Dove è andato il popolo?
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.12.2024 – Andrea Gagliarducci] – Il nuovo rito funebre papale ha un dettaglio sorprendente: nella prima fase, quella a casa, il Papa defunto viene esposto in una semplice tonaca bianca. Ciò è particolarmente insolito. I sacerdoti defunti sono composti nei loro paramenti, perché un sacerdote è un sacerdote per sempre. A maggior ragione per un vescovo, che è “sommo sacerdote” e possiede quella che nel linguaggio Cattolico chiamiamo “pienezza degli ordini”. Tutto torna alla normalità quando l’esposizione è pubblica, nella seconda fase, e il Papa è vestito con paramenti rossi. Tuttavia, i dettagli dicono qualcosa.
L’idea sembra essere quella di rendere i riti funebri del Papa, i riti di un pastore. Il Papa non è più Papa ma un uomo tra gli uomini, e quindi, con una semplice tonaca bianca. Se questa è la lettura, è problematica per diversi motivi.
In primo luogo, il Papa è ancora un sacerdote e il sacramento dell’Ordine Sacro non è un segno di potere. Anche se la scelta di esporre il Papa in una semplice tonaca all’inizio, sembra essere guidata dal desiderio di sradicare e scartare ogni segno e simbolo di privilegio clericale, la sostanza del clericalismo, l’esposizione di un sacerdote nei paramenti sacerdotali è un mero riconoscimento di una vocazione visibilmente operata tra gli uomini, come uno chiamato a essere ministro di Dio. Quindi, la scelta è problematica, perché rivela un approccio distorto all’intera simbologia papale (e forse ai simboli in generale).
Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco non ha voluto usare la mozzetta rossa, considerandola un esempio del potere temporale del Papa. Non ha mai voluto indossare le scarpe rosse, simbolo del martirio dei Papi. Per quanto riguarda la sua preferenza per i calzolai su misura, per quanto riguarda i suoi scarponi, è stata registrata la preferenza di Francesco per la continuità personale e la discontinuità ufficiale. Queste sono le scarpe che ha sempre portato, ed è solo un tizio. Francesco è il tizio che paga la stanza d’albergo dove ha alloggiato prima del Conclave (un gesto più mediatico che reale, perché l’hotel è di proprietà della Santa Sede, e quindi il Papa pagava sé stesso); è il tizio che fa venire a Santa Marta i funzionari dell’Ambasciata argentina per rinnovargli il passaporto (ma il Papa non ha bisogno del visto, è lui che fa i passaporti); è il tizio che va dall’ottico a farsi cambiare gli occhiali, o dall’ortopedico o dal negozio di dischi.
Nella sua prima visita ufficiale al Presidente della Repubblica italiana al Quirinale (un tempo residenza papale), Francesco ha deciso di evitare il protocollo che prevedeva la processione, di fatto dando all’incontro un’importanza minore, quasi come se fosse solo un altro tizio in visita.
Non che altri Papi non l’abbiano già fatto. Giovanni Paolo II era famoso per le sue incursioni fuori dal Vaticano, soprattutto all’inizio del suo pontificato, ma queste erano tenute nella più stretta riserva. Giovanni XXIII era intollerante al Vaticano e usciva persino senza scorta. E si dice che persino Benedetto XVI, avendo a lungo mantenuto la sua casa e la sua biblioteca in piazza della Città Leonina, ci andasse di tanto in tanto in privato, a volte anche in visita al suo vecchio vicino, il Cardinale Virgilio Noé.
Ma c’è qualcosa di diverso nelle scelte di Papa Francesco, qualcosa di ostentato nella sua noncuranza. È l’idea di dover dare un segno a un mondo che, secondo lui, deve cambiare. È una forma di potere, in qualche modo mascherata, però, dall’idea di togliere ogni potere.
È, in sostanza, il paradigma di Juan Domingo Perón e dei descamisados, gli “scamiciati” che erano i poveri lavoratori e il principale sostegno politico di Perón. All’inizio del suo pontificato, si è molto discusso della mentalità peronista di Papa Francesco [1]. Lo stesso Francesco una volta ha spiegato di essersi definito un populista, non capendo che la lettura del populismo in Occidente è diversa da quella in Argentina. Essere peronista non significa necessariamente essere un seguace di Juan Domingo Perón in materia di politica. Significa, invece, essere imbevuti della mentalità argentina che era affascinata da Perón. E in che modo Perón li affascinò? Togliendosi la camicia con gli scamiciati e professandosi come uno di loro. Pochi capirono che, togliendosi la camicia, Perón stava dicendo esattamente l’opposto: che rappresentava il potere e stava “scendendo” al livello degli scamiciati. Gli scamiciati lo consideravano uno di loro.
