Papa Francesco ha il desiderio di recarsi a Nicea
“Siamo vicini, ormai, all’apertura della Porta Santa del Giubileo e abbiamo da poco concluso la XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. A partire da questi due eventi desidero rivolgervi due pensieri: il primo è rimettere Cristo al centro, il secondo è sviluppare una teologia della sinodalità”: con questi pensieri papa Francesco oggi ha ricevuto i partecipanti all’assemblea plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sottolineando la centralità di Gesù.
Anzi parlando del Concilio di Nicea ha espresso il desiderio di un viaggio apostolico: “Il Giubileo ci invita a riscoprire il volto di Cristo e a ricentrarci in Lui. E durante questo Anno Santo, avremo anche l’occasione di celebrare la ricorrenza dei 1700 anni del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. Io penso di recarmi lì. Questo Concilio costituisce una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità, perché la fede in Gesù, Figlio di Dio fatto carne per noi e per la nostra salvezza, è stata formulata e professata come luce che illumina il significato della realtà e il destino di tutta la storia”.
Ripetendo l’invito di san Pietro, che invita a rispondere della ragione della propria fede il papa ha ribadito l’essenzialità evidenziata dal concilio niceno: “Questa esortazione, che è rivolta a tutti i cristiani, si può applicare in modo particolare al ministero che i teologi sono chiamati a svolgere come servizio al Popolo di Dio: favorire l’incontro con Cristo, approfondire il significato del suo mistero, affinché possiamo meglio comprendere ‘quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza’.
Il Concilio di Nicea, affermando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, mette in luce qualcosa di essenziale: in Gesù possiamo conoscere il volto di Dio e, allo stesso tempo, anche il volto dell’uomo, scoprendoci figli nel Figlio e fratelli tra di noi”.
Perciò ecco la necessità di un approfondimento di tale Concilio: “E’ importante, allora, che abbiate dedicato gran parte di questa Plenaria a lavorare su un documento che vuole illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea. Tale documento potrà essere prezioso, nel corso dell’anno giubilare, per nutrire e approfondire la fede dei credenti e, a partire dalla figura di Gesù, offrire anche spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all’umanità di Cristo”.
Ecco il significato della centralità di Gesù: “Oggi, infatti, in un mondo complesso e spesso polarizzato, tragicamente segnato da conflitti e violenze, l’amore di Dio che si rivela in Cristo e ci viene donato nello Spirito diventa un appello rivolto a tutti, perché impariamo a camminare nella fraternità e a essere costruttori di giustizia e di pace. Solo in questo modo possiamo spargere semi di speranza là dove viviamo. Rimettere Cristo al centro significa riaccendere questa speranza e la teologia è chiamata a farlo, in un lavoro costante e sapiente, nel dialogo con tutti gli altri saperi”.
Da qui l’appello a sviluppare una ‘teologia della sinodalità’: “L’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha dedicato un punto del documento finale al compito della teologia, nel contesto dei ‘carismi, vocazioni e ministeri per la missione’… Questa è stata una visione di san Paolo VI alla fine del Concilio, quando ha creato il Segretariato del Sinodo dei Vescovi. In quasi 60 anni si è sviluppata questa teologia sinodale, a poco a poco, e oggi possiamo dire che è matura. Ed oggi non si può pensare una pastorale senza questa dimensione di sinodalità”.
In questo modo si coglie meglio la visione ecclesiologica: “Perciò, insieme alla centralità di Cristo, vorrei invitarvi a tenere presente anche la dimensione ecclesiologica, per sviluppare al meglio la finalità missionaria della sinodalità e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio nella sua varietà di culture e tradizioni. Direi che è venuto il momento di compiere un passo coraggioso: sviluppare una teologia della sinodalità, una riflessione teologica che aiuti, incoraggi, accompagni il processo sinodale, per una nuova tappa missionaria, più creativa e audace, che sia ispirata dal kerygma e che coinvolga tutte le componenti della Chiesa”.
Ed ha concluso sollecitando all’umorismo affinché la teologia possa essere feconda: “Rimanendo, per così dire, appoggiata al Cuore del Signore, la vostra teologia attingerà alla fonte e porterà frutti nella Chiesa e nel mondo. E una cosa fondamentale per fare una teologia feconda è non perdere il senso dell’umorismo, per favore! Questo aiuta tanto. Lo Spirito Santo è quello che ci aiuta in questa dimensione di gioia e di umorismo”.
In precedenza aveva ricevuto in udienza i religiosi e le religiose della Famiglia Calasanziana, in occasione del 75° anniversario di fondazione, con l’invito ad essere docili alla Provvidenza, come ha sperimentato san Giuseppe Calasanzio: “Il vostro Fondatore, di famiglia agiata, destinato probabilmente a una ‘carriera ecclesiastica’ (termine che mi ripugna e che andrebbe abolito), venuto a Roma con incarichi di un certo livello, non ha esitato a stravolgere programmi e prospettive della sua vita per dedicarsi ai ragazzi di strada incontrati in città”.
Egli, infatti, è stato attento ai poveri dell’epoca: “Così sono nate le Scuole Pie: non tanto per un piano predefinito e garantito, quanto per il coraggio di un bravo prete che si è lasciato coinvolgere dalle necessità del prossimo, là dove il Signore gliele ha poste davanti. Questo è molto bello, e io vorrei invitare anche voi a mantenere, nelle vostre scelte, la stessa apertura e la stessa prontezza, senza calcolare troppo, vincendo timori e titubanze, specialmente di fronte alle tante nuove povertà dei nostri giorni.
Le nuove povertà. Sarebbe bello che uno di questi giorni, nella vostra riunione, cercaste di descrivere le nuove povertà, quali sono le nuove povertà. Non temete di avventurarvi, per rispondere ai bisogni dei poveri, in sentieri diversi da quelli già battuti nel passato, anche a costo di rivedere schemi e di ridimensionare aspettative. È in questo abbandono fiducioso che affondano le vostre radici, e rimanendo fedeli ad esse manterrete vivo il vostro carisma”.
L’altro aspetto riguarda la cura per la crescita integrale della persona: “La grande novità della Scuole Pie era di insegnare ai giovani poveri, assieme alle verità della fede, anche le materie di istruzione generale, integrando formazione spirituale e intellettuale per preparare adulti maturi e capaci. E’ stata una scelta profetica a quei tempi, pienamente valida anche adesso.
A me piace parlare, in proposito, di fare unità, nella persona, tra le ‘tre intelligenze’: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani (le mani sono intelligenti!) e così noi possiamo fare con le mani quello che si sente e si pensa, sentire quello che si pensa e si fa, pensare quello che si sente e si fa. Le tre intelligenze”.
Per questo ha chiesto un aiuto affinché i ragazzi possano fare una ‘sintesi armonica’: Oggi è molto urgente aiutare i ragazzi a fare questo tipo di sintesi, unità armonica delle tre intelligenze, a ‘fare unità’ in sé stessi e con gli altri, in un mondo che li spinge invece sempre più nella direzione della frammentarietà nei sentimenti e nelle cognizioni e dell’individualismo nelle relazioni… Le tre intelligenze. Questo è importante, che i ragazzi facciano questa unità in sé stessi, con gli altri e con il mondo. Lo stile educativo integrale è un “talento carismatico” importantissimo che Dio vi ha affidato, perché lo mettiate a frutto al meglio delle vostre capacità per il bene di tutti”.
(Foto: Santa Sede)