Cei: la missione è centrale per la formazione dei sacerdoti

Sacerdote con Rosario
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“All’origine della formazione presbiterale sta la Parola di Dio che raggiunge il chiamato domandando di essere da lui accolta. Quando ciò avviene, la Parola comincia ad agire efficacemente in tutta la persona (‘vi farò diventare’), rimanendo il fondamentale principio formativo verso una particolare configurazione a Cristo Signore, in unione d’amore, con la mediazione della Chiesa che riconosce, custodisce, accompagna l’opera di Dio”: nei giorni scorsi è entrato in vigore, ad experimentum per tre anni, il documento ‘La formazione dei presbiteri nelle Chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari’, approvato dalla 78^ Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi a novembre di due anni fa.

Il testo, che ha ottenuto la conferma della Santa Sede con decreto del Dicastero per il Clero, presenta un iter formativo al presbiterato articolato in due tempi: una prima fase di carattere iniziatico, dedicata alla costruzione della consistenza interiore, in un rapporto educativo forte con i formatori, attraverso lo sviluppo di una solida vita spirituale, l’applicazione seria allo studio e alla preghiera, una vita comunitaria intensa, la conoscenza di sé. La seconda fase è dedicata alla scoperta del Popolo di Dio e al maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al presbiterato.

Nel primo capitolo si risponde alla domanda su quale prete si debba formare e per quale Chiesa. Per questo, da una parte, si assume la formazione permanente in alcuni suoi elementi, ritenuti necessari al presbitero italiano odierno, come paradigma della formazione in Seminario; dall’altra, si accentuano decisamente le due dimensioni della missione e della comunione come orizzonte fondamentale di tale formazione:

“La liturgia ben vissuta è lo spazio quotidiano in cui, sia il seminarista che il presbitero, insieme con le loro comunità, possono cogliere gli appelli alla conversione permanente e attingere alla grazia che consente la prosecuzione del processo di configurazione a Cristo Servo, Pastore e Sposo. La liturgia, infatti, è paradigma della vita cristiana e, per essere vissuta in modo efficace e fruttuoso, deve inserirsi in un contesto comunitario aperto all’ascolto profondo del Vangelo e dei fratelli e delle sorelle. Lì nasce e si sviluppa una comunità che dall’ascolto del Signore diviene disponibile alla comunione fraterna, pronta al servizio dei poveri, alla missione verso coloro che non conoscono il Signore e al dialogo con chiunque il Signore ponga sulla nostra strada”.

Nel secondo capitolo la pastorale vocazionale è presentata come impegno di tutta la comunità ecclesiale, passando poi a specificare le modalità di accompagnamento vocazionale dei ragazzi e dei giovani, basato su una seria formazione spirituale: “La proposta educativa, strutturata nelle quattro dimensioni (umana, spirituale, intellettuale e pastorale) si declina nel vissuto ordinario, fatto di proposte di gioco, laboratori, percorsi formativi, incontri con testimoni, esperienze di carità, colloqui con i formatori, studio, momenti di ritiro, tempi di rielaborazione del vissuto, permette a chi vi aderisce di integrare gradualmente fede e vita e di interrogare il proprio vissuto e la propria storia con autenticità e alla luce del Vangelo”.

Perciò sono delineate alcune ‘caratteristiche’: “Alcuni tratti genuini che testimoniano il cammino di crescita sono: la capacità di intessere relazioni con tutti, l’amore per la verità, lo spirito di iniziativa, l’assunzione responsabile dei propri impegni, la rielaborazione delle esperienze vissute, il superamento delle ansie da prestazione e degli atteggiamenti compiacenti, la consegna di sé nella trasparenza e l’orientamento ad una scelta di vita. L’esito di tale percorso può essere la decisione di iniziare il cammino nell’anno propedeutico oppure di continuare un discernimento vocazionale”.

