Azerbajgian – Paese fossile e autocratico che disprezza l’azione per il clima e per i diritti umani – ospita la COP29 sui cambiamenti climatici
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.11.2024 – Vik van Brantegem] – Non possiamo rimanere in silenzio, L’Azerbajgian, il Paese fossile e autocratico, che mostra disprezzo per l’azione per il clima e campione della violazione dei diritti umani, ospiterà a Baku dall’11 al 22 novembre 2024 la 29ª Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29) [QUI].
La Conferenza riunisce quest’anno 190 Stati, che discuteranno di diversi temi, tra i quali un nuovo obiettivo globale per il finanziamento climatico; e ancora, obiettivi per porre fine alle emissioni di gas serra, in particolare attraverso la graduale eliminazione dei combustibili fossili; transizioni giuste verso economie a zero emissioni di carbonio; misure sostenibili per ridurre i danni causati dal cambiamento climatico e per andare incontro a inevitabili perdite e danni negli Stati più a basso reddito, che stanno subendo l’effetto più duro degli impatti climatici, pur essendo tra coloro che hanno contribuito meno a crearli.
Preghiera ecumenica per gli Armeni detenuti in Azerbajgian
Alla vigilia della Cop29, domenica 10 novembre 2024 alle ore 17.00 si terrà una preghiera ecumenica per “pregare il Signore per la liberazione di coloro dei nostri fratelli che sono stati fatti prigionieri”, presso la chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma. La liturgia, che sarà presieduto dall’Arcivescovo lan Ernest, Rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede, è promossa dal Pontificio Collegio Armeno e dal Rappresentante della Chiesa Armeno Apostolica presso la Santa Sede, e su invito del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che ha esortato “tutte le persone di buona volontà” a unirsi alla giornata di preghiera per l’Armenia, “giornata che sarà ricordata in tutto il mondo, dalle comunità armene e non, con una preghiera speciale dedicata ai prigionieri armeni attualmente detenuti illegalmente in Azerbaigian”.
Appello dei leader delle Chiese Cristiane “in difesa dei diritti legittimi del popolo dell’Artsakh” e per la liberazione dei prigionieri e detenuti Armeni in Azerbajgian
A pochi giorni dalla COP29 a Baku i leader spirituali delle Chiese Armena Apostolica, Cattolica ed Evangelica – rispettivamente Sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia; Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni; e il Reverendo Paul Haidostian, Presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente – hanno firmato un appello congiunto in cui scrivono: «L’attacco militare contro la Repubblica di Artsakh (nel settembre-ottobre 2020), seguito dal blocco di dieci mesi del Corridoio di Lachin e dallo sfollamento forzato di circa 120.000 armeni dalle loro terre ancestrali nel settembre 2023, nonché la demolizione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la cattura illegale della leadership politica dell’Artsakh, continua a destare enorme preoccupazione».
Pertanto, in quanto «leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo», nonché «impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani», Aram I, Bedros XXI e Haidostian scrivono di non poter «rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbajgian dei diritti degli Armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale». Richiamano dunque l’attenzione dei propri rappresentanti spirituali e comunitari su alcune precise azioni.
Anzitutto, si legge nell’appello, «alla vigilia e nel corso della Conferenza internazionale COP29 a Baku, è di particolare importanza evidenziare la continua ingiustizia contro il popolo armeno dell’Artsakh. Richiedere il loro diritto al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale».
I tre leader spirituali chiedono poi di «mobilitare tutte le nostre risorse in difesa dei diritti degli Armeni dell’Artsakh attraverso la sensibilizzazione degli ambienti politici, governativi e diplomatici, nonché attraverso le relazioni interreligiose e interecclesiastiche, con l’ampio utilizzo di mezzi pertinenti e informativi». Infine, terza azione richiesta, quella che «durante le funzioni religiose, si tengano preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbajgian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa».
«La nostra nazione – afferma ancora il documento – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee». Da qui, una preghiera a Dio di «proteggere la nostra nazione e la nostra Patria da tutti i mali e i pericoli del mondo».
