La decomposizione della sinodalità

Louis Bouyer
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.10.2024 – Vik van Brantegem] – Il saggio dal titolo La decomposizione della sinodalità di Dominic V. Cassella, pubblicato ieri su The Catholic Thing – che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese – riporta la tesi di Padre Louis Bouyer (foto di copertina) in riferimento ad un tipo di “Cattolicesimo”, che si è sviluppato dopo il Concilio di Trento nel 1500, e durato fino ai nostri giorni, che è stato, in un certo senso, un “sistema artificiale fabbricato dalla Controriforma, e indurito dalle bastonate del modernismo”. E l’autore del saggio sostiene che potremmo dire lo stesso dell’attuale “Cattolicesimo sinodale”, sebbene al momento venga presentato come l’obiettivo della vita della Chiesa oggi, nel tempo a venire.

Padre Louis Bouyer (Parigi, 17 febbraio 1913 – Parigi, 22 ottobre 2004) è stato un presbitero Oratoriano e teologo francese, che partecipò in qualità di Consultore ai lavori del Concilio Vaticano II. Prima della sua conversione al Cattolicesimo nel 1939, era stato pastore luterano. È noto per il suo contributo scientifico nell’ambito della spiritualità e la storia del Cristianesimo. Fu co-fondatore nel 1972 di Communio, la rivista internazionale di spicco del pensiero teologico Cattolico nell’orizzonte contemporaneo, insieme a Joseph Ratzinger, allora professore di Regensburg, Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac, Walter Kasper ed altri. Fu scelto da Papa Paolo VI nel 1969 come membro del gruppo costitutivo della Commissione Teologica Internazionale, assieme a Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger.

Dominic V. Cassella, è studente di dottorato presso la Catholic University of America, Fondatore e Direttore esecutivo della Theosis Academy, un sito web dedicato all’educazione cattolico-ortodossa e al dialogo ecumenico con sede a Fairfax, Virginia. Cassella è anche part-time Assistente editoriale e online del Faith and Reason Institute in Washington, DC (fondato e presieduto da Robert Royal, il Direttore di The Catholic Thing) e part-time Assistente editoriale e online presso The Catholic Thing. Tra altro, è stato anche Direttore esecutivo del Center for the Restoration of Christian Culture di Nashua, New Hampshire.

La decomposizione della sinodalità
di Dominic V. Cassella
The Catholic Thing, 22 ottobre 2024

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Oggi, 22 ottobre 2024, ricorre il ventesimo anniversario della morte di Louis Bouyer (foto di copertina), il prete cattolico francese che alcuni Cattolici tradizionalisti considerano troppo progressista e molti Cattolici liberali troppo tradizionale. Tuttavia, con Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger, Bouyer è stato tra i fondatori della grande rivista accademica Communio e un autore prolifico.

Partecipò al Concilio Vaticano II come perito, un teologo esperto invitato a consigliare i vescovi. Dopo il Concilio [1968], Bouyer pubblicò un libro che sapeva gli avrebbe fatto guadagnare nemici e causato molto dolore: La décomposition du catholicisme (La decomposizione del Cattolicesimo).

Copertina libro

Il “Cattolicesimo” in questo contesto non è la Chiesa Cattolica. Il “Cattolicesimo”, come lo intende Bouyer, è un movimento all’interno della Chiesa, quasi un’ideologia, che aveva ottenuto un controllo sproporzionato sul governo della Chiesa. Con “Cattolicesimo”, intende “il sistema artificiale fabbricato dalla Controriforma e indurito dai colpi del modernismo”. Se questo è “Cattolicesimo”, può morire. In effetti, dal punto di vista di Bouyer, “ci sono anche buone probabilità che sia già morto, anche se non lo percepiamo”. Le caratteristiche generali di questo “Cattolicesimo” morente, un termine emerso nel XVI secolo per indicare il sistema per aderire agli insegnamenti della Chiesa Cattolica, sono varie e, a volte, contraddittorie. La ragione delle contraddizioni è che in definitiva ci sono due tipi di “Cattolicesimo” con effetti ugualmente pericolosi: “progressismo” e “integralismo”. Come lo intende Bouyer, l’integralismo è caratterizzato da un rigido conservatorismo e dal desiderio di mantenere ogni dettaglio della pratica cattolica “come è sempre stato”. Tende a voltare le spalle al mondo contemporaneo e persino a rifiutarsi di impegnarsi con esso. Prima del Concilio Vaticano II, questo integralismo era caratterizzato da quei leader della Chiesa che praticavano una sorta di autoritarismo, che riduceva la fede a una specie di clan. L’integralismo dopo il Concilio, tuttavia, era “una delle masse di brave persone profondamente ferite che, senza leader degni e capaci di guidarle, potrebbero congelarsi in un semplice rifiuto irascibile di cedere”.

