Il linguaggio dell’anima. Scrivere a mano in corsivo per dare respiro al pensiero
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.11.2024 – Vik van Brantegem] – La scrittura corsiva è uno stile di calligrafia in cui i simboli della lingua sono scritti in modo congiunto e scorrevole, generalmente allo scopo di rendere la scrittura più veloce. Questo stile di scrittura è distinto dalla scrittura stampata, che utilizza caratteri in stampatello, in cui le lettere di una parola sono disconnesse e sono in forma di lettera romana/gotica piuttosto che con caratteri uniti. Non tutti i testi di esempi in corsivo uniscono tutte le lettere: il corsivo formale è generalmente unito, ma il corsivo casuale è una combinazione di unioni e alzate di penna. La scrittura corsiva viene appresa durante il primo percorso scolastico.
L’attuale scrittura corsiva per l’alfabeto latino nacque nel tardo Medioevo per opera degli Umanisti ed ebbe una rapida e duratura espansione in tutta Europa. È caratterizzata da una sobria eleganza, da una chiara leggibilità e dalla rapidità. Agli albori del XVI secolo il tipografo bolognese Francesco Griffo se ne servì per creare lo stile di carattere noto come corsivo, chiamato all’estero italico (tranne che in Spagna, dov’è noto come letra grifa).
Fino al XX secolo la scrittura corsiva è stata usata sia per la letteratura sia per i rapporti commerciali; oggi è usata prevalentemente per la scrittura personale.
Pensieri e parole
di Vivian Parra
Ti sei mai chiesto perché ai bambini non viene più insegnato a scrivere in corsivo? E no, non è un caso che tendano a usarlo sempre meno. Scrivere in corsivo significa tradurre i pensieri in parole; ti obbliga a non staccare la mano dal foglio. Uno sforzo stimolante, che ti permette di associare idee, collegarle e metterle in relazione.
Non a caso la parola “corsivo” deriva dal latino currere, che corre, che fluisce, perché il pensiero è alato, corre, vola. Certo, il corsivo non ha più posto nel mondo di oggi, un mondo che fa di tutto per rallentare lo sviluppo del pensiero, per riempirlo.
Penso che il corsivo sia nato in Italia e poi si sia diffuso in tutto il mondo. Perché? Perché era una scrittura compatta, elegante, chiara. Ma la nostra è una società che non ha più tempo per l’eleganza, per la bellezza, per la complessità; abbiamo la sintesi ma non la chiarezza, la velocità ma non l’efficienza, l’informazione ma non la conoscenza!
In generale, sappiamo troppo e troppo poco perché non siamo più (in generale) capaci di mettere in relazione le cose. La maggior parte delle persone non riesce più a pensare. Ecco perché dovremmo tornare a scrivere in corsivo, soprattutto a scuola. Perché non si tratta solo di recuperare uno stile di scrittura, ma di dare nuovo respiro ai nostri pensieri. Tutto ciò che ci fa vivere, che nutre l’anima, che sostiene lo spirito, è legato al respiro. Senza respiro, come dicevano gli antichi greci, non c’è pensiero. E senza pensieri non c’è vita.
Fonte: Associazione Metodo Simultaneo.
Disgrafia e corsivo
Qualcuno afferma che scrivere in corsivo in un mondo digitalizzato non serve. È come dire che parlare in un mondo sempre più virtuale, fatto di ridotti contatti sociali, non è utile; è come dire che studiare la storia quando esiste Wikipedia non ha senso.
Il corsivo nasce come forma di scrittura veloce e fino ad oggi è stato il modo più usato per scrivere a mano sia nei rapporti privati che in quelli commerciali.
Negli ultimi anni, spinti anche dalle pressioni tecnologiche di alcuni sponsor, in alcuni paesi l’insegnamento del corsivo è stato messo in discussione. Salvo poi, nella maggior parte dei casi, ritornare a insegnarlo ancora più convinti.
La crisi della scuola e il dibattito sul corsivo
Pure in Italia nel tempo si è acceso il dibattito sull’insegnamento del corsivo e con il riconoscimento della disgrafia come disturbo che richiede tutele specifiche (L.170/2010) alcuni studiosi hanno minimizzato l’importanza della scrittura corsiva.
I bambini con disgrafia rispetto a questo tema sono tirati per la giacchetta: con loro il problema dell’insegnamento del corsivo si vede e quindi si cerca da più parti di sfruttare la situazione. Di fronte ad un bambino con problemi di scrittura e/o lettura, se può, la scuola frequentemente opta per non insegnare il corsivo, sostenuta dalle certificazioni di DSA e dalle direttive ministeriali in merito. L’idea, che ha un suo fondamento, è che insistere affinché il bambino scriva in corsivo può rendere difficoltoso l’apprendimento della lettura, dell’ortografia ecc. Che succede quindi? Il più delle volte si risolve facendo scrivere in stampatello o dotando il bambino di un computer.
I produttori vedono ovviamente di buon occhio la digitalizzazione della scuola e, infatti, non hanno buoni motivi per non promuovere l’adozione di tablet e PC. Ma non è loro la colpa di “arrendersi” di fronte alla disgrafia.
