L’arte della maieutica, una delle parole che da sola esprime il vero senso di quello che dovrebbe essere il mestiere dell’insegnamento

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.11.2024 – Vik van Brantegem] – Di fronte ad una realtà scolastica ancora permeata di quel trasmissivismo che molti pedagogisti hanno cercato e stanno cercando tuttora di combattere, una concreta alternativa per imprimere quel cambiamento decisivo di cui l’istituzione scolastica ha bisogno, si trova nell’arte di maieutica di Socrate. Scrive Alessandra Zen su Gazzetta filosofica [QUI]: «Ciascuno di noi, ripensando alla propria esperienza scolastica, avrà senz’altro un ricordo della scuola come luogo di trasmissione della cultura in modo unidirezionale, dal docente all’alunno, il quale, rigidamente seduto nel suo posto e “annichilito” da quel sistema che non fa altro che inculcargli acriticamente conoscenze e informazioni, va incontro a una progressiva e graduale regressione delle sue facoltà critiche e riflessive. Certo, la scuola non è solo questo, ma non si può non ammettere che, fatta eccezione per qualche insegnante lungimirante (ahimè, così bisogna definirlo anche se l’abbandono di un approccio trasmissivo della conoscenza dovrebbe rappresentare la regola e non l’eccezione), la maggior parte delle attività scolastiche oggi segue ancora la logica della mera trasmissione del sapere (detenuto integralmente dal docente) agli studenti».
Il sostantivo femminile maieutica non è soltanto una delle più belle parole della lingua italiana – arrivato dal greco – ma è anche una parola-cardine della nostra cultura, filosofica e non solo. Nel pensiero socratico-platonico, è il criterio di ricerca della verità, consistente nella sollecitazione del soggetto pensante a ritrovarla in sé stesso e a trarla fuori dalla propria anima. Per estensione è il metodo pedagogico fondato sulla partecipazione attiva. Aggettivo maieutico: relativo alla maieutica, che usa il metodo della maieutica per educare, che è sinonimo di togliere-fuori, dal verbo latino e-ducere, ex-ducere: è cercare, trovare e trarre le risorse migliori di ogni persona, è individuare una pista di crescita spirituale, cioè cognitiva e morale insieme, contro il nichilismo o l’inclinazione al male, di ogni genere e specie.
Maieutica – dal greco μαιευτική (τέχνη), propriamente (arte) ostetrica (ostetricia), derivante di μαῖα, mamma, levatrice – è il termine che designa il cosiddetto “metodo socratico”, ovvero il procedimento con il quale il filosofo greco conduceva i suoi allievi a raggiungere la conoscenza. Socrate non insegnava nulla ai propri discepoli, ma li stimolava a liberarsi delle false credenze e a “tirare fuori” i propri pensieri per raggiungere la verità
Il metodo dialogico tipico di Socrate portava secondo Platone – nel dialogo Teeteto – il suo interlocutore a giungere ad una verità in maniera autentica, comportandosi come una levatrice, semplicemente aiutando gli altri a “partorire” la verità. Il metodo consisteva nell’esercizio del dialogo, ossia in domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma. Platone chiamava maieutica la capacità e l’arte di trovare le forze le conoscenze per combattere e vincere il pessimismo, la negatività e il nichilismo, partendo dall’interiorità di ogni persona, che può esprimersi in ogni caso nel modo migliore, ovvero può migliorare senza fine.
Anche se la parola maieutica viene usata solo una volta da Platone – nel Teeteto – ciononostante ha avuto un successo strepitoso e il modus operandi di Socrate, anche negli altri Dialoghi, resta sostanzialmente lo stesso.
Se la confutazione (ἔλεγχος, prova, mezzo di prova, argomento) costituisce il procedimento attraverso il quale Socrate conduce il suo interlocutore alla consapevolezza dell’ignoranza o della fallacia delle sue opinioni, l’arte della maieutica porta Socrate – sterile quanto alla possibilità di generare sapienza, esattamente come sterili sono le levatrici che aiutano le partorienti a dare alla luce i loro figli («Il dio mi costringe a fare da levatrice, ma mi ha proibito di generare») – a suscitare dagli animi quelle verità che essi stessi non erano consapevoli di possedere («Da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte cose belle»).
Secondo Socrate, l’ispirazione di questo metodo era stata sua madre Fenarete, una levatrice: così come la levatrice non crea né impone nulla, ma soltanto aiuta la partoriente a far nascere il bambino, così nel suo ruolo di filosofo Socrate sceglie di non scodellare il suo punto di vista o una sua verità alla persona con cui sta parlando. Attraverso una serie di domande stringenti e scomode, portando a riflettere sulla portata di concetti dati per scontati e sulle contraddizioni che serbiamo o sulle convinzioni infondate che abbiamo, la maieutica permette di eliminare il troppo e il vano da ciò che si pensa; e infine permette di giungere a un nocciolo, che se anche non è mai definitivo o assoluto, rappresenta un punto nostro, coerente con le nostre credenze e valori autentici.
Questa tecnica è un paradigma dialogico, che tutti noi – in momenti particolarmente illuminati in cui togliamoci di dosso l’interesse e la convinzione preconcetta – siamo in grado di abbracciare (quando, parlando con un amico, gli domandiamo delle sue scelte, per cercare di capire insieme a lui se sono ciò che davvero vuole; quando cerchiamo di far ponderare a una persona la sua opinione su una questione rilevante; quando cerchiamo di sondare con qualcuno di caro le ragioni di una sua abitudine).
Ricordando come sua madre Fenarete fosse un’abile e stimata levatrice, Socrate rivendica l’ascendenza divina dell’arte di entrambi, «ricevuta in dono da un dio: lei per le donne, io per i giovani nobili e per quanti sono virtuosi».