Il progressismo, ovviamente, si trova all’estremo opposto. Adotta un’attenzione eccessiva all'”apertura al mondo” e all’adattamento alla moderna cultura secolare. I progressisti abbracciano acriticamente la modernità e la secolarizzazione, e la loro apertura rende facile convertirsi al mondo, invece di essere una forza per convertire il mondo. In effetti, la ragione della suscettibilità del progressismo alle tendenze è la convinzione che non abbia nulla da insegnare al mondo, e quindi debba ascoltarlo. La necessità di ascoltare porta a un’enfasi esagerata sull’adattamento della fede alle sensibilità contemporanee, che spesso porta alla diluizione della distinzione Cattolica. Nel tentativo di apparire sensati agli insensati, i progressisti reinterpretano o minimizzano le dottrine Cattoliche fino all’assurdo.

Per Bouyer, l’integralismo e il progressismo condividono una caratteristica: un’ossessione per l’autorità della Chiesa. Per entrambi, l’autorità, pietrificata nel trono papale, divenne un fine in sé piuttosto che un servizio alla verità e all’unità.

Il sistema del “Cattolicesimo” prese vita nel corso di diversi secoli, quando i membri della Chiesa abbracciarono un’ecclesiologia di “potere”, piuttosto che una guida pastorale. L’autorità era sempre più vista come assoluta ed era qualcosa di divorziato dalla tradizione, eccetto, forse, la particolare tradizione di detta autorità, e dai fedeli.

L’autorità era intesa principalmente come repressiva o oppressiva della coscienza individuale, piuttosto che come guida e stimolatrice di una vita cristiana autentica. Questo “Cattolicesimo” – sia progressista che integrale – ha creato una falsa dicotomia tra autorità e libertà, mentre una vera comprensione Cattolica le vede come complementari: “Ne avevano una falsa nozione, considerandola solo come una negazione della libertà che a sua volta era identificata con le sue forme negative (libertà da, eclissando la libertà per)”. Questa visione errata ha portato a un’enfasi esagerata su uniformità e conformità, soffocando la legittima diversità all’interno della Chiesa – in gran parte secondo la visione integralista. Ha portato a una tendenza a ridurre la fede a mera obbedienza a regole esterne, piuttosto che a una relazione viva con Dio. Questa concezione errata dell’autorità ha contribuito sia al rigido autoritarismo dell’integralismo sia al rifiuto reattivo di tale autorità da parte del progressismo (che, tuttavia, credeva ancora nell’autorità sulla verità).

La critica di Bouyer al “Cattolicesimo” come sistema artificiale all’interno della Chiesa presenta sorprendenti parallelismi con la nozione contemporanea di sinodalità, in particolare come manifestata nel Sinodo sulla sinodalità. Come il “Cattolicesimo” descritto da Bouyer, la sinodalità rischia di diventare un movimento che cerca un controllo sproporzionato sul governo della Chiesa. Esibisce caratteristiche sia del progressismo che dell’integralismo identificati da Bouyer.

Da un lato, l’enfasi della sinodalità sull'”ascolto di tutte le voci” riecheggia la tendenza progressista ad abbracciare acriticamente la moderna cultura secolare, potenzialmente diluendo la distinzione cattolica nel tentativo di apparire rilevante. D’altro canto, la sua codificazione in un processo formale rispecchia l’inclinazione integralista verso sistemi rigidi, vale a dire, nonostante l’ideale dell’ascolto, specialmente verso l'”esperienza vissuta” delle persone diventa autorevole. Inoltre, l’attenzione della sinodalità sull’autorità e sui “processi” decisionali, riflette l’enfasi problematica sul potere ecclesiale che Bouyer ha criticato.

Proprio come Bouyer vedeva il “cattolicesimo” come un sistema in decomposizione, si potrebbe sostenere che la sinodalità rappresenta una nuova iterazione di questa costruzione artificiale: mentre mira all’inclusività e alla partecipazione, rischia di cadere nella trappola di dare priorità al processo rispetto alla verità e all’unità.

Naturalmente, se miriamo veramente a diffondere il messaggio di Cristo al mondo, dobbiamo prima capirlo. Indipendentemente dalle nostre intenzioni, siamo già parte di questo mondo. Non possiamo scegliere la nostra epoca più di quanto non possiamo scegliere il nostro corredo genetico. Per essere un Cristiano efficace, bisogna essere nel mondo, pur rimanendo sempre “non del mondo”.

Dare un senso alle difficoltà contemporanee può essere fatto in modo efficace solo se teniamo la Verità, la Verità della fede e della ragione, al volante. Come scrisse Bouyer del “Cattolicesimo”, la sinodalità può morire, ma “l’unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa, su cui Pietro e i suoi successori ‘presiedono nella carità’, ha la promessa della vita eterna e la sua fede non sarà delusa”.

