Una rivoluzione conservatrice?

Germania Philip Veit
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[Korazym.org/Blog dell’Editore,17.12.2024 – Aurelio Porfiri] – Abbiamo visto in precedenza come il concetto di tradizione si oppone a quello di rivoluzione. Eppure alcuni parlano di un movimento chiamato “rivoluzione conservatrice”, che fu particolarmente attivo nella Germania prenazista.

Cosa è la rivoluzione conservatrice? Uno dei maggiori conoscitori di questo fenomeno, Marcello Veneziani, nel suo libro La rivoluzione conservatrice in Italia dalla nascita dell’ideologia italiana alla fine del berlusconismo, (SugarCo 2012, 342 pagine [QUI]) così spiega:

“Il rivoluzionario conservatore, a differenza del reazionario, del tradizionalista e del conservatore puro, non esprime il rifiuto della modernità, ma vive fino in fondo la rottura tra passato e presente; egli non mira a difendere il passato assestandosi tra i suoi residui e le sue vestigia, né cerca di “ricomporre l’infranto” secondo un’efficace espressione di Walter Benjamin. Egli intende piuttosto rinvenire i valori tradizionali nell’avvenire, ridare origine attraverso un nuovo ciclo, analogico rispetto al passato ma pur sempre nuovo nelle forme e nei problemi che investe. Il rivoluzionario conservatore si rende conto di vivere in uno scenario mutato e davanti a temi inediti ed esigenze inesplorate nel passato; così come, dall’altra parte, è consapevole che nessuna rivoluzione può sperare di insediarsi sul radicalmente diverso, sulla novità assoluta, perché non avrebbe un terreno su cui poggiare, una lingua con cui trasmettere, una legittimità da invocare”.

A me sembra che questo concetto, così espresso, in realtà non si discosti da quello che anche un tradizionalista dovrebbe saper e poter difendere. In effetti, il vero tradizionalista non è e non deve essere colui che è abbarbicato al passato, anzi. Questa credo sia uno dei maggiori fraintendimenti che ci è dato di riscontrare.

La tradizione non è rifiuto dell’avvenire ma è una immersione più profonda in esso, proprio perché proviene dalla spinta poderosa dell’origine. La tradizione non rinnega l’avvenire e quello che di nuovo e di bello vi è in esso, ma gli dà un senso perenne. Il vero tradizionalista non vive nel passato, ma vive nell’eterno e quindi immagino che la descrizione riportata sopra dal libro di Veneziani gli si adatterebbe benissimo.

Certo, non bisogna pensare che allora bisogna prendere la rivoluzione conservatrice così come viene, perché essa presenta anche lati che, per un tradizionalista di ispirazione Cattolica, sono più che discutibili. Giovanni Balducci ci offre questa descrizione [QUI]:

“Il pensiero dei rivoluzionario-conservatori vedeva la sua elaborazione e si diffondeva in circoli, cenacoli letterari, partiti, associazioni legate ai Freikorps, società segrete a carattere esoterico (si ricordi la Thule Gesellschaft). Da un punto di vista strettamente politico, al centro delle idee che facevano capo alla rivoluzione conservatrice, v’era innanzitutto una forte avversione verso il progressismo positivista, la demonìa capitalista, l’egualitarismo di matrice giacobina, e lo spettro comunista, cui i teorici della Konservative Revolution opponevano l’idea di una rivoluzione, da intendersi, com’ebbe a chiarire Julius Evola, nella doppia accezione «di una rivolta contro un dato stato di fatto» e «di un ritorno, di una conversione – per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro». L’intento dei rivoluzionario-conservatori era infatti quello di opporsi al «tramonto dell’Occidente», restaurando l’ordine tradizionale: «fare tabula rasa delle rovine del XIX secolo e a stabilire un nuovo ordine di vita». Può dirsi che la Rivoluzione conservatrice tedesca abbia rappresentato il fertile terreno culturale da cui germinò il movimento nazionalsocialista. Tuttavia, dopo il 1933 solo alcuni sostenitori della Konservative Revolution aderirono al nazismo (è il caso di Carl Schmitt), mentre altri esponenti ne presero le distanze, ritirandosi (come Gottfried Benn) o diventandone oppositori (come Thomas Mann)”.

Insomma, tutto questo cincischiare con l’esoterismo non si adatta certamente ad un tradizionalista che vuole dirsi anche Cattolico.

Eppure nella rivoluzione conservatrice ci sono anche fermenti molto interessanti. Nella descrizione del libro Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca. Werner Sombart, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst Niekisch, Oswald Spengler (Controcorrente 2016, 416 pagine [QUI]) di Alain de Benoist ci viene detto:

