Scema l’autorevolezza dell’istituzione, che si lascia strumentalizzare

Scemare
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.10.2024 – Vik van Brantegem] – La parola del giorno è scemare (calare di intensità, quantità e simili: attenuare, ridurre, diminuire, calare, indebolire, assottigliare, accorciare, restringere, decrescere, abbassare, impiccolire, declinare, perdere, mitigare, scadere, languire, menomare, adacquare). È una parola che qualche prurito lo dà: questa è l’occasione per capire che anche lo scemo è più raffinato di quanto l’uso serrato non suggerisca. Me ne rendo conto, quando si presentano delle questioni di un certo pregio.

In sostanza, scemare significa diminuire, anzi propriamente dimezzare, visto che la sua base è la famosa parola latina semis (metà), che in epoca tarda produce l’aggettivo semus (mezzo). Secondo l’etimologia si ricostruisce come nel latino parlato quest’ultimo abbia dato origine a un exsemare da cui sarebbe nato il scemare.

Poi, è dallo scemare che viene lo scemo, letteralmente un non intero, e quindi un giudizio, un senno, un intelletto ammezzato. Un’immagine con una finezza e una potenza metaforica che si stagliano bene sulle immagini prestate da parole colleghe, come l’espressione imbalordita dello stupido, la povertà commiserata del cretino, il profilo plebeo dell’idiota, e perfino la sottile, complessa compromissione della fermità dell’imbecille.

È una mancanza piena di suggestioni, quella dello scemo, di cui è importante conservare anche lo spazio originale. Quando Dante, appena rivista Beatrice al sommo del Purgatorio nel XXX canto, si volta verso Virgilio, dice:

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’mi.

(Se n’è andato senza dire niente, lasciandoci privi di lui, Virgilio dolcissimo padre, a cui, dice il poeta, mi diedi per la mia salvezza)

Lo scemare è stato un diminuire esplorato dalla lingua comune in ogni senso possibile e immaginabile. Il fatto che sia una parola ereditaria, di tradizione popolare, significa che ha subito qualche trasformazione ma ha letteralmente migliaia di anni sulle spalle, di uso e di sperimentazioni.

Però oggi, anche col fatto che da verbo popolare si è fatto più ricercato, è diventato un diminuire d’uso più particolare. Certo, è un diminuire di intensità, energia, quantità e via dicendo, ma prospera in un certo impressionismo percettivo, verte nelle zone dell’impalpabile anche quando è chiaro.

Scema il vento all’improvviso, dandoci tregua. Scema l’autorevolezza dell’istituzione, che si lascia strumentalizzare.

Non ha quell’allentamento, quel moto sospeso verso il basso proprio del calare, non è un ridurre geometrico, resecato o ristretto, né un diminuire che confronti il suo meno su una scala. Più che del tagliare, ha il profilo dello svaporare, del venir meno, del disperdersi. Un profilo di grande, incorporea eleganza.

Che sorte complessa: parola di popolarità remota e secolare, che si fa fine e ricercata con una sfumatura d’inafferrabilità, pur nella vicinanza con una delle ingiurie più piane e a buon mercato che abbiamo, la quale però attinge a sua volta a una metafora di rara incisività poetica.

Il basso è alto, l’alto è basso.

Fonte: Unoparolaalgiorno.it

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