Da Gaza un appello alla pace

Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha concluso questa mattina la sua visita di solidarietà alla comunità cristiana di Gaza rientrando a mezzogiorno a Gerusalemme; durante la visita, fa sapere il Patriarcato latino, “il cardinale ha presieduto la celebrazione eucaristica della Natività del Signore presso la Chiesa della Sacra Famiglia, pregando con i fedeli e portando un messaggio di speranza e resilienza alla comunità parrocchiale. Sua Beatitudine ha anche incontrato l’arcivescovo Alexios nella parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio, sottolineando lo spirito di fraternità e di unità tra le comunità cristiane di Gaza”.
Il patriarca, spiegano dal Patriarcato, ha anche visionato “le iniziative di aiuto umanitario in corso organizzate dal Patriarcato latino e dal Sovrano Ordine di Malta. Ha verificato i risultati delle consegne di aiuti e ha valutato i bisogni urgenti della comunità locale. Insieme alla parrocchia locale, ha confermato le prossime tappe degli aiuti umanitari e ha approvato i piani e le iniziative per l’apertura della scuola”. Infine il patriarca “prega affinché questo Natale porti una rinnovata speranza per la fine della tragedia in corso a Gaza e nella regi regione in generale, segnando l’inizio di un futuro più luminoso e pacifico per tutti”.
In tale visita ieri il patriarca di Gerusalemme ha officiato a Gaza la celebrazione eucaristica di Natale alla chiesa della Santa Famiglia, esprimendo la propria gioia: “Innanzitutto esprimo la mia grande gioia di essere oggi in mezzo a voi e vi porgo i saluti di tutti coloro che vi trasmettono il loro amore, le loro preghiere e la loro solidarietà. Tutti volevano venire a stare con voi e portare doni, ma non abbiamo potuto portare molto. Siete diventati la luce della nostra Chiesa nel mondo intero”.
Il card. Pizzaballa a Gaza ha parlato di luce: “A Natale celebriamo la luce e ci chiediamo: dov’è questa luce? La luce è qui, in questa chiesa. L’inizio della luce è Gesù Cristo, che è la fonte della nostra vita. Se siamo una luce per il mondo, è solo grazie a Lui. A Natale, prego che Gesù ci conceda questa luce”.
Una luce che sappia squarciare le tenebre ordite dagli uomini: “Viviamo in un tempo pieno di tenebre, e non c’è bisogno di approfondire perché lo sapete bene. In questi momenti, dobbiamo innanzitutto guardare a Gesù, perché Lui ci dà la forza di sopportare questo periodo buio. Nell’ultimo anno abbiamo imparato che non possiamo fare affidamento sugli uomini.
Quante promesse sono state fatte e mai mantenute? E quanta violenza e odio sono nati a causa delle persone? Per rimanere saldi nella speranza, dobbiamo essere profondamente radicati in Gesù. Se siamo legati a Lui, possiamo guardarci l’un l’altro in modo diverso”.
Nell’omelia ha parlato chiaramente di una speranza che la guerra terminerà con la Chiesa che sarà a fianco di questo popolo che abita Gaza: “Non so quando o come finirà questa guerra, e ogni volta che ci avviciniamo alla fine, sembra di ricominciare da capo. Ma prima o poi la guerra finirà e non dobbiamo perdere la speranza. Quando la guerra finirà, ricostruiremo tutto: le nostre scuole, i nostri ospedali e le nostre case.
Dobbiamo rimanere resilienti e pieni di forza. E ripeto: non vi abbandoneremo mai e faremo tutto il possibile per sostenervi e assistervi. Ma soprattutto non dobbiamo permettere all’odio di infiltrarsi nei nostri cuori. Se vogliamo rimanere una luce, dobbiamo mettere i nostri cuori a disposizione solo di Gesù”.
Tale situazione è una ‘sfida’ per la fede, ribadendo che Dio è l’Emmanuele: “Quest’anno è stato una sfida significativa per la nostra fede, per tutti noi e soprattutto per voi… Dobbiamo rimanere saldi nella nostra fede, pregare per la fine di questa guerra e confidare completamente nel fatto che, con Cristo, nulla può vincerci”.