Appello parlamentare
In occasione della COP29 a Baku, alcuni parlamentari italiani hanno firmato l’appello che riportiamo di seguito, affinché il governo italiano si impegni con Armenia e Azerbajgian a raggiungere un accordo di pace nella regione e provveda a far rilasciare tutti i prigionieri e detenuti Armeni, che sono ancora nelle carceri dell’Azerbajgian:
Premesso che dall’11 al 22 novembre 2024 l’Azerbaigian ospiterà COP29, conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico;
Considerato che l’Italia ha ottimi rapporti commerciali e politici con Baku e intrattiene una proficua collaborazione anche nel campo energetico, il che ci posiziona fra i primissimi partner europei dell’Azerbaigian;
Valutato che è interesse dell’Italia che l’area sud caucasica sia pacificamente stabilizzata e pertanto vengano incoraggiate tutte le azioni che promuovano un aumento di fiducia tra Armenia e Azerbaigian e la firma di un definitivo accordo di pace;
Preso atto che, dopo i recenti conflitti, risultano ancora trattenuti, con differenti motivazioni, a Baku, 23 prigionieri di guerra armeni e altri detenuti le cui famiglie attendono da tempo il ritorno a casa;
Considerato che il loro rilascio rappresenterebbe un segnale positivo nelle relazioni fra i due Paesi e avrebbe ulteriori positive ricadute su tutta l’area regionale e sulla stessa COP29;
i sottoscritti, deputati e senatori della repubblica italiana chiedono al Governo
– di sensibilizzare il partner azero affinché in concomitanza con l’evento COP29 proceda, quale gesto di buona volontà e in segno di amicizia con l’Italia, alla liberazione di tutti i prigionieri e detenuti armeni;
– di curare, qualora necessario anche con mezzi propri, il ritorno a casa degli stessi;
– di comunicare ad Armenia e Azerbajgian l’impegno dell’Italia finalizzato al raggiungimento di un accordo definitivo di pace nella regione.
On. Alessandro Battilocchio – FI
On. Brando Benifei – PD Eurodeputato
On. Deborah Bergamini – FI
On. Simone Billi – Lega
Sen. Stefano Borghesi – Lega
Sen. Susanna Camusso – PD
On. Andrea Casu – PD
On. Giulio Centemero – Lega
On. Alessandro Colucci – Noi moderati
Sen. Andrea De Priamo – FdI
On. Gianmauro Dell’Olio – 5 Stelle
On. Benedetto Della Vedova – + Europa
Sen. Graziano Delrio – PD
Sen. Gabriella di Girolamo – 5 Stelle
On. Piero Fassino – PD
Sen. Aurora Floridia – Alleanza Verdi e Sinistra
On. Paolo Formentini – Lega
Sen. Mariastella Gelmini- Gruppo Civici d’Italia – UDC – Noi moderati
On. Giorgio Lovecchio – FI
On. Lorenzo Malagola – FdI
On. Stefano Maullu – FdI
Sen. Roberto Menia – FdI
Sen. Elena Murelli – Lega
Sen. Luigi Nave – 5 Stelle
On. Federica Onori – Azione
On. Andrea Orsini – FI
On. Andrea Pellicini – FdI
On. Catia Polidori – FI
On. Emanuele Pozzoli – FdI
On. Erik Pretto – Lega
Sen. Tatjana Rojc – PD
On. Massimiliano Salini – FI Eurodeputato
Sen. Ivan Scalfarotto – Italia Viva
Sen. Filippo Sensi – PD
Sen. Luigi Spagnolli – Gruppo Per le Autonomie
Sen. Francesco Verducci – PD
Sen. Sandra Zampa – PD
On. Gianpiero Zinzi – Lega
Una delegazione di Amnesty International a Baku
In previsione della COP29 in Azerbajgian, Amnesty International ha ribadito che è «necessario garantire un finanziamento climatico equo, l’abbandono totale dei combustibili fossili e di porre i diritti umani al centro di tutte le decisioni sul clima».
