Giornata nazionale del Ringraziamento: giovani protagonisti nell’agricoltura
Ogni anno, alla seconda domenica di novembre, ritorna puntualmente la Giornata del Ringraziamento, che celebrata da Coldiretti dal 1951, è stata assunta dal 1973 da tutta la Chiesa italiana; questo anno si svolge nella diocesi di Concordia-Pordenone. Questa Giornata è all’insegna dello stile di papa Francesco, come sottolinea il Consigliere Ecclesiastico della Coldiretti della regione Toscana don Gabriele Gerini:
“Non è mai stato facile ‘dire grazie’, oggi sembra ancora più difficile. Notiamo spesso un soggettivismo ed un individualismo esasperati, per cui l’altro, il prossimo, svaniscono per le strade del quotidiano. Eppure dobbiamo sempre imparare a ‘dire grazie’. Ci chiediamo: cosa significa celebrare la Giornata del Ringraziamento? Chi dobbiamo ringraziare? In primo luogo dobbiamo ringraziare Dio perché ci ha donato la vita e per tutto quello che di bello ed importante ci dona ogni giorno. Ringraziamo Dio per i frutti della terra. Ed il ringraziamento nasce dalla fede, dal riconoscere, con umiltà, Qualcuno infinitamente più grande di noi, Via, Verità e Vita che si fa Dono per tutti noi”.
Infatti, nel messaggio annuale, i vescovi si rivolgono ai giovani agricoltori, sottolineando la figura di san Martino da Tours: “giovane ufficiale romano, che, di fronte alle necessità di un povero infreddolito, taglia il suo mantello in due e lo condivide, donando un raggio di sole e di calore che resterà sempre impresso nella memoria di tutti noi. San Martino ci insegna a vivere la vita come un dono, facendo sgorgare la speranza laddove la speranza sembra non esserci”. Riprendendo le esortazioni di papa Francesco a non lasciarci rubare la speranza, la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace invita i giovani, che hanno deciso di restare nella propria terra ad essere atleti come Martino, ad andare controcorrente in modo fiero:
“Certo, tra voi c’è anche chi lavora in campagna rassegnato, perché non ha trovato altro e forse vorrebbe una realtà di lavoro diversa, magari più gratificante. Ci permettiamo di esortarvi: non rassegnatevi, ma siate protagonisti, trasformando la necessità in scelta, immettendo in essa una crescente motivazione che si farà qualità di vita per voi, per le vostre famiglie, per i vostri paesi. Pensiamo anche ai giovani immigrati, che lavorano nei campi, negli allevamenti, nella raccolta della frutta.
Anche a voi suggeriamo di fare di tutto per esprimere una qualità e una professionalità crescente, in particolare attraverso lo studio e la conoscenza delle lingue, per farvi apprezzare ed entrare così a fronte alta nel mercato del lavoro rurale, che vi riconosce ormai indispensabili. Agli imprenditori agricoli italiani chiediamo di valorizzare la passione lavorativa di chi arriva nelle nostre terre, creando le condizioni per un’inclusione e un’integrazione graduale, consapevoli che solo così tutti ne avranno vantaggio. Non ci sia sfruttamento, ma rispetto, valorizzazione e dignità.
Alla luce dell’ascolto quotidiano che, come Vescovi, compiamo nelle visite pastorali, all’interno della realtà rurale delle nostre diocesi, ci sembra poi opportuno indicare una serie di limiti e di freni che incontrano oggi i giovani che desiderano ritornare alla terra e suggerire alcune attenzioni necessarie”.
E sottolineano la stima per chi ha scelto di fare l’imprenditore agricolo: “Non sempre, nelle famiglie e nelle scuole, c’è stima adeguata per chi sceglie di fare l’imprenditore agricolo. Per questo è importante alimentare l’apprezzamento, da parte di tutta la società, per il lavoro della terra, affinché sia considerato come ogni altra vocazione e tutti i lavoratori vedano riconosciuta la stessa dignità, anche in termini economici.
Fondamentale resta per ogni giovane il gesto di Martino: condividere quello che abbiamo, spartirlo fraternamente, poiché la fraternità è il fondamento e la via per la pace. Solo da questo stile di condivisione nascerà la fiducia nelle cooperative e nei consorzi, nei quali è possibile realmente diffondere il prodotto tipico di una terra, trasformandolo da marginale a identitario”.