La saggezza di Charlie Chaplin

Charlie Chaplin
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.11.2024 – Vik van Brantegem] – Sir Charles Spencer Chaplin, noto come Charlie Chaplin, nato il 16 aprile 1889 a Londra, iniziò lavorando con un corpo di ballo per bambini, prima di apparire sul grande schermo. Fu attore, regista, sceneggiatore, comico, compositore e produttore, e autore di oltre novanta film, diventando una delle personalità più influenti e creative del cinema muto. Iniziò nel 1914 la rapida e travolgente ascesa di Chaplin, con Charlot giornalista, il debutto di Chaplin sullo schermo e Charlot ingombrante, il secondo cortometraggio di Chaplin. Nell’arco di cinque anni Chaplin conquistò un posto d’onore nella storia del cinema. Dopo diversi travagli che funestarono le riprese e la fase di post-produzione, nel gennaio del 1921 ebbe luogo la prima proiezione ufficiale del lungometraggio Il monello, diretto e interpretato da Chaplin, che lo consacrò definitivamente come star affermata.

Uno dei personaggi più conosciuti al mondo e attorno al quale Chaplin costruì la sua carriera, universalmente conosciuto come “vagabondo” – Charlot, un dolce piccolo uomo con la bombetta, i baffetti e il sigaro – si definirà pienamente soltanto nell’aprile del 1915, quando Chaplin interpretò il cortometraggio Il vagabondo: «Mentre puntavo al guardaroba, pensai di mettermi un paio di calzoni sformati, due scarpe troppo grandi, senza dimenticare il bastone e la bombetta. Volevo che fosse tutto in contrasto: i pantaloni larghi e cascanti, la giacca attillata, il cappello troppo piccolo e le scarpe troppo grandi. Ero incerto se truccarmi da vecchio o da giovane, poi ricordai che Sennett mi aveva creduto un uomo assai più maturo e così aggiunsi i baffetti che, argomentai, mi avrebbero invecchiato senza nascondere la mia espressione. Non avevo la minima idea del personaggio. Ma come fui vestito, il costume e la truccatura mi fecero capire che tipo era. Cominciai a conoscerlo, e quando m’incamminai verso l’enorme pedana di legno era già venuto al mondo» (Charlie Chaplin, La mia autobiografia).

Nel 1931 Chaplin scrisse: «All’inizio Charlot simboleggiava un gagà londinese finito sul lastrico […] All’inizio lo consideravo soltanto una figura satirica. Nella mia mente, i suoi indescrivibili pantaloni rappresentavano una rivolta contro le convenzioni, i suoi baffi la vanità dell’uomo, il cappello e il bastone erano tentativi di dignità, e i suoi scarponi gli impedimenti che lo intralciavano sempre».

Inviso alla maggior parte della stampa dell’epoca per le sue idee politiche di stampo populistico, in un periodo storico in cui, in America, l’essere tacciati di caldeggiare idee comuniste era peccato gravissimo, visse la maggior parte della sua vita in Svizzera, per essere poi riabilitato dagli Americani solo negli anni Settamta, quando tornò oltreoceano per ritirare l’Oscar alla carriera, nel 1972 (foto di copertina).

Il 4 marzo 1975, dopo molti anni di esilio volontario dal suo Paese d’origine, Chaplin fu nominato Cavaliere di Sua Maestà dalla Regina Elisabetta II. L’onorificenza era già stata proposta nel 1956, ma – in piena guerra fredda – non era stata concessa per il veto imposto dal Foreign Office britannico, sempre a causa delle presunte “simpatie comuniste” di Chaplin.

Sir Charlie Chaplin trascorse i suoi ultimi anni a scrivere musica per i suoi film e godersi la sua vita familiare prima di morire nel Manoir de Ban a Corsier-sur-Vevey, nel Canton Vaud in Svizzera, la notte di Natale del 1977, all’età di 88 anni.

  • “Non vedrai mai un arcobaleno se guardi verso il basso”.
  • “Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno. La nostra sapienza ci ha reso cinici, l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che macchine, l’uomo ha bisogno di umanità. Più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto”.
  • “Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla”.
  • “Paulette mi ha colpito per la sua insolenza” (parlando di Paulette Goddard).
  • “Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro”.
  • “Un assassinio e siete un bandito, milioni di morti e siete un eroe. Il numero santifica”.
  • “Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei. Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore: ciò che vuoi. La vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Quindi: canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”.
  • “Il giorno più sprecato della vita è il giorno in cui non ridiamo”.
  • “Sei dei migliori medici del mondo: sole, riposo, esercizio, dieta, autostima, amici”.
  • “Nulla è permanente in questo mondo malvagio, nemmeno le nostre preoccupazioni”.
  • “Siamo in un mondo spietato e bisogna essere spietati per difendersi”.
  • “La vita è meravigliosa se non se ne ha paura”.
  • “Mi piace camminare sotto la pioggia perché nessuno può vedere le mie lacrime”.
  • “Perché no? Dopo tutto appartiene a lui” (rivolto al prete che, davanti al letto di morte, disse a Chaplin: “Possa il Signore avere pietà della tua anima”).

Chaplin era ateo. La figlia Geraldine rilasciò in proposito una lunga intervista a Maria Pia Fusco per il settimanale La Domenica di la Repubblica, pubblicata il 20 maggio 2007. Nella stessa intervista disse che fece comunque studiare i figli in collegi cattolici e lui stesso dichiarò: «Vorrei tanto poter credere, sarebbe bello se qualcuno mi convertisse».

Annunciando la sua morte, Giovanni Grazzini sul Corriere della Sera del 27 dicembre 1977 delineò l’aspetto psicologico di Chaplin e del personaggio di Charlot: «Aveva nel sorriso il pianto del mondo e nelle lacrime delle cose faceva brillare la gioia della vita. Toccato dalla grazia del genio era il guanto rovesciato della nostra civiltà, il miele e lo schiaffo, lo scherno ed il singhiozzo; era il nostro rimprovero e la nostra speranza di essere uomini. Testimone universale commosse e rallegrò i cuori di tutte le razze e latitudini, ovunque si celebrasse il processo all’iniquità, alla presunzione, al cinismo dei ricchi e dei potenti, ovunque dal dolore potesse scaturire la protesta del debole sopraffatto e il riscatto dell’umiliato. Uomini e donne di tutte le età e colore si riconobbero in lui, si contorcevano dalle risa e sentivano salirsi dentro pietà per se stessi. Andavano per gioire e uscivano pieni di malinconia. Così fu, così è, così sarà sempre: il debole vilipeso, lo sconfitto irriso, la dignità dell’uomo calpestata dal soperchiatore e dall’arrogante, e il candore, l’innocenza fraintesi per ingenuità, e sono invece la forza del giusto: è qui la tragedia che si colora di comico, la farsa che si tinge di dramma. Il lungo viaggio di un pessimista europeo, con sangue gitano ed ebreo, carico di antichi dolori, compiuto per convincersi che tuttavia conviene credere nell’uomo; questo il transito di Chaplin, il senso della sua opera di artista universale».

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