I vescovi europei a Trieste per testimoniare la fede attraverso la carità
La Chiesa non è una semplice ONG, come ha ribadito più volte papa Francesco, e la cura di quanti sono nel bisogno non è mera filantropia, o proselitismo, né tantomeno il frutto di una strategia di comunicazione o di marketing: nasce innanzitutto dalla fede. Non è possibile comprendere la carità cristiana senza tener conto del suo intimo legame con la fede in Cristo e il dover di testimonianza che ne scaturisce.
In chiusura dell’Anno della Fede, e a un anno della pubblicazione del Motu proprio di papa Benedetto XVI , ‘Intimae Ecclesiae Natura’, il CCEE e il Pontificio Consiglio ‘Cor Unum’ hanno invitato a Trieste i vescovi e responsabili per gli interventi caritativi delle Conferenze episcopali in Europa, su esortazione dell’arcivescovo, mons. Giampaolo Crepaldi, Presidente della commissione CCEE ‘Caritas in Veritate’, per riflettere sull’attività caritatevole della Chiesa e il ruolo del vescovo.
Mons. Duarte da Cunha, segretario generale del CCEE, ha affermato: “La carità della Chiesa è espressione, necessità e risposta alla fede in Cristo, e non un settore separato della vita della comunità ecclesiale affidata ad esperti. La carità che nasce dalla fede fa l’uomo partecipare di quell’amore viscerale con il quale Dio ama ogni uomo. Dio ci interpella attraverso il povero, il dimenticato, il bambino, l’anziano o la famiglia in necessità. Questo incontro vuole evidenziare come il vescovo in quanto maestro nella fede è anche chiamato ad essere maestro nella carità”.
Nel saluto iniziale il presiedente della Cei e vice presidente del CCEE, card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, ha sottolineato lo stretto rapporto tra fede e carità: “Fede e carità sono unite tra loro da un nesso inscindibile: ce lo testimoniano la rivelazione biblica, l’insegnamento della Chiesa e la nostra stessa esperienza. Esse si richiamano a vicenda, tanto da essere espressione e completamento l’una dell’altra. A inizio del provvidenziale incontro di questi giorni, che ci vede radunati nell’ascolto di ciò che lo Spirito vuole dire oggi alle Chiese, meditiamo insieme sul legame tra la fede e la carità, per comprendere meglio il modo in cui il Popolo di Dio, in cammino nella storia, debba percorrere queste due vie fondamentali della vocazione cristiana”.
Poi ha elencato tre relazioni tra fede e carità, che servono da stimolo all’azione pastorale dei vescovi: la fede come risposta a Dio che si rivela; la fede che porta frutto nella carità; la carità come segno dell’amore ricevuto, sottolineando il carattere ecclesiale dell’attività caritativa. Il presidente del Pontificio Consiglio ‘Cor Unum’, card. Robert Sarah, ha affermato che nel Motu Proprio, papa Benedetto XVI: “ha voluto infatti esplicitare da un punto di vista canonico alcuni punti che riguardano la sua riflessione teologico – pastorale, contenuta in particolare nell’enciclica ‘Deus Caritas est’. Il nostro Dicastero ha tra i suoi compiti speciali quello di animare la pastorale della carità nella Chiesa”.
Dopo un excursus della missione caritativa della Chiesa il presidente del ‘Cor Unum’ ha tratteggiato la dimensione ecclesiale del servizio della carità, che appartiene alla vita della Chiesa: “Questo significa tra l’altro che il servizio della carità non può esistere senza l’annuncio della parola di Dio e senza la celebrazione dei sacramenti. Questa affermazione di Benedetto XVI, che descrive il ruolo della carità nella Chiesa, ci spinge a riportare la pastorale della carità alla sua sorgente, per evitare di ridurla ad una specie di attività di assistenza sociale, una pura espressione filantropica o una semplice solidarietà umana. Infatti persiste, e non solo nel mondo occidentale, una secolarizzazione che tende a svuotare la Chiesa della sua dimensione trascendente”.
In questo senso la carità ha uno stretto rapporto con la nuova evangelizzazione, fondata intorno all’agape: “Perciò fede e carità vanno insieme, come vangelo e opere vanno insieme. Anche la nuova evangelizzazione passa necessariamente per un’esperienza personale di Cristo. Da una parte una vita fondata solamente su una presunta fede, corre il rischio di naufragare in un banale sentimentalismo, che riduce il rapporto con Dio ad una mera consolazione del cuore. Dall’altra parte una carità, che non si inginocchia davanti a Dio e che non tiene presente la sorgente da cui scaturisce e a cui deve essere indirizzata ogni azione di bene, rischia di essere ridotta a mera filantropia e puro ‘attivismo moralista’. Pertanto si è chiamati a tenere uniti nel proprio vivere la ‘conoscenza’ della verità con il ‘camminare’ nella verità”.
Quindi, secondo il card. Sarah, è importante che “prima di essere un’azione sociale, l’attività caritativa abbia veramente una dimensione ecclesiale, una missione evangelizzatrice che rechi all’uomo l’amore di Dio”. A conclusione della giornata il card. Bagnasco ha celebrato la messa e nell’omelia ha ribadito che “La Santa Eucaristia è l’azione più grande delle nostre giornate, il principio inesauribile del nostro apostolato, il punto di sintesi della vita nostra e della Chiesa. Tutto discende dall’altare, afferma il Concilio Vaticano II, e tutto all’altare ritorna perché sia purificato, elevato, offerto nel culto gradito a Dio…
Ecco, cari Amici, dove ci conduce la Mensa della Parola di Dio oggi: ci riporta al rapporto fede e carità. Ci invita a piegare il ginocchio davanti al Mistero dell’amore che salva e risana, ad adorare le vie che non sono le nostre e che sfuggono alle nostre logiche. E’ dunque il silenzio dell’adorazione che deve scendere nei nostri cuori, non per negare la parola ma per preservare l’anima, la cella intima dove si incontra con lo Sposo giorno dopo giorno, fino al Giorno senza oscurità e tramonto”.