Una delegazione di Amnesty International sarà a Baku dal 9 al 24 novembre 2024 in occasione della COP29, per mettere in evidenza la necessità di porre i diritti umani al centro di tutte le decisioni sul clima e sul continuo attacco del governo azerbajgiano alla società civile.
Agnès Callamard, Segretario Generale di Amnesty International, ha dichiarato: «Alla luce delle insufficienti tutele dei diritti umani previste nell’Accordo con lo stato ospitante, gli stati devono anche adottare misure per proteggere la libertà di espressione e di protesta pacifica per tutti coloro che parteciperanno alla COP29 e per limitare l’influenza dannosa dei lobbisti dei combustibili fossili, che saranno onnipresenti alla conferenza. L’Azerbjigian ha un pessimo record in materia di rispetto della libertà di espressione e del dissenso. È quindi tanto più importante che tali diritti siano protetti all’interno dello spazio ufficiale delle Nazioni Unite. Sia il Segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sia gli Stati parte devono fare molto di più rispetto a quanto fatto negli Emirati Arabi Uniti o in Egitto per garantire la sicurezza, l’incolumità e i diritti di tutti e tutte».
L’Azerbajgian, Paese ospitante della COP29, mostra disprezzo per l’azione per il clima e i diritti umani. Nessuno dei due sembra essere sulla sua agenda
di Arzu Geybullayeva
Global Voices, 1° maggio 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il Petersberg Climate Dialogue di quest’anno, un negoziato annuale internazionale sul clima ospitato dal Ministero degli Esteri tedesco, è stato più di una semplice discussione sulle sfide chiave della politica climatica internazionale. L’evento si è svolto dal 25 al 26 aprile e ha visto la partecipazione di Ilham Aliyev, il Presidente dell’Azerbajgian, il Paese che ospita la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024 (COP29), il più grande vertice internazionale sul clima.
L’incontro è stato anche un’occasione per porre alcune domande scomode e ascoltare alcune verità inquietanti sui piani dell’Azerbajgian per l’azione sul clima. Nel suo discorso di apertura, il Ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha posto una serie di domande incentrate sul futuro dell’economia verde e sui passi concreti che i governi stanno intraprendendo per rispettare gli impegni presi durante le precedenti conferenze COP.
Secondo le osservazioni pronunciate dal Presidente Aliyev, le risposte a tutte queste domande erano già state definite da Dio, poiché Dio ha donato al suo Paese riserve di petrolio e gas e, in quanto tale, l’Azerbajgian dovrebbe continuare a investire e produrre combustibili fossili. Il leader del Paese ha anche promesso di aumentare le esportazioni di gas naturale verso l’Europa.
Nella stessa conferenza, le osservazioni contraddittorie del Presidente della COP29, Mukhtar Babayev, hanno creato ulteriore confusione sulla politica climatica dell’Azerbajgian. Babayev ha affermato: “Il mancato raggiungimento dell’obiettivo [di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 C°, in base all’accordo di Parigi] porterà alla perdita di case e abitanti. Sarebbe una minaccia devastante ed esistenziale, soprattutto per i Paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari. … Tutti hanno il dovere di assicurarsi che le proprie azioni siano coerenti con le proprie parole”.
Diritti e libertà all’ombra dei piani energetici
Quando la decisione di concedere all’Azerbaijan lo status di Paese ospitante è stata annunciata nel dicembre 2023, incombevano interrogativi sui precedenti del Paese ospitante in materia di diritti umani e libertà, nonché sul suo fermo impegno nei confronti dei combustibili fossili e sui suoi piani limitati per ridurre le emissioni. L’economia del Paese dipende fortemente dalla produzione di petrolio e gas, che rappresentano circa il 90 % delle entrate dalle esportazioni dell’Azerbajgian. Sebbene l’Azerbajgian abbia due documenti che riconoscono i limiti del modello di crescita alimentato dagli idrocarburi, al momento non è sulla buona strada per cambiare questi modelli e probabilmente non raggiungerà i suoi obiettivi di emissioni nette zero o di riduzione delle emissioni di gas serra.
