Strenna Salesiana: speranza è far vivere il paradiso

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Alcune settimane fa nella Casa Generalizia dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Roma don Stefano Martoglio, vicario generale dei Salesiani di Don Bosco, alla guida della Congregazione salesiana dopo le dimissioni del card. Ángel Fernández Artime, ha presentato la Strenna che accompagna in quest’anno la Famiglia Salesiana, intitolata ‘Ancorati alla speranza, pellegrini con i giovani’, in comunione con il cammino della Chiesa che vive il Giubileo, invito ad approfondire le ‘ragioni della nostra speranza’:

“Non è senza emozione che mi rivolgo a tutti e a ciascuno in questo tempo di grazia segnato da due importanti avvenimenti per la vita della Chiesa e per quella della nostra Famiglia: il Giubileo dell’anno 2025, iniziato solennemente il 24 dicembre scorso con l’apertura della porta santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, e la ricorrenza del 150° anniversario della prima spedizione missionaria voluta dal nostro padre don Bosco, partita l’11 novembre 1875 alla volta dell’Argentina e di altri paesi del continente americano”.

Quindi la Strenna ricorda, nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario della prima spedizione missionaria dei Salesiani di Don Bosco e l’inizio del Triennio verso il 150° dalla prima spedizione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di ravvivare lo slancio missionario che caratterizza non solo il missionario/la missionaria ad gentes, ma ogni cristiano/a, ogni comunità:

“Don Bosco da Valdocco getta il cuore oltre ogni confine, mandando i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda oltre ogni sicurezza umana, li manda per portare avanti ciò che lui aveva cominciato. Si mette in cammino con gli altri, sperando ed infondendo speranza. Li manda e basta e i primi (giovani) confratelli partono e vanno. Dove? Nemmeno loro sanno! Ma si affidano alla speranza, obbediscono.

Perché è la presenza di Dio che ci guida. In quell’obbedienza ricca di entusiasmo trova nuova energia anche la nostra attuale speranza e ci spinge a metterci in cammino come pellegrini. Ecco perché questo anniversario va celebrato: perché ci aiuta a riconoscere un dono (non una conquista personale, ma un dono gratuito, del Signore), ci permette di ricordare e, dal ricordo, di prendere forza per affrontare e costruire il futuro”.

Tale ricorrenza non può essere disgiunta dall’anno giubilare, in quanto Cristo è la speranza: “Siamo convinti che niente e nessuno potrà separarci da Cristo. Perché è a lui che vogliamo e dobbiamo rimanere aggrappati, ancorati. Non possiamo camminare senza la nostra ancora. L’ancora della speranza è, dunque, Cristo stesso, che porta le sofferenze e le ferite dell’umanità sulla croce in presenza del Padre.

L’ancora, infatti, ha la forma della croce, e per questo veniva raffigurata anche nelle catacombe per simboleggiare l’appartenenza dei fedeli defunti a Cristo Salvatore. Quest’ancora è già saldamente attaccata al porto della salvezza. Il nostro compito è quello di attaccare la nostra vita ad essa, la corda che lega la nostra nave all’àncora di Cristo”.

E la speranza non è un ‘fatto’ privato: “Tutti noi portiamo nel cuore delle speranze. Non è possibile non sperare, ma è anche vero che ci si può illudere, considerando prospettive e ideali che non si realizzeranno mai, che sono solo delle chimere e specchietti per le allodole. Molto della nostra cultura, specialmente occidentale, è piena di false speranze che illudono e distruggono o possono rovinare irrimediabilmente l’esistenza di singoli e di intere società”.

Quindi la speranza non significa solamente avere un pensiero positivo: “Secondo il pensiero positivo basta sostituire i pensieri negativi con altri positivi per vivere più felici… Conclusione, se bastasse la nostra volontà di pensare positivamente per essere felice, allora ognuno sarebbe l’unico responsabile della propria felicità. Paradossalmente, il culto alla positività isola le persone, le rende egoiste e distrugge l’empatia, perché le persone sono sempre più impegnate solo con sé stesse e non si interessano della sofferenza degli altri.

La speranza a differenza del pensiero positivo non evita la negatività della vita, non isola ma unisce e riconcilia, perché il protagonista della Speranza non sono io, focalizzato sul mio ego, trincerato esclusivamente su me stesso, il segreto della Speranza siamo noi. Per questo, sorelle alla Speranza sono l’Amore, la Fede e la Trascendenza”.

Ecco il motivo per cui la speranza è il fondamento della missione: “Coraggio e speranza sono un abbinamento interessante. Infatti, se è vero che è impossibile non sperare, è altrettanto vero che per sperare è necessario il coraggio. Il coraggio nasce dall’avere lo stesso sguardo di Cristo, capace di sperare contro ogni speranza, di vedere soluzione anche là dove apparentemente sembrano non esserci vie d’uscita.

E quanto è ‘salesiano’ questo atteggiamento! Tutto ciò richiede il coraggio di esser se stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni. Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa”.