Il terzo capitolo presenta le quattro tappe dell’itinerario formativo proposto dalla Ratio fundamentalis: propedeutica (un anno), discepolare (due anni), configuratrice (quattro anni) e di sintesi vocazionale (un anno), ponendo attenzione anche alla dimensione ‘affettivo-sessuale’ del candidato: “La dimensione affettivo-sessuale è un’area di primaria importanza per l’efficacia del ministero presbiterale vissuto in una prospettiva di amore-carità, dono di sé; nella libertà intima e relazionale che nel celibato (secondo la tradizione latina) trova un contesto di particolare fecondità e apertura nelle relazioni con persone, donne e uomini, giovani e anziani, laici, famiglie e consacrate/i, che animano le nostre comunità. L’attuale contesto socio-culturale, insieme a contraddizioni e ambiguità, offre particolari opportunità di crescita più autentica in questo ambito. La libertà con cui si affrontano oggi questi temi è buona premessa perché anche nel contesto della formazione dei candidati al presbiterato ci possano essere frutti di sempre maggiore maturità umana, affettiva, psichica e spirituale”.

In questo discernimento è importante la relazione: “Durante il discernimento e il percorso formativo, i formatori devono favorire nei candidati uno stile relazionale aperto alla discussione e fondato sulla sincerità. Occorre infatti stimolare il candidato ad una profonda autovalutazione attraverso il confronto con l’altro in un percorso di maturazione finalizzato al raggiungimento di un equilibrio generale che permetta al candidato di prendere sempre più consapevolezza e coscienza di sé, della propria personalità e di tutte le parti che contribuiscono a definirla, compresa quella sessuale e il proprio orientamento, in modo da integrarle e gestirle con sufficiente libertà e serenità, coerentemente con la natura e gli obiettivi propri della vocazione presbiterale. E’ essa a ispirare vita e stile relazionale del sacerdote celibe e casto”.

In tale capitolo un paragrafo è ‘dedicato’ alla formazione della personalità del candidato, ovvero sulla castità: “Nel processo formativo, quando si fa riferimento a tendenze omosessuali, è anche opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, così come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale… La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore”.

E’ un superamento per migliorare la propria consapevolezza: “Questo non significa solo controllare i propri impulsi sessuali, ma crescere in una qualità di relazioni evangeliche che superi le forme della possessività, che non si lasci sequestrare dalla competizione e dal confronto con gli altri e sappia custodire con rispetto i confini dell’intimità propria e altrui. Essere consapevole di ciò è fondamentale e indispensabile per realizzare l’impegno o la vocazione presbiterale, ma chi vive la passione per il Regno nel celibato dovrebbe diventare anche capace di motivare, nella rinuncia per esso, le frustrazioni, compresa la mancata gratificazione affettiva e sessuale”.

Per questo i vescovi chiedono più attenzione verso chi chiede di essere ammesso in seminario: “Massima attenzione dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione al Seminario maggiore non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito.”

Nel quarto capitolo si parla della formazione nel Seminario Maggiore che viene presentata come unica, integrale, comunitaria e missionaria: non si esaurisce nell’apprendimento di nuovi contenuti, né si limita ai comportamenti morali o disciplinari, ma deve riguardare il campo delle motivazioni e delle convinzioni personali, è formazione della coscienza: “I candidati al presbiterato siano perciò provocati ad avere cuore e mentalità missionari, ad allargare gli orizzonti del loro impegno apostolico e a essere disponibili alla missione.

C’è una missionarietà del cuore che si manifesta nella piena disponibilità a ‘faticare’ per il Vangelo ed a privilegiare l’incontro con chi non crede o non pratica; c’è una missionarietà all’interno della Diocesi e delle parrocchie, che richiede disponibilità all’itineranza e alla mobilità interparrocchiale; c’è una missionarietà ad gentes, che si esprime nel servizio come preti fidei donum e nella cooperazione fra le Chiese”.

Nel quinto capitolo  è recepita la richiesta emersa nel Cammino sinodale di allargare la condivisione dell’opera formativa dei seminaristi: “Coloro che entrano in seminario sono chiamati innanzitutto a confrontarsi per avere conferma che il Signore li chiami a vivere la grazia battesimale nella forma specifica del ministero presbiterale. Per verificare la chiamata del Signore bisogna che essi si mettano ai piedi del Maestro, per essere con lui, frequentarlo, conoscerlo e diventare continuamente discepoli missionari nella vita con gli altri, mettendo alla prova sé stessi. , coinvolgendo la comunità ecclesiale e invitando a pensare creativamente le forme di collaborazione possibili con particolare riguardo alla figura femminile”.

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