Louis Bouyer, teologo da romanzo
di Filippo Rizzi
Avvenire, 22 ottobre 2014

Scrittore di romanzi sotto pseudonimo, teologo di razza, pioniere del dialogo ecumenico, patrologo appassionato… Ma soprattutto strenuo difensore e geloso custode della tradizione e della memoria liturgica, ricevuta in eredità dalla Chiesa antica e da quella tridentina.

Sono certamente questi gli aspetti e le tracce più singolari che hanno segnato in modo indelebile l’azione, l’apostolato ma soprattutto la ricerca di senso di una complessa e poliedrica figura quale è stata quella del sacerdote oratoriano Louis Bouyer (1913-2004), di cui proprio oggi ricorre il decennale della morte.

Spesso accostato ai nomi noti della Nouvelle théologie, Bouyer appartiene in realtà a una generazione di poco successiva rispetto a quella di Yves-Marie Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou e Hans Urs von Balthasar; ma con i suoi illustri predecessori condividerà, come spesso emerge dai suoi scritti, la comune «visione biblico patristica» in seno al Cattolicesimo.

Solo pochi giorni fa, il 10 e 11 ottobre, Parigi ha celebrato il grande intellettuale francese con un convegno internazionale, promosso dall’Institut Catholique e dal Collège de Bernardins.

Ma chi era Louis Bouyer prima di diventare sacerdote e abbracciare la religione cattolica all’età di 26 anni? Nato il 17 febbraio 1913 a Parigi, Bouyer viene battezzato e cresciuto nella fede luterana. Dopo una laurea in lettere classiche alla Sorbona e approfonditi studi in teologia e filosofia a Strasburgo, nel 1935 diviene pastore della Chiesa luterana. Fondamentali in questi anni saranno gli incontri e le frequentazioni con importanti esponenti del Cattolicesimo francese come il filosofo Étienne Gilson e il Domenicano Congar (con cui collaborerà alla rivista La vie intellectuelle: è rimasta famosa la sua critica alla teologia di Karl Barth, del quale pure era un devoto ammiratore). Ma è soprattutto l’incontro con gli scritti e le opere di Pierre de Berulle, Solov’ev, Bulgakov, Florenskij e con la teologia liturgica del Benedettino tedesco Odo Casel e l’esempio di un grande convertito, anche lui protestante e poi sacerdote oratoriano, l’ex Anglicano John Henry Newman, ad avvicinare sempre di più il giovane alla Chiesa di Roma.

Nel dicembre 1939 Bouyer abbandona la Confessione luterana per entrare ufficialmente nella Chiesa Cattolica. Da quella data la sua vocazione religiosa sarà, in un certo senso, sempre combattuta tra il monachesimo Benedettino e la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri; sceglierà poi alla fine di entrare nell’Ordine filippino divenendone sacerdote il 25 marzo 1944.

Ed è proprio nel corso di questi anni che Bouyer perfeziona la sua conoscenza della teologia Cattolica: fondamentali gli studi condotti all’Institut Catholique di Parigi, dove guida alla conoscenza del pensiero di San Tommaso d’Aquino è il Gesuita Guy de Broglie.

A porre sulla ribalta il promettente teologo parigino sarà nel 1943 la pubblicazione di Mystère pascal sui riti della Settimana Santa. Un testo che, a detta di molti studiosi, ha anticipato l’impianto programmatico di quella che sarà vent’anni dopo la Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium.

Numerosi i fili conduttori delle ricerche di Bouyer – divenuto ben presto ordinario all’Institut Catholique –: lo studio dei Padri della Chiesa (si pensi solo alla sua passione per Sant’Atanasio), l’umanesimo Cristiano (vedi i libri su Erasmo e Tommaso Moro), la liturgia, San Filippo Neri e ovviamente la Scrittura (basti citare il saggio del 1951 La Bible et l’Évangile).

Altra costante del lavoro di Bouyer è la fedele figliolanza spirituale con il Cardinal Newman, con cui condivide una parallela biografia di convertito e di religioso Oratoriano. Stella polare della sua indagine sarà, non a caso, il capolavoro di Newman Grammatica dell’assenso; nel 1952 dedicherà al pensatore inglese un saggio Newman. Sa vie, sa spiritualité che verrà considerato da molti studiosi una delle fonti di ispirazione per l’apertura nel 1956 della causa di canonizzazione del futuro beato inglese.

L’incontro con la cultura anglosassone e il mondo del romanzo affascina Bouyer, che durante i suoi soggiorni inglesi ma anche parigini stringe radicate amicizie con scrittori come Thomas Stearns Eliot, il franco-americano Julien Green e soprattutto con John Ronald Reuel Tolkien (di cui sarà uno dei primi lettori francesi). L’incontro con quest’ultimo, a giudizio del biografo il teologo Davide Zordan, risveglia in Bouyer «il senso dell’immaginario» e l’importanza dello «studio del sacro e dell’azione liturgica».

Ma è durante la tempesta della preparazione del Concilio (1960-62) che – nella sua veste di consultore della Commissione preposta agli studi e ai