Giulio Aristide Sartorio: 18 dipinti alla Galleria Berardi di Roma

Fino al 14 dicembre 2013 si possono vedere a Roma 18 rari dipinti di Giulio Aristide Sartorio (Roma, 11 febbraio 1860 – 3 ottobre 1932). Li espone la Galleria di Gianluca Berardi in Corso del Rinascimento 9. La mostra è accompagnata dalla pubblicazione di un pregevole volumetto storico-critico intitolato: Sartorio. Mito e modernità, con scritti dello stesso Berardi e di Eugenia Querci, Francesco Maria Romani, Sabina Spinazzé, Teresa Sacchi Lodispoto. La Galleria Berardi è nota agli appassionati d’arte per la cura dell’Archivio dell’800 romano e dell’Archivio Francesco Paolo Michetti: due prospettive critiche per guardare dentro l’Ottocento italiano riscoprendone gli spessori pittorici e la ricca trama culturale.
Sartorio è stato un notevolissimo pittore fra ‘800 e ‘900, ma anche un versatile scultore nonché scrittore, fotografo e regista cinematografico in un’epoca di grandi trasformazioni tecnologiche e sociali. Fu figlio d’arte – in quanto allievo sia del padre Raffaele che del nonno Girolamo, entrambi scultori e pittori di origine novarese – nonché un valente autodidatta, dotato di grande attitudine per il disegno e la pittura sia di studio che dal vero. Lo mostrava bene il dipinto Malaria, ispirato alla campagna romana del tempo, presentato nel 1882 all’Esposizione di Roma: suoi ispiratori furono Michetti e Palizzi. Lungo l’asse Roma-Napoli conobbe anche D’Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Domenico Morelli. Nel 1893 aderì al gruppo di figurazione e paesaggio animato da Nino Costa In arte libertas. Ma i suoi riferimenti non furono soltanto italiani: infatti si avvicinò alla poetica preraffaellita di William Holman Hunt, John Everett Millais e Ford Madox Brown da cui trasse ispirazione per le figurazioni mitologiche e simbolistiche dei nudi corpi umani. Dal 1895 al 1899 fu in Germania, professore nell’Accademia di Weimar, dove sentì l’influsso delle idee di Nietzsche e dei simbolisti tedeschi e trasse suggestioni per le figurazioni animalistiche. All’inizio del ‘900 in Italia si aggregò al Gruppo dei Venticinque paesaggisti della Campagna romana fino a quando fu nominato insegnante dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Il carattere dinamico e avventuroso della pittura di Sartorio si rivelò nel 1915 quando partecipò volontario alla prima guerra mondiale – esperienza che gli suggerì rappresentazioni di forte realismo militare e bellico che anticipavano quelle del russo Alexander Deineka. Si servì della sua arte pittorica anche durante i viaggi in Egitto, Siria, Palestina e in Sud America, che divennero per lui fonte di raffigurazioni paesaggistiche e di personaggi di sapore e coloritura post-impressionistica. Tra le maggiori realizzazioni del suo periodo più denso di mostre e di opere è il Fregio della Camera dei Deputati a Montecitorio (1908-1912) alto 4 metri per una lunghezza di circa 100. Nel 1925 Sartorio aderì all’ideologia del Fascismo – una scelta obbligata per molti artisti della sua generazione, che avrebbe segnato pesantemente la fortuna postuma della sua opera pittorica – sottoscrivendo il “Manifesto degli intellettuali del Fascismo”. Nel 1929 fu nominato accademico d’Italia. L’influenza di Sartorio sull’illustrazione e sulla decorazione italiana di primo ‘900 nonché sull’iconografia del Fascismo è stata notevolissima: la carica mitologizzante ed estetizzante della sua pittura riuscì a dare consistenza visiva all’ideologia dominante anche se, insieme ad essa, subì le conseguenze negative della retorica di regìme.
Malgrado ciò, in epoca radicalmente altra, il linguaggio pittorico di Sartorio risulta ancora affascinante. Ciò si spiega con il fatto che Sartorio riusciva a congiungere la dimensione mitologica ed evocativa delle immagini dipinte – che proveniva dalla tradizione classica italiana – con una loro connotazione funzionale e decorativa tutta contemporanea. L’ideologia italiana trovò in Sartorio un cantore efficacissimo. La pittura figurativa si avviava con lui a vivere la sua ultima stagione felice: non insidiata dalle immagini riproducibili e dai linguaggi dello spettacolo e della pubblicità, ma piuttosto potenziata dalla forza plastica e creatrice del disegno. Una pittura figurativa capace di assimilare e di utilizzare al proprio interno le nuove forme tecnologiche della comunicazione (giornalismo, fotografia, cinema) e di trasmettere un messaggio vitale, appena contaminato dall’ideologia.
I 16 dipinti in mostra alla Galleria Berardi documentano, con notevole qualità, tutti gli aspetti della ricerca pittorica di Sartorio: l’arte del paesaggio, ispirata dalla campagna romana che è stata negli anni per Sartorio fonte di ricerca continua; la pittura di idee che vide Sartorio protagonista della stagione simbolista a Roma sotto l’influsso di D’Annunzio e della società letteraria del tempo. Vi è poi il raffinato Sartorio animalier, attratto dalla possibilità di raffigurare animali esotici, astratti dal contesto naturale specifico e raffigurati con suggestivo simbolismo. Sartorio eccelse anche nella pittura di decorazione: fu l’inventore del linguaggio pittorico ufficiale dell’Italia di Vittorio Emanuele III con figurazioni di nudi e di bambini in stile Art Nouveau che si accompagnavano a scritte, insegne, didascalie. Sono anche documentate le realistiche tranche de vie dedicate da sartorio alla Grande Guerra. Il Nostro fu anche un artista viaggiatore, figuratore della natura in scorci pittorici sempre nuovi: in Italia ma anche in Sud America e in Africa. Tra le opere in mostra: Tigre che lotta con un serpente, databile al suo soggiorno a Weimar alla fine dell’Ottocento; il ritratto di Re Fu’ad I d’Egitto del 1919 (il sovrano sarebbe venuto in visita ufficiale a Roma nel 1927). Tra i dipinti di paesaggio: il Circeo, Pratica di mare del 1923, Tra Monfalcone e Duino e fuori Italia Tiahuanaco, Le rovine della città preistorica e vedute del Sud America realizzate durante il viaggio compiuto nel 1924.
Nella foto: Giulio Aristide Sartorio, Re Fu’ad I d’Egitto a cavallo (1919).