Papa Francesco compie molti gesti “argentini” e non potrebbe essere altrimenti. Papa Francesco è Argentino; ha conosciuto solo l’esempio argentino. Fino a quando non è diventato pontefice, non ha nemmeno viaggiato molto, né aveva un interesse particolare per le cose del mondo. Tutte le sue scelte sono condizionate dalla sua esperienza in Argentina.
Oltre a spogliarsi dei segni del potere per assicurarsi l’immortalità nella memoria degli uomini, ci sono altri tipi di misure. La nomina di un Amministratore unico del Fondo Pensioni Vaticano potrebbe avere alle spalle, ad esempio, l’incubo dell’esperienza argentina del corralito ovvero del congelamento della liquidità [2]. In un periodo di difficoltà economiche, Papa Francesco potrebbe anche adottare le misure del governo argentino, che ha anche sospeso il pagamento delle pensioni fino a quando l’economia non avesse raggiunto livelli accettabili.
Tuttavia, in questi ultimi anni del suo pontificato è mancato qualcosa: il concetto di “pueblo”. Nel 2016, il Prof. Loris Zanatta dell’Università di Bologna ha dedicato un saggio e poi un libro al populismo di Francesco. Studioso del peronismo argentino, Zanatta ha individuato i modelli che riteneva fossero in continuità e ha evidenziato che il concetto chiave di Papa Francesco era quello di “pueblo”, cioè popolo. Negli ultimi quattro anni del suo pontificato, tuttavia, il tema di popolo è lentamente scomparso.
Non ci sono stati più incontri con i movimenti popolari, a parte un messaggio per celebrare il loro decimo anniversario. D’altra parte, ci sono stati più interventi del governo centrale, che non guarda al popolo ma prende decisioni per essa. Lo si è visto in molti ambiti: nella “stretta” della Messa tradizionale alla lettera con cui il Papa ha sottolineato che il Documento finale del Sinodo è da considerarsi parte del magistero; nella reazione alle critiche sulla Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede Fiducia supplicans sulla benedizione delle coppie irregolari, fino al caso della caduta in disgrazia di Don Ivan Rupnik, accusato di abusi seriali perpetrati nell’arco di tre decenni ai danni di donne per lo più religiose (in linea, in generale, con la gestione di altri casi di abusi che hanno coinvolto persone note a Papa Francesco) [3]. In definitiva, Papa Francesco ha sempre più accentrato il potere su di sé, allontanando – come si è visto con le scelte dei cardinali – coloro che avrebbero potuto esercitare potere con lui dal centro del potere stesso.
Nelle sue decisioni, Francesco è un Papa arbitrario, che non segue una logica lineare, ma vive di eccezioni. Ad esempio, la Diocesi di Roma sembrava destinata a rimanere senza ausiliari, e con vicari episcopali al posto dei vescovi ausiliari. Tuttavia, il Settore sud ha ricevuto un nuovo ausiliare, Tarantelli Baccari, che il Papa ha nominato Vicegerente.
Il concetto di popolo rimane quando si parla di devozione popolare, ma si perde nei discorsi in cui il Papa attacca sempre più il carrierismo e il clericalismo.
È per questo che il Papa non è mai tornato in Argentina? Un viaggio in Argentina chiarirebbe il suo modo di pensare e mostrerebbe come, una volta arrivato al potere, potrebbe anche staccarsi da quella mentalità. Un viaggio in Argentina potrebbe minare l’immagine di Papa Francesco? È una domanda legittima, considerando che il Papa sottolinea nella sua biografia, quella pubblicata prima della sua elezione a Papa, che aveva così tanta nostalgia dell’Argentina in Germania, che andò all’aeroporto a guardare gli aerei in partenza per la sua Patria. Perché non c’è più nostalgia da quando Francesco è diventato Papa?
