Dall’Assemblea sinodale una Chiesa missionaria
La prima giornata prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana si è conclusa con l’intervento di Erica Toscani, componente della presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, che ha meditato sul brano evangelico di Luca in cui si esaltano gli ‘occhi che vedono ciò che voi vedete’: “Beati gli occhi che vedono ciò che noi vediamo! E ciò che noi stiamo vedendo, ciò a cui stiamo prendendo parte, è il venire alla luce di un nuovo volto di Chiesa, auspicato e desiderato dal Concilio Vaticano II, di cui in questo luogo fu piantato il germe iniziale… Il nascere di un nuovo volto di Chiesa: è questo ciò che noi stiamo vedendo ed accompagnando oggi. Niente di meno!”
Camminando si impara a camminare insieme: “Tutti noi abbiamo ben presente le fatiche che questo processo di apprendimento ha comportato e comporta: la fatica, prima e primitiva, di viaggiare con compagni che ‘ci siamo ritrovati’ e che, probabilmente, in partenza non avremmo scelto; la fatica di riconoscerci reciprocamente e di far spazio al contributo di ognuno; la fatica di capire come armonizzare passi e velocità che appaiono e che rimangono diversi; la fatica di imparare ad abitare con pacatezza, ma anche con parresia e grande libertà interiore, gli ostacoli, le resistenze date da processi, strutture, prassi, mentalità, che chiedono la pazienza della goccia che scava la roccia; la frustrazione di non aver ben chiare tappe, metodi, meta e di non riuscire sempre ad immaginare i passi possibili”.
Anche la Chiesa ha cominciato a fare un cammino insieme dall’ascolto: “Il Cammino sinodale, quello italiano così come quello universale, ha preso avvio dall’ascolto: ascolto della vita delle persone, ascolto delle esperienze delle Chiese locali, ascolto della realtà e delle istanze del mondo. Ascolto certo perfettibile, ma che dice ed è già un passo concreto e fondamentale per una Chiesa che vuol essere missionaria, cioè ‘nel mondo e per il mondo’, e che dunque non può non partire dalle domande, dalle sofferenze, dalle gioie e dai desideri degli uomini e delle donne di questo tempo. E’ dalla vita reale che siamo partiti per capire, alla luce del Vangelo, dove andare; ed è alla vita reale che questo processo deve e vuole tornare”.
Ed il coinvolgimento non si può trascurare: “E’ un segno del Regno che c’è già e che viene! Ci dice che è possibile, anche se faticoso, continuare a tendere, a credere e a dar corpo a questa possibilità di camminare insieme in quell’ ‘armonia delle differenze’ che lo Spirito rende possibile, come ci ricorda papa Francesco”.
Tale coinvolgimento avviene attraverso il dialogo: “Tenere aperto il dialogo, continuare a stare seduti allo stesso tavolo attraversando gli inevitabili conflitti che emergono e mettendo in discussione le proprie certezze, senza cedere alla facile scorciatoia di far saltare il banco, è forse la più grande profezia che possiamo essere e portare al nostro tempo: un tempo in cui pare che, dinnanzi alle differenze, le uniche opzioni possibili siano l’assimilazione, la divisione o la guerra”.
Mentre la giornata odierna si è aperta con la ‘lectio divina’ di don Dionisio Candido, responsabile dell’Apostolato Biblico della CEI, che ha approfondito il racconto degli Atti degli Apostoli, in cui si racconta la Pentecoste: “Con la sua Ascensione al cielo si chiude definitivamente l’esperienza terrena di Gesù. Non bisogna più stare a guardare il cielo. I discepoli devono imparare a lasciarlo andare. Devono avere il coraggio della sua assenza… L’allontanamento di Gesù dalla vista dei discepoli, per quanto drammatico per i discepoli, è in fondo un gesto di fiducia verso di loro, chiamati adesso a vivere in autonomia e creatività la loro vita di fede”.
L’Ascensione segna un nuovo protagonismo: “D’ora in poi i discepoli dovranno riuscire a tenere pura la loro coscienza per ascoltare la voce interiore dello Spirito e dovranno assumersi la responsabilità di essere testimoni adulti e affidabili. Il libro degli Atti comincia a mettere in rilievo i primi segni di questa nuova stagione della Chiesa e dell’umanità. Tra questi primi segni c’è la comunità dei discepoli stessa, insieme variegata e unita: al suo interno gli apostoli, ma anche Maria, le donne (probabilmente le stesse che avevano seguito Gesù dalla Galilea), e altri familiari di Gesù”.
E la Chiesa inizia da una casa: “Lo strano gruppo misto e compatto insieme, dove spicca Maria, si ritrova nella stanza ‘al piano superiore’. Forse è un modo che Luca usa per indicare la stanza dell’Ultima Cena, il Cenacolo. Di certo, in Atti la nuova comunità riparte da una casa, non dal tempio. Proprio qui, l’Eucaristia, il dono che Cristo ha fatto di sé in un contesto familiare, consente a tutti di essere concordi nella preghiera. E’ la fede che unisce”.
Dopo le testimonianze delle buone pratiche la giornata si è conclusa con la recita dei vespri e la preghiera per le vittime di abusi, in cui il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, il valore del cammino insieme: “Adesso comprendiamo che il nostro camminare insieme è sempre un lasciarci attrarre da Colui che per questo è stato innalzato sulla croce, proprio per attirare i nostri desideri, muovere i passi, farci volgere lo sguardo e rendere attenti gli orecchi. Per imparare ad amare.
La Chiesa, comunità di coloro che confidano nel Signore, cammina insieme, nella ricchezza e varietà dei carismi e dei ministeri, perché Gesù Cristo ci tiene a sé come una mamma il bambino, come un padre che ci tiene per mano mentre ci insegna a camminare: con le braccia aperte, la mano salda e il sorriso sulle labbra. Guardiamo Gesù. E’ lui l’ospite dolce dell’anima, la nostra dolce memoria”.
Per questo l’arcivescovo di Cagliari ha evidenziato che non bisogna distogliere lo sguardo dalle vittime di abusi: “Il tema ‘Ritessere fiducia’ dice la necessità di non lasciar cadere alcun filo dei rapporti. Tutti i sussidi di questa Giornata sono stati redatti da vittime di abusi e da loro familiari cosicché leggere, meditare e pregare questi testi è come un cammino verso la cisterna buia e vuota in cui si sono sentiti scaraventati, soli e spogliati di tutto, ma anche verso l’aurora di speranza di un cambiamento possibile per grazia. Per-dono.
Come è ben descritto nel commento biblico offerto per l’occasione, uno strappo come l’abuso non può essere sanato da una nuova toppa ma solo da una nuova veste, da un cambiamento radicale di cultura, di metodo, di cuore, un cambiamento che richiede l’infinita pazienza del dolore espresso e ascoltato, la speranza alimentata e valorizzata, la fiducia riannodata. E tutto perdonato”.