L’atteggiamento che la scuola e di alcuni professionisti ha di fronte alle difficoltà di scrittura è sintomatico del proprio stesso fallimento. Vediamone gli elementi essenziali:
Nella Scuola dell’Infanzia sempre più si cerca di insegnare la scrittura e la lettura (e il calcolo!) mentre ci si occupa sempre meno di fornire una base che sia prerequisito non solo degli apprendimenti curriculari, ma anche del modo di stare nel mondo.
Sempre più spesso nella Scuola dell’Infanzia si cerca di insegnare scrittura, lettura (e calcolo) ricorrendo a schede ed esercizi ammaestrativi dimenticando che le abilità corporee, motorie e relazionali sono alla base della capacità di esprimere se stessi anche lasciando tracce certe.
Nella Scuola Primaria il tempo è poco, le classi sono numerose e bisogna tutti far presto: a volte si parte già a settembre del primo anno introducendo tutti i sistemi di scrittura e lettura: stampatello, corsivo e stampato minuscolo (che confusione!); altre volte a dicembre del primo anno si inizia a pretendere la scrittura corsiva precisa e veloce…una rincorsa orientata a produrre risultati e non processi.
La professionalità degli specialisti si è progressivamente abbassata, delegando le modalità di recupero a strumenti a-relazionali (schede, software ecc.), molto sponsorizzati da certe case editrici.
Ma a che cosa serve il corsivo? Proviamo a sintetizzare:
chi scrive in corsivo sa leggere il corsivo;
chi sa legare le lettere nel corsivo sviluppa capacità di pensiero attivando processi associativi che uniscono rappresentazioni mentali;
il corsivo contribuisce a sviluppare e comunicare un peculiare modo di essere.
Insomma, il corsivo è il tono e il timbro della nostra voce quando scriviamo.
Disgrafia: che fare?
Un bambino con problemi di scrittura dovrebbe essere aiutato a migliorare il proprio modo di lasciare traccia di sé. Sono rari i casi in cui riteniamo adatto rimandare o sospendere l’insegnamento del corsivo.
Per aiutare un bambino che presenta elementi di disgrafia è necessario ripartire dal corpo facendogli conoscere e riscoprire la corporeità che “abita”, favorendo il movimento e le abilità fini e grosso motorie, alimentando la motivazione a lasciare un segno di sé nel mondo, a esprimersi attraverso il gesto e il gesto che crea segni. Un percorso di aiuto che a partire dalla persona cerca di svilupparne le potenzialità, le abilità, le disponibilità.
Fonte: Centro Studi Specialistici Kromos.
Calligrafia, il corsivo non si cancella
di Laura Badaracchi
«La scrittura manuale è un diritto fondamentale. E fa bene al cervello». Parla il grafologo Claudio Garibaldi, coordinatore della campagna per farla riconoscere dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
È appena uscito il numero speciale della rivista Scrittura, rivista di problemi grafologici edita dall’Istituto Grafologico Internazionale Girolamo Moretti di Urbino. Il periodico, che ha compiuto 46 anni, lancia fin dalla copertina il diritto alla «scrittura a mano» come patrimonio dell’umanità; infatti anche solo la sua importanza per l’apprendimento e l’espressione di sé da parte dei bambini testimonia la perdita culturale e cognitiva che rappresenterebbe il suo abbandono, causata soprattutto da un conflitto – in verità solo apparente – con la scrittura digitale. Fra gli interventi pubblicati sul quadrimestrale diretto da Carlo Merletti si segnalano quello di Dario Cingolani che ricorda: «Quando la scrittura era essenza vitale e quasi preghiera», il contributo di Anna Rita Guaitoli dedicato a Il corsivo per far parlare le emozioni e l’articolo di Roberto Pazzi su Il linguaggio dell’anima.
Salvare dal disuso la scrittura manuale, perché fa bene al cervello, aiuta a elaborare e ancor prima «è un diritto fondamentale da preservare e da far riconoscere come patrimonio dell’umanità dall’Unesco». Lo sostiene il grafologo Claudio Garibaldi, coordinatore della campagna per il diritto di scrivere a mano, lanciata quasi due anni fa dall’Istituto grafologico internazionale «Girolamo Moretti» di Urbino; un polo formativo che ha come direttore il frate conventuale padre Fermino Giacometti. Sull’iniziativa sensibilizzazione verte l’ultimo numero del quadrimestrale Scrittura, diretto da Carlo Merletti e pubblicato dall’Igm.
Professor Garibaldi, come sta andando la campagna?
«I risultati ottenuti in così breve tempo sono stati positivi, talvolta sorprendenti. Occorre però una prospettiva a lungo termine, perché la creazione di consapevolezza sul valore della scrittura a mano richiede il coinvolgimento di molte realtà. Siccome l’obiettivo finale è quello di far dichiarare la scrittura a mano (bene individuale e collettivo) come patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, ciascuno di noi può dare un contributo».
Con quali iniziative e attività si articola la campagna?