In un’intervista con Politico, Patrick Galey, un analista di combustibili fossili presso Global Witness, ha affermato che l’Azerbajgian stava seguendo l’esempio degli Emirati Arabi Uniti nelle sue politiche sui combustibili fossili. Quest’ultimo era l’ospite del vertice dell’anno scorso. “Proprio come gli Emirati Arabi Uniti, l’Azerbajgian sta pianificando un massiccio aumento della produzione di gas. Proprio come gli Emirati Arabi Uniti, l’Azerbajgian prevede di legittimare il suo regime autoritario ospitando questi colloqui globali. E proprio come gli Emirati Arabi Uniti, l’Azerbajgian sembra pronto a usare la COP per sviluppare i suoi legami commerciali internazionali”, ha osservato Galey.
Nel frattempo, la recente repressione di giornalisti e attivisti nel Paese segnala che il vertice si svolgerà in un Paese in cui i diritti umani e le libertà rimangono una preoccupazione importante.
La repressione del governo sulla società civile
Da anni, l’Azerbajgian ha uno dei peggiori record internazionali sui diritti e le libertà dei cittadini. Tuttavia, il Presidente Aliyev ha insistito sul fatto che le persecuzioni contro la società civile sono giustificate. Rispondendo alle domande dopo una conferenza stampa con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, Aliyev ha affermato che non ci sono state violazioni dei diritti umani in Azerbajgian, nessuna censura, nessuna restrizione alla libertà dei media e che il Paese ha garantito l’accesso libero a Internet.
Gli osservatori dei diritti umani la vedono diversamente. Secondo il rapporto annuale Freedom on the Net di Freedom House, Internet in Azerbajgian non è libero. Gli attacchi a diverse piattaforme di media online da novembre 2023, gli arresti di reporter indipendenti e dell’opposizione, l’hacking dei loro account sui social media, la rimozione dei loro contenuti online e la negazione delle violazioni dei diritti dipingono un quadro diverso. Il Paese attualmente si classifica al 151° posto su 180 Paesi nell’indice sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere.
A Berlino, il Presidente Aliyev ha parlato delle recenti indagini e degli arresti che hanno preso di mira una serie di media indipendenti e dell’opposizione, aggiungendo: “Queste indagini erano legittime. Ogni Paese deve difendere le proprie leggi. E se c’è una piattaforma mediatica che riceve illegalmente fondi dall’estero sotto inchiesta, non significa che i media in Azerbajgian non siano liberi”.
Pochi giorni dopo il suo ritorno, la repressione “giustificata” è continuata con l’arresto il 29 aprile da parte della polizia di Anar Mammadli, un attivista politico, ex prigioniero politico e capo di una ONG locale pro-democrazia, l’Election Monitoring and Democracy Studies Centre (EMDC).
Prima del viaggio di Aliyev a Berlino, un altro attivista pro-democrazia e fondatore di Meclis.info, un sito web che documenta le dichiarazioni dei legislatori azeri, Imran Aliyev, è stato arrestato all’aeroporto di Baku il 18 aprile con false accuse di contrabbando. Durante la sua udienza, sul suo corpo erano visibili segni di tortura. Secondo i giornalisti locali, dopo aver dichiarato di essere stato torturato durante la detenzione, Aliyev è stato poi sottoposto a ripetute intimidazioni fisiche presso il centro di detenzione. Se condannato, Aliyev potrebbe affrontare una pena detentiva da cinque a otto anni.
