Mons. Trevisi: san Giusto un innamorato della sua città
Ieri Trieste ha festeggiato il patrono san Giusto, martirizzato il 2 novembre 303 durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano per le sue opere ed elemosine, fu denunciato di empietà (sacrilegium) da alcuni suoi concittadini. Secondo la legge romana il giudice doveva verificare di persona l’accusa. Perciò Giusto fu convocato nello studio privato (consistorium) del magistrato ed invitato a sacrificare agli dèi romani, a cui oppose un fermo rifiuto. Nella scrupolosa osservanza delle procedure, il magistrato Manazio mandò Giusto in carcere per una pausa di riflessione. Il giorno seguente Giusto, nuovamente esortato a sacrificare, rifiutò; venne quindi fustigato e, poiché persisteva nel suo rifiuto, condannato alla morte per annegamento.
Nell’omelia per il pontificale della festa patronale mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, ha rappresentato il patrono come cittadino: “Mi piace pensare a san Giusto come a un cittadino che non ha fatto mancare il suo apporto per costruire la città. La tradizione ce lo presenta come un uomo conosciuto per le sue opere e le sue elemosine. La fede non si riduce a un sentimento ma è vita che si esprime in tutte le dimensioni, e dunque anche nelle opere e pure nella carità verso i poveri. Nella settimana sociale siamo stati sollecitati a prenderci cura della città, a partecipare attivamente e nelle forme più svariate e in tutte le direzioni. Il papa ha parlato della crisi della democrazia come di un cuore ferito, infartuato”.
Ed ha sottolineato l’importanza data da san Giusto per le opere di carità: “Mi piace pensare a San Giusto come a un cittadino che si è dato da fare con le opere e con la carità. Non viene ricordato come uno che si distingueva per le polemiche ma come uno che viveva facendo del bene, prendendosi cura dei poveri”.
Quindi ha invitato la comunità ad imparare dal patrono: “Talvolta, è così in tutto il mondo e anche a Trieste, si rischia di scivolare in riletture dove tutto è polemica e scontro. Dove fatichiamo a convertirci ad uno stile di confronto sereno e aperto, a un dialogo delle buone pratiche che non devono essere interpretate contro qualcuno, ma a favore del Bene comune, a favore di chi rischia di essere scartato… A me piace una comunità cristiana che sull’esempio di San Giusto è parte viva della città e si spende coraggiosamente per le persone vulnerabili. Non con lo spirito partitico, di una parte contro l’altra, ma nella ricerca delle tracce del Dio incarnato nella storia di tanti crocifissi che ci abitano a fianco, che ci camminano a fianco”.
San Giusto ha compiuto le opere di carità in quanto la fede rende liberi: “La fede in Gesù mi rende libero dalla preoccupazione del mio successo individuale, e dunque libero di prendermi cura dei fratelli. Libero di rischiare la vita nell’amore, come Gesù. Liberi anche di andare oltre i pregiudizi del tempo, per osare con Gesù lo scandalo dell’amore evangelico. Fino a dare totalmente noi stessi: nell’essere appassionati per la vita, per il bene comune, per la pace e la giustizia, per dare compagnia ai malati, nel rilanciare attenzione alle famiglie, nell’affrontare l’inverno demografico, nello sfidare l’emergenza freddo”.
Per questo mons. Trevisi ha chiesto ai fedeli di imparare a credere in Gesù, che rende liberi, dall’esempio di san Giusto: “Da san Giusto (il chicco di grano, caduto in terra e che dà molto frutto) impariamo a credere in Gesù smisuratamente: Gesù ci rivela il volto del Padre e dunque il volto del vero Dio: il Dio che ci ama e vuole la nostra vita, la nostra pienezza di vita; ed è Lui che ci rivela come guardare ai fratelli e uscire dallo stereotipo dello scontro, dell’essere gli uni contro gli altri. Credere in Gesù ci fa liberi dalle ideologie, liberi dal consenso a tutti i costi (anche a prezzo delle menzogne), liberi di spenderci nell’amore, fino a dare la vita”.
E per questa fede liberante è stato martirizzato: “Di fronte alle prepotenze del suo tempo san Giusto non è indietreggiato. Ha continuato a professare la sua fede in Gesù Cristo e a vivere spargendo buone opere e carità. Non possiamo continuare a ripetere che i nostri sono tempi difficili, quasi a giustificarci di una fede vissuta con mediocrità, anteponendo ad essa lo spirito del mondo. San Giusto vive la sua appartenenza a Gesù fino a morire martire, cioè a morire amando Dio ed il prossimo. Oggi assistiamo a tante persone che muoiono uccidendo sia nelle guerre come nella criminalità organizzata ma anche in relazioni malate che ci sono talvolta tra uomini e donne. E altre persone che muoiono mentre il mondo resta indifferente e distratto!”
San Giusto invita ad una fede coraggiosa: “Niente di meno di questo: dare la vita con Gesù, nel nome di Gesù. San Giusto questo insegna anche oggi a tutta Trieste. Non una fede mediocre, non una fede tiepida e accomodante. Invece una fede viva, appassionata, radicale, coraggiosa, entusiasta, contagiosa… Come ci insegnano anche tanti cristiani del nostro tempo, martiri in tante parti del mondo anche in questo nostro tempo”.
Mentre nella veglia di preghiera mons. Trevisi aveva invitato i cittadini alla carità: “Troverete così il vostro modo personale di vivere la carità, senza ipocrisia, detestando il male, con affetto fraterno, gareggiando nella stima reciproca. Abbiamo bisogno di giovani che non sono pigri nel fare il bene. Che non sono lieti nella speranza… premurosi nell’ospitalità. A questo riguardo invito a divenire volontari nel dormitorio di via Sant’Anastasio. Trovate l’emozione del fare un puzzle con dei bambini che hanno bisogno di recuperare la loro infanzia perduta. Oppure sogno di poter rilanciare volontariato giovanile con i bambini al Burlo. E vi educheranno a quello che dice san Paolo: a rallegrarvi con chi è nella gioia e a piangere con quelli che sono nel pianto!”