Nel frattempo, Papa Francesco ha iniziato a eliminare i simboli, a usarne di nuovi e a sistemare le cose in modo diverso. Tutti i Papi lo hanno fatto, ma nemmeno Paolo VI ha abolito la Casa Pontificia. L’ha riformata, mantenendo la continuità con il passato. Papa Francesco vuole dare un segnale diverso. Vuole dire che il vecchio mondo del potere è finito. Il punto è che non può esserlo. Viene sostituito da nuove forme di potere, con nuovi simboli che però hanno meno profondità, perché hanno meno storia. Il risultato è una perdita di identità profonda. E, paradossalmente, in un pontificato che si dichiara estroverso e missionario, il ruolo stesso del sacerdote finisce per essere considerato in funzione del potere.
È tutto per il popolo, ma il popolo non c’è più [4].
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].
[1] “Al amigo, todo; al enemigo, ni justicia”. Altroché scatti umorali. Retaggio del peronismo – 9 settembre 2022 [QUI]
[2] Corralito è il termine con il quale fu denominata, durante la crisi economica argentina, la restrizione della libera disposizione di denaro in contanti da conti correnti e casse di risparmio, imposta dal governo di Fernando de la Rúa nel dicembre 2001, e che durò per quasi un anno fino all’annuncio della liberazione dei depositi il 2 dicembre 2002. In seguito a tale avvenimento, il termine è stato adottato da tutti i Paesi di lingua spagnola e non. L’obiettivo di queste restrizioni era quello di evitare l’uscita di denaro dal sistema bancario, cercando così di evitare un’ondata di panico bancario e il collasso del sistema. Secondo Domingo Cavallo, allora Ministro dell’Economia, questa misura era positiva al fine di raggiungere un maggiore uso dei metodi di pagamento elettronico, evitando così l’evasione impositiva e rendendo la popolazione più dipendente dalle banche.
[3] Il caso 60SA e il caso Rupnik. Tic-tac, tic-tac… – 16 luglio 2024 [QUI]
[4] Leggendo il titolo e la frase conclusivo, viene in mente “Where Have All the Flowers Gone? (Dove sono andati tutti i fiori?), una canzone popolare scritta dal cantautore americano Pete Seeger nel 1955. Ispirato liricamente dalla tradizionale canzone popolare cosacca Koloda-Duda, Seeger prese in prestito una melodia irlandese per la musica e pubblicò le prime tre strofe sulla rivista Sing Out!. Ulteriori strofe furono aggiunte nel maggio 1960 da Joe Hickerson, che la trasformò in una canzone virale.
Il suo retorico “Dove?”, in senso lessicale, e la profonda meditazione sulla morte dovuta alle guerre – che traspare dal testo del brano – vanno ricondotti alla tradizione latina dell’Ubi sunt. La tradizione viene dalla frase latina che enfatizza l’irrisolvibile quesito etico-filosofico: Ubi sunt qui ante nos fuerunt? (Dove sono quelli che furono prima di noi?). In breve, questo genere di letteratura guarda ai bei vecchi tempi, chiedendosi che fine abbiano fatto gli eroi o i bei tempi andati. Le organizzazioni studentesche tradizionali cantano una canzone che racchiude la mentalità “Ubi sunt”, De Brevitate Vitae (Sulla brevità della vita), più conosciuta come Gaudeamus igitur: “Ubi sunt qui ante nos | In mundo fuere? | Vadite ad superos | Transite in inferos | Hos si vis videre” (Dove sono quelli che prima di noi | Erano nel mondo? | Andate in paradiso | Passate all’inferno | Se desideri vederli).
Nel 2010, The New Statesman la elencò come una delle “20 migliori canzoni politiche”.
Seeger trovò ispirazione per la canzone nell’ottobre 1955 mentre era su un aereo diretto a un concerto all’Oberlin College, uno dei pochi locali che lo avrebbero portato in scena durante l’era McCarthy. Sfogliando il suo taccuino vide il passaggio, “Dove sono i fiori, le ragazze li hanno colti. Dove sono le ragazze, hanno tutte preso marito. Dove sono gli uomini, sono tutti nell’esercito”.
Questi versi erano tratti dalla tradizionale canzone popolare cosacca ucraina Koloda-Duda (Koloda, e i pifferai), citata nel romanzo di Mikhail Sholokhov, E tranquillo scorre il Don (1934), che Seeger aveva letto “almeno un anno o due prima”.
In un’intervista del 2013, Seeger spiegò di aver preso in prestito la melodia da una canzone irlandese sui boscaioli con le parole “Johnson dice che caricherà più fieno”. Semplicemente rallentò la melodia e vi inserì i versi.