Nel frattempo, la polizia ha continuato a interrogare i giornalisti in un’indagine in corso contro Toplum TV. Almeno due giornalisti, Cavid Ramazanov e Gulyeter Mahmudova, sono stati interrogati tra il 25 e il 27 aprile. Il 6 marzo, Toplum TV, un canale di notizie online, ha visto il suo ufficio preso d’assalto dalla polizia, il personale arrestato, l’attrezzatura confiscata e l’edificio sigillato. Lo stesso giorno, gli account YouTube e Instagram di Toplum TV sono stati hackerati. I colpevoli hanno rimosso anni di contenuti dal loro canale YouTube e lo hanno rinominato, rendendo il canale inaccessibile. L’account Instagram di Toplum TV è stato eliminato. Dopo il raid, un giornalista di Tolplum TV, Mushvig Jabbarov, è stato condannato a quattro mesi di custodia cautelare per false accuse di contrabbando. Anche il co-fondatore della piattaforma, l’esperto di diritto dei media Alasgar Mammadli, è stato condannato a quattro mesi per le stesse accuse. Altri due giornalisti di Toplum TV, Farid Ismayilov ed Elmir Abbasov, sono stati arrestati e poi messi agli arresti domiciliari, per accuse simili di contrabbando.
Le accuse mosse a Toplum TV e ad almeno altri cinque attivisti politici arrestati dal 6 marzo seguono uno schema di repressione e censura dei media che è stata accelerata da novembre 2023.
Dall’inizio di aprile, almeno sette persone sono state interrogate nell’ambito di un’indagine in corso contro un’altra piattaforma mediatica indipendente, Abzas Media. Abzas Media, una piattaforma di notizie online indipendente, ha avuto il suo ufficio perquisito e gran parte della redazione arrestato con le stesse accuse di contrabbando da novembre 2023.
Inutile dire che in Azerbajgian non esiste un giornalismo indipendente sull’impatto ambientale della produzione di combustibili fossili del Paese. Quando le proteste ambientali regionali hanno scosso il Paese nell’estate del 2023, ai giornalisti è stato impedito di coprire le proteste. Allo stesso modo, Anar Mammadli, un attivista politico arrestato il 29 aprile, è stato uno dei fondatori di una nuova iniziativa COP29-Climate of Justice Initiative, che, tra i molti ambiti di interesse, ha anche indagato sull’inquinamento intorno alla penisola di Absheron a seguito dell’estrazione di petrolio e dell’inquinamento delle acque nella zona.
In risposta alla repressione in corso in Azerbajgian, il Parlamento Europeo ha adottato il 25 aprile 2024 una risoluzione urgente, chiedendo un “rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici” e che “le sanzioni dell’Unione Europea nell’ambito del suo regime globale di sanzioni per i diritti umani vengano imposte ai funzionari azeri che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani”. La risoluzione è stata adottata con 474 voti a favore, 4 contrari e 51 astensioni.
La risoluzione ha invitato la Commissione Europea anche a sospendere il partenariato strategico nel campo dell’energia con l’Azerbajgian. La Commissione ha firmato un accordo con l’Azerbajgian per raddoppiare le importazioni di gas entro il 2027. Durante la sua visita a Berlino, il Presidente Aliyev ha utilizzato questi accordi per giustificare la continua produzione di petrolio e gas. Le autorità azere hanno risposto rapidamente alla risoluzione, respingendo il documento come infondato e politicamente motivato.
Separatamente, il 27 aprile, il Congresso degli Stati Uniti ha assistito all’introduzione del Azerbaijan Sanctions Review Act. L’atto, il primo del suo genere, “permetterebbe sanzioni contro alti funzionari azeri per il loro ruolo nella guerra del Karabakh e violazioni dei diritti umani, tra cui la violenta repressione dell’opposizione politica”, come riportato da Turan News Agency. Mentre le conferenze annuali COP sono pensate come uno spazio per una seria discussione ambientale e per l’elaborazione di politiche, i due precedenti Paesi ospitanti, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, hanno utilizzato le conferenze per ripulire la propria immagine e reprimere la società civile. Con le dichiarazioni contraddittorie dell’Azerbajgian, la scarsa reputazione in materia di diritti umani e le politiche passive sul clima, alcuni attivisti si stanno preparando a gran parte della stessa cosa. Pertanto, molti attivisti ambientali stanno perdendo la fiducia che le conferenze COP possano essere una fonte significativa di azione per il clima, con alcuni che hanno persino scelto di boicottare l’evento.