Ma nelle tenebre è sorta una Luce: “Nonostante la violenza di cui siamo stati testimoni lo scorso anno, abbiamo assistito anche a molti miracoli. In mezzo alle tenebre, c’erano persone che volevano aiutare e non si sono fatte ostacolare da nulla. Il mondo intero, non solo i cristiani, ha voluto sostenervi e stare al vostro fianco. La guerra finirà e ricostruiremo di nuovo, ma dobbiamo custodire i nostri cuori per essere capaci di ricostruire. Vi amiamo, quindi non temete e non arrendetevi mai”.
E’ stato un appello a non scoraggiarsi, ma a mantenere ‘viva’ la Luce: “Dobbiamo preservare la nostra unità per mantenere la luce di Cristo qui a Gaza, nella nostra regione e nel mondo. Abbiamo una missione e anche voi dovete dare qualcosa, non solo ricevere. Il mondo che vi guarda deve vedere a chi appartenete, se alla luce o alle tenebre? Appartenete a Gesù, che dà la sua vita, o a un altro?”
Ed ha ringraziato loro per questa testimonianza: “Quando il mondo vi guarda, deve notare che noi siamo diversi… Grazie per tutto quello che fate. Forse non ve ne accorgete nella vostra difficile vita quotidiana, ma il mondo intero lo fa. Siamo tutti orgogliosi di voi, non solo per quello che fate, ma perché avete conservato la vostra identità di cristiani appartenenti a Gesù.
L’appartenenza a Gesù rende tutti amici, e la nostra vita diventa una vita di donazione a tutti. Concludo dicendo: Grazie. Che il Natale porti luce a ciascuno di noi. Non abbiate paura, perché nessuno può toglierci la luce di Cristo. Continuate a dare una buona testimonianza della fede cristiana”.
Mentre nel messaggio natalizio il card. Pizzaballa ha sottolineato che per Gesù non c’è stato un alloggio disponibile: ““Il Vangelo, inoltre ci dice che per questo evento importante della storia, la nascita del Salvatore, non c’è posto: ‘lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio’. Gesù entra nella storia così, come uno che non trova posto, che non si impone, che non esige, che non fa la guerra per trovarsi un posto.
Accetta di non avere posto, e va a cercare tutti coloro che, come Lui non hanno un posto nella storia, come i pastori. Gesù viene per loro, il segno è per loro, è il segno che il Salvatore vuole salvarci dalla sventura di non avere posto. Lui stesso, la sua vita, diventa la casa, lo spazio di tutti coloro che non hanno posto”.
Quindi il suo pensiero è andato a chi vive in Terra Santa: “Come non pensare ai tanti ultimi, per i quali sembra non esserci posto nel mondo, come pure ai tanti nostri fratelli e sorelle in questa nostra martoriata Terra Santa, per i quali non sembra esserci un posto, dignità e speranza?
All’annuncio dell’angelo, deve seguire una risposta. Una decisione: accogliere oppure no l’invito dell’angelo ad andare a vedere il Salvatore. La risposta, infatti, non è scontata. Non si muove Erode, non si muovono gli anziani di Gerusalemme. Gesù viene, ma non impone a nessuno di mettersi in cammino per andare a Lui. Non fa come Cesare Augusto, che obbliga tutti ad andare a censirsi”.
Però questa è la libertà di Dio fatto uomo, richiamando la responsabilità di ciascuno: “Gesù lascia liberi. Ci indica un segno, ma poi si rimette alla nostra libertà. Il Natale è il tempo della scelta, se mettersi in cammino verso Colui che viene, oppure no. Anche in questo Natale una possibilità ci è data, di far posto a Colui che non trova posto, per scoprire, poi, che Lui stesso è la nostra strada, la nostra casa, il nostro pane buono, la nostra speranza. E, lungo il cammino, scopriremo tanti fratelli e sorelle, bisognosi di casa e di pane, come noi, e per i quali fare posto e dare speranza”.
Mentre i vescovi italiani nell’augurio natalizio riprendono i messaggi del nunzio apostolico a Damasco, card. Mario Zenari, e di fr. Francesco Patton, custode di Terra Santa: “Conosciamo la situazione che diversi Paesi del Medio Oriente stanno vivendo ormai da diverso tempo, al pari di altri luoghi del mondo spesso dimenticati. Mentre accogliamo il Signore che viene tra noi e contempliamo il mistero del Dio fatto carne, il nostro pensiero e la nostra preghiera vanno proprio al dolore profondo che sta dilaniando intere nazioni”.
(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)