“La Rivoluzione Conservatrice ha anticipato molti temi che oggi sono all’ordine del giorno: l’ossessione del rendimento che sfinisce il mondo, la degradazione della volontà di superarsi in produttivismo sfrenato, il trionfo della crescita senza limiti, l’asservimento dell’opinione pubblica e l’alienazione delle coscienze. La grande lezione che viene dalla Rivoluzione Conservatrice sta proprio in quella critica frontale all’economia pervasiva che, con l’ossessione del denaro e della produzione, vorrebbe trasformare il mondo con un livellamento egualitario, disfarsi dei legami organici e delle strutture differenziate e cedere progressivamente spazio all’utilitarismo e all’egoismo individuale, all’urbanizzazione selvaggia, alla deruralizzazione, all’anonimato di massa. Il liberalismo mina le culture, distrugge le religioni, disintegra le patrie: è l’espressione di una società che non è più comunità. Il liberalismo non esprime una società organizzata ma una società già dissolta. In questo «deserto» dell’economia moderna, ogni lavoratore deve lasciare la sua anima nello spogliatoio quando entra in una grande fabbrica burocratizzata. La prospettiva è sempre e ancora la deindustrializzazione, il ritorno alla terra, la sovranità politica ed economica, l’adozione di un modo di vita spontaneo. Il contadino deve tornare a essere un elemento di conservazione dello Stato. Il presupposto è che l’uomo sia legato alla terra e che questo legame sia la «legge» suprema. Il rivoluzionario-conservatore non vive più nel futuro come il progressista, né soltanto nel passato come il reazionario. Egli vive nel presente, dove riconosce la potenza mediatrice che trasmette il passato all’avvenire. Ha dalla sua l’eternità”.

Insomma, ci sembra che la rivoluzione conservatrice dia alcune risposte certamente interessanti, ma il problema è che gli sfuggono alcune domande altrettanto essenziali. Eppure questa enfasi nel presente è comunque importante, perché per me il vero tradizionalista è quello che sa fecondare il presente con i semi dell’eterno, non chi rimpiange un passato che non può tornare.

Qui forse sarà il caso di concludere con un inciso importante. È certamente vero che il concetto di tradizione è molto più ampio di quello di tradizione Cattolica. E ci sono tanti fermenti interessantissimi anche all’esterno dell’alveo Cattolico. Ecco perché non sarà male dare uno sguardo anche a quello che succede al di fuori, non dimenticando però che se questo offre delle opportunità, offre anche dei pericoli che non vanno di certo sottovalutati.

Questa riflessione è stata pubblicata dall’autore sul suo sito Traditio, per conoscere tutto su tradizione e tradizionalismo [QUI].

Foto di copertina: “Germania” – una personificazione femminile della Germania – è una delle due immagini laterali del grande affresco “Die Einführung der Künste in Deutschland durch das Christentum” (L’introduzione delle arti in Germania da parte del Cristianesimo) , eseguito da Philip Veit tra il 1834 e 1936. L’altra immagine laterale del trittico è “Italia”. Il trittico, trasferito su tela, misura 6.115×284 cm ed è esposto presso il Städelsches Kunstinstitut nella Neue Mainzer Straße a Frankfurt am Main – originariamente ornavano i vecchi locali del Kunstinstitut.

Il dipinto centrale del trittico mostra una rappresentazione allegorica delle arti nello spirito del Cristianesimo. La Religione è rappresentata dalla pia figura femminile al centro del quadro. Facendo riferimento alla Bibbia, dà vita alle tre arti sorelle Pittura, Scultura e Architettura sullo sfondo e a Poesia, Musica e Cavalleria in primo piano a sinistra. Le figure sul bordo destro del quadro osservano la scena con riverenza mentre aspettano di essere convertite dal sermone di San Bonifacio. Un anziano bardo, che simboleggia il culto pagano, è chino sulla sua arpa in primo piano a destra. La sua posizione nell’ombra e le corde spezzate del suo strumento mostrano che la fine della sua era è giunta.

Le allegorie Italia e Germania di Philip Veit rappresentano l’unità di lunga data dei popoli della Germania e dell’Italia. La allegoria Germania simboleggia il potere imperiale medievale che protegge le arti e l’allegoria Italia simboleggia il potere papale.
Philipp Veit (Berlin, 13 febbraio 1793 – Mainz, 18 dicembre 1877) apparteneva al circolo artistico cattolico e conservatore del movimento dei Nazareni, che furono impressionati dal Medioevo tedesco. Secondo Philipp Veit l’arte del futuro dovrebbe basarsi interamente sul Medioevo Cristiano.
Il nome Nazareni venne dato ad un gruppo di pittori romantici Tedeschi attivi a Roma all’inizio del XIX secolo. Stimolati inizialmente dalle teorie artistiche di Wilhelm August von Schlegel e di Wilhelm Heinrich Wackenroder, si ribellarono al classicismo accademico, aspirando ad un’arte rinnovata su basi religiose e patriottiche, che stilisticamente assunse un carattere arcaicizzante, dato da un forte accento lineare e dall’uso del colore crudo, steso con pennellate uniformi. Lo stile, inoltre, si caratterizzò come una ricomposizione formale, quasi filologica, dello stile degli artisti quattrocenteschi Italiani da Beato Angelico, Filippo Lippi, Luca Signorelli, Perugino e soprattutto il primo Raffaello. Alcuni artisti del gruppo si rifecero anche a Dürer e all’antica pittura tedesca.
Philip Veit visse in Italia dal 1815 al 1830, quando fu nominato Direttore del Städelsches Kunstinstitut in Frankfurt am Main. A Roma si unì a Friedrich Overbeck e Peter Cornelius, divenendo un esponente del movimento dei Nazareni. Nel 1818 Veit fu incaricato di dipingere l’affresco del Trionfo della Religione nel Museo Chiaramonti in Vaticano, che avrebbe dovuto essere il primo di una serie commissionata da Papa Pio VII. Veit concorse anche alla decorazione del Casino Massimo di Roma (1818-1824), dipingendo il soffitto della Sala Dante, in cui rappresentò I cieli dei Beati e l’Empireo. In questi affreschi e nella sua Maria Immacolata in Trinità dei Monti (1829-30) Veit si dimostrò il maggior colorista tra i Nazareni.

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