Naturalmente l’arte di Socrate si applica non ai corpi ma alle anime, che tra dubbi e perplessità simili alle sofferenze del parto, danno vita a pensieri e, in alcuni casi, a verità, ed in questo più nobile di quella delle levatrici, perché deve poter distinguere se il pensiero partorito dal suo interlocutore sia «un fantasma e una falsità, oppure qualcosa di vitale e di vero».
Vi è anche un rapporto diretto, secondo Platone, tra l’arte della maieutica descritta nel Teeteto e di anamnesi (reminiscenza) secondo l’episodio narrato nel Menone del giovane schiavo che, sollecitato da Socrate, riesce a dimostrare un teorema di geometria che non ha mai studiato. Socrate glielo fa ricordare con la sua arte della maieutica, in base al presupposto platonico dell’eternità delle idee matematiche: la teoria dell’anamnesi spiega la presenza di opinioni vere nell’anima di colui che ignora. La relazione della dottrina dell’anamnesi formulata nel Menone con l’arte della maieutica descritta nel Teeteto è la capacità di liberare i pensieri sulla scienza già posseduti dall’interlocutore del dialogo e fatti riemergere sotto lo stimolo del διαλέγεσθαι (propriamente arte del dialogo, in senso generico significa l’arte del dialogare, del discutere, intesa come tecnica e abilità di presentare gli argomenti adatti a dimostrare un assunto, a persuadere un interlocutore, a far trionfare il proprio punto di vista su quello dell’antagonista).
In filosofia, la maieutica socratica è rimasta quasi un unicum. In età moderna il concetto di maieutica, insieme a quello di ironia, è tornato a svolgere un ruolo centrale nel pensiero di Søren Kierkegaard e mantiene la sua vitalità negli indirizzi psicopedagogici che privilegiano l’aspetto del confronto e dello stimolo creativo in luogo di proposte educative cristallizzate in forme di sapere rigidamente predefinite.
Oggi poi, i dibattiti del panorama filosofico hanno il colore di confronti scientifici – e questo, per molti versi, è un grande valore. La maieutica resta piuttosto negli ambiti della psicologia, in cui il psicoterapeuta, parlando col paziente, aiuta a far emergere in lui in maniera originale e sentita delle realizzazioni sulla propria vita, sul proprio dolore, sui propri spigoli.
Si comprende la portata di questa arte di Socrate, padre nobile della filosofia occidentale e di una cultura del dialogo, che non sa la verità, ma che la cerca. Essendo Socrate colui che “sa di non sapere” (concetto, anche chiamato paradosso socratico, pervenutoci attraverso il racconto di Platone, ritenuto il fondamento del pensiero socratico, perché basato su un’ignoranza intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che diventa però movente fondamentale del desiderio di conoscere) e si ponga al livello dei suoi interlocutori, oltre ad avere un rapporto paritario con gli allievi, non è giudicante e non suggerisce le risposte, ma stimola ciascuno alla ricerca delle proprie. Il metodo socratico porta a mettere in discussione le certezze e a tirare fuori i pensieri più autentici. Inoltre, stimola a riflettere su sé stessi e le proprie risorse e ad andare sotto la superficie, innescando un processo virtuoso di apprendimento e di crescita ad ogni livello.
Fonti: Treccani.it, Unaparolaalgiorno.it.

Foto di copertina: la Scuola di Atene è un affresco realizzato tra il 1509 e il 1511 dal pittore rinascimentale Raffaello Sanzio ed è situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro “Stanze Vaticane”, poste all’interno dei Palazzi Apostolici. È una delle opere pittoriche più importanti dei Musei Vaticani.
La Scuola di Atene parla del tema della ricerca razionale e offre una rappresentazione delle sette arti liberali con in primo piano, da sinistra la grammatica, l’aritmetica e la musica, a destra geometria e astronomia, e in cima alla scalinata retorica e dialettica.
Nell’affresco i più celebri filosofi e matematici dell’antichità sono ritratti mentre dialogano tra loro sullo sfondo di un immaginario edificio classico, rappresentato in perfetta prospettiva. Le figure sono disposte su due piani definiti da una larga scalinata che taglia l’intera scena. Un primo e più numeroso gruppo è disposto ai lati della coppia centrale di Platone e Aristotele che conversano tra loro. Un secondo gruppo sulla sinistra è rappresentato dai pensatori interessati alla conoscenza della natura e dei fenomeni celesti. Un terzo, simmetrico al secondo, è dei matematici dove Euclide è intento a tracciare una dimostrazione geometrica.
Le cinquantotto figure presenti nell’affresco hanno sempre sollecitato gli studiosi alla loro identificazione. Quel che è certo è che per figurare vari personaggi Raffaello scelse il volto di artisti a lui contemporanei. Per esempio Platone ha le sembianze di Leonardo da Vinci che regge il Timeo e solleva il dito verso l’alto a indicare Il Bene. Aristotele invece, il cui volto sembra essere quello del maestro di prospettive Bastiano da Sangallo e tiene tra le mani l’Etica Nicomachea. Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, vestito di bianco che guarda verso lo spettatore sarebbe Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II. Euclide (o secondo altri Archimede) è raffigurato con l’aspetto di Donato Bramante. Michelangelo Buonarroti darebbe il volto al filosofo Eraclito. Raffaello avrebbe messo anche se stesso nell’affresco, impersonando la figura del celebre pittore greco Apelle.
Il grande affresco di Raffaello è una sorta di “manifesto” del Rinascimento che pone l’uomo al centro dell’universo. L’essere umano domina la realtà, grazie all’intelletto, in continuità dall’antichità classica al Cristianesimo.