«Fino a poco tempo fa di scrittura a mano si parlava poco, se non in ambiti specialistici. La nostra prima azione è stata creare uno spazio condiviso come punto di riferimento per tutti coloro che avessero a cuore il tema: una pagina Facebook dedicata (‘Campagna per il diritto di scrivere a mano’), che ha richiamato subito l’interesse di migliaia di sostenitori. Sono stati avviati contatti con associazioni internazionali, ricercatori, persone della cultura e dello spettacolo, noti rappresentanti dei produttori di mezzi di scrittura. In cantiere, l’organizzazione di una Giornata della scrittura a mano».
Avete ricevuto riconoscimenti dalle istituzioni?
«L’ex ministro dell’Istruzione Stefania Giannini aveva manifestato sensibilità e concreto interesse per la valorizzazione della scrittura a mano, avviando un tavolo di lavoro: ora alcuni progetti condivisi sono in fase di definizione. Se sarà la voce autorevole del Miur a scendere in campo a difesa della scrittura a mano, questo significherà coinvolgere gli insegnanti e le facoltà di Scienze della formazione».
E la risposta dei cittadini c’è stata?
«Abbiamo sempre riscontrato interesse e curiosità. È comunque un dato di fatto che si scrive poco a mano, così come si leggono pochi libri; secondo i dati Ocse, siamo in presenza di un analfabetismo di ritorno. La campagna offre uno spazio di confronto, ma certamente non basta: occorre che le varie agenzie culturali si facciano carico della questione».
Qualcuno vi ha accusato di anacronismo o nostalgia?
«Naturalmente sì, ma crediamo dipenda dalla mancanza di conoscenza di cosa rappresenti e quali funzioni abbia la scrittura a mano. La prima campagna per la difesa del corsivo nacque anni fa negli Stati Uniti, perché il loro core curriculum standard d’insegnamento alle scuole primarie ne aveva escluso l’insegnamento obbligatorio. Ebbene, se in una nazione così pragmatica e tecnologicamente avanzata si sviluppano ricerche scientifiche sull’utilità della scrittura a mano, non si tratta di una battaglia di retroguardia, semmai di una lungimiranza su ciò che serve all’essere umano, specificamente al bambino, per crescere. Molte ricerche scientifiche anche in Europa evidenziano quale grande perdita sarebbe per la civiltà umana mettere da parte la scrittura manuale».
Come proseguirà la campagna?
«Non vogliamo rinchiuderci in ambiti accademici. Scrivere a mano è sostanzialmente un piacere e un’espressione della nostra umanità: cercheremo di divulgare questo messaggio».
Quali i benefici della scrittura a mano?
«Scrivere a mano è uno dei comportamenti più complessi ed educarlo significa promuovere una formazione armonica. L’indifferenza diffusa verso la scrittura manuale si fonda proprio nel considerarla come mero strumento di comunicazione, trascurandone il significato antropologico di base: comportamento che traduce in tracciati grafici la sinergia dei dinamismi psicologici, intellettivo-operativi, relazionali e biologici della persona che lo attua. È un errore ermeneutico che potrebbe avere conseguenze pesanti sull’impostazione e l’efficacia dei processi pedagogici. Tra l’altro, osservare le caratteristiche della scrittura è molto utile per valutare il suctura cesso o meno dei programmi di formazione della persona. E non solo nella cosiddetta fase evolutiva».
A suo parere, può armonizzarsi con l’uso dei mezzi di scrittura tecnologici?
«Anche i fabbricanti di smartphone non sono indifferenti alla questione e stanno immettendo sul mercato prodotti che implicano l’utilizzo di penne digitali, in modo da poter riprodurre la scrittura a mano. Questo potrebbe essere un buon compromesso ma, ripeto, prima dovremmo avere una conoscenza profonda di che cosa sia la scrit- a mano».
Nel numero speciale della rivista Scrittura, Roberto Pazzi parla di «linguaggio dell’anima» e Dario Cingolani di «essenza vitale e quasi preghiera» a proposito della scrittura manuale. Quale il nesso con la spiritualità?
«La scrittura evidenzia lo ‘stile personale’ con cui i valori vengono introiettati. C’è la persona che li interiorizza e li vive secondo uno stile ‘contemplativo’ e chi invece è più portato a esprimerli attraverso l’azione. La scrittura corsiva descrive questa originalità proprio perché esprime l’unicità di chi la esegue. Inoltre le ricerche scientifiche hanno ampiamente dimostrato l’utilità dello scrivere per memorizzare e organizzare pensieri, emozioni e convinzioni personali».
L’interesse per i corsi di calligrafia può far riscoprire il valore della scrittura manuale?
«Per l’uomo contemporaneo, spesso così povero di memoria, richiamare l’attenzione sull’importanza dell’armonia nel comportamento grafico significa evidenziare l’urgenza che venga promossa una crescita secondo criteri di globalità. La scrittura è veramente calligrafica quando esprime la bellezza unica ed esclusiva della persona che sta bene con se stessa, con gli altri e con l’universo».
Fonte: Avvenire.