconosco che l’alleanza strategica tra Israele e Azerbajgian serve senza dubbio certi interessi geopolitici ed economici, in particolare per il petrolio e la vicinanza all’Iran. Tuttavia, l’inno all’Azerbajgian come modello di virtù richiede un esame più attento. La realtà è ben lontana dalla rappresentazione brillante di Kedar. Sotto il governo ferreo del Presidente Ilham Iliev, l’Azerbajgian è uno dei regimi più dispotici al mondo”. Cita il Nagorno-Karabakh.
Aggiunge: “L’enfasi di Kedar sulla tolleranza dell’Azerbajgian nei confronti della sua comunità ebraica, sebbene degna di nota, non assolve il regime. La tolleranza per una minoranza non scusa l’oppressione strategica degli altri Sì, l’Azerbajgian ha una popolazione ebraica piccola e relativamente ben trattata e i suoi rapporti con Israele sono cordiali. Ma la tolleranza tattica per una minoranza non scusa l’oppressione strategica degli altri. Acclamare l’Azerbajgian come modello di coesistenza ignorando la sua persecuzione degli Armeni e la sua repressione del dissenso interno significa impegnarsi in un pericoloso candeggio”. E conclude. “I patti faustiani” nel lugo periodo travolgono chi li sottoscrive per opportunismo.
Un dannato miracolo per il nemico
La Patria non è solo casa mia e tua, è quella di tutti, perché questo ho imparato dal Vangelo e dai miei fratelli Armeni: nulla ci è estraneo, qualsiasi dolore, ci appartiene. È la compassione di Gregorio l’Illuminatore per il Re Tiridate III che da undici anni lo teneva schiavo in una fossa, ma che ammalatosi, ormai morente, lo pregò di aiutarlo. E Gregorio per dare nuovi anni di vita e tirannide a Tiridate e di tortura per sé stesso ottenne da Dio la sua guarigione. Questo successe: la pietà del perseguitato per il persecutore commosse Dio al punto di aver riguardo del malvagio. Un dannato miracolo per il nemico! Ma questa gratuita compassione sciolse il cuore di pietra del re. Il quale – liberamente – si convertì, cambio direzione ai propri desideri e pensieri. Si inginocchiò e invocò il sigillo Cristiano sulla sua carne, mente, spirito: tutto. Era il 301 dopo Cristo, il popolo intero fu battezzato seguendo il re. Erano passati 260 anni dacché in quell’angolo di mondo dov’era approdata l’Arca di Noè era stato annunciato il Vangelo dai due apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo. Subirono il martirio (Bartolomeo esagerò, e versò non solo il sangue, ma dette letteralmente la pelle per Cristo, per gli Armeni e gli Albani, antichi abitatori del Caucaso meridionale, come documenta la statua nel Duomo di Milano, mentre Giuda consegnò la sua vita insieme a Simone in Persia). E finalmente il seme dei loro corpi marciti fiorì. L’ebbe vinta l’amore e la pietà di Gregorio (e di Dio) sull’empietà del tiranno.
La certezza morale mi fa dire che i responsabili degli Stati che adottano un doppio standard a seconda della convenienza contingente dannano sé stessi e soprattutto il loro popolo. E allora quali scelte mettere in atto? Fino a che punto sacrificare alcuni fratelli Armeni per la pace mia e tua? Mi limito a chiedere tutto, libertà e pace, che chiese e ottenne con la sua pietà Gregorio. Non ho la stessa sua carità. Tiridate appena mi avesse tirato su dalla fossa l’avrei strozzato. O no? Come pregate voi Cattolici così faccio io: Mater boni consilii, ora pro nobis.
Il Molokano
Questo articolo è stato pubblicato in forma leggermente ridotta sull’edizione cartacea di Tempi del 1° febbraio 2025.