Quindi ha richiamato il ‘sogno’ che san Giovanni Bosco fece nel 1881: “Il contenuto del sogno comporta certamente, nella mente di don Bosco, un importante quadro di riferimento per la nostra identità vocazionale. Ebbene, il personaggio del sogno, come noto, porta sulla parte frontale il diamante della speranza, che sta a segnalare la certezza dell’aiuto dall’alto in una vita tutta creativa, impegnata cioè a progettare quotidianamente delle attività pratiche per la salvezza, soprattutto della gioventù. Insieme agli altri simboli legati alle virtù teologali, emerge la fisionomia di una persona saggia e ottimista per la fede che lo anima, dinamica e creativa per la speranza che lo muove, sempre orante e umanamente buono per la carità che lo permea”.

Per tale motivo don Bosco è stato ‘uno dei grandi della speranza’: “Il suo spirito salesiano è tutto permeato dalle certezze e dall’operosità caratteristiche di questo dinamismo audace di Spirito Santo. Mi soffermo brevemente a ricordare come don Bosco abbia saputo tradurre nella sua vita l’energia della speranza sui due versanti: l’impegno per la santificazione personale e la missione di salvezza per gli altri; o meglio (e qui risiede una caratteristica centrale del suo spirito) la santificazione personale attraverso la salvezza degli altri”.

Da tali elementi costitutivi della speranza derivano alcuni frutti, di cui il primo è la gioia: “Lo spirito salesiano assume la gioia della speranza per una affinità tutta propria. Persino la biologia ce ne suggerisce qualche esempio. La gioventù che è speranza umana (e quindi suggerisce una certa analogia con il mistero della speranza cristiana), è avida di gioia. E noi vediamo don Bosco tradurre la speranza in un clima di gioia per la gioventù da salvare… Una gioia che procede, in definitiva, dalle profondità della fede e della speranza”.

Un altro frutto è la pazienza: “Ogni speranza comporta un indispensabile corredo di pazienza. La pazienza è un atteggiamento cristiano, legato intrinsecamente con la speranza nel suo non breve ‘non-ancora’, con i suoi guai, le sue difficoltà e le sue oscurità. Credere alla risurrezione e operare per la vittoria della fede, mentre si è mortali e immersi nel caduco, esige una struttura interiore di speranza che porta alla pazienza…

Lo spirito salesiano di Don Bosco ci ricorda sovente la pazienza. Nell’introduzione alle Costituzioni Don Bosco ricorda, alludendo a san Paolo, che le pene che dobbiamo sopportare in questa vita non hanno confronto con il premio che ci attende: ‘Era solito dire: coraggio! La speranza ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe mancare’… La speranza è madre della pazienza e la pazienza è difesa e scudo della speranza”.

Il terzo frutto della speranza è la sensibilità educativa: “Non dobbiamo rinchiudere il nostro sguardo dentro le pareti di casa. Siamo stati chiamati dal Signore a salvare il mondo, abbiamo una missione storica più importante di quella degli astronauti o degli uomini di scienza… Siamo impegnati nella liberazione integrale dell’uomo. Il nostro animo deve aprirsi a visioni molto ampie. Don Bosco voleva che fossimo ‘all’avanguardia del progresso’ (e si trattava, quando disse questa frase, di mezzi di comunicazione sociale)”.

Da qui deriva la sua ‘magnanimità’ verso i giovani: “Il suo cuore palpitava con quello della Chiesa universale, perché si sentiva quasi investito della responsabilità di salvezza di tutta la gioventù bisognosa del mondo. Voleva che i Salesiani sentissero come propri tutti i più grandi e urgenti problemi giovanili della Chiesa per essere disponibili ovunque. E, mentre coltivava la magnanimità dei progetti e delle iniziative, era concreto e pratico nella loro realizzazione, con il senso della gradualità e con la modestia degli inizi”.

Per questo san Giovanni Bosco ha sollecitato sempre gli adulti a raccontare ai giovani il paradiso: “Il mondo ha urgente bisogno di profeti che proclamino con la vita la grande verità del Paradiso. Non un’evasione alienante, ma un’intensa realtà stimolante! Dunque, nello spirito di don Bosco è costante la preoccupazione di curare la dimestichezza con il Paradiso, quasi a costituirne il firmamento della mente, l’orizzonte del cuore salesiano: lavoriamo e lottiamo sicuri di un premio, guardando alla Patria, alla casa di Dio, alla Terra promessa”.

La ‘Strenna’ si conclude con l’invito ad invocare la Madre di Dio: “In questo cammino siamo invitati a volgere lo sguardo a Maria, la quale si fa presente come aiuto quotidiano, come Madre precorritrice e ausiliatrice. Don Bosco è sicuro di questa sua presenza tra noi e vuole dei segni che ce lo ricordino. Per Lei ha edificato una Basilica, centro di animazione e diffusione della vocazione salesiana. Voleva la Sua immagine nei nostri ambienti di vita; vincolava ogni iniziativa apostolica alla Sua intercessione e ne commentava con commozione la reale e materna efficacia…

Lei ci testimonia che sperare è affidarsi e consegnarsi, ed è vero tanto per l’esistenza come per la vita eterna. In questo cammino la Madonna ci prende per mano, ci insegna come fidarci di Dio, come consegnarci liberamente all’amore trasmesso da suo Figlio Gesù”.

(Tratto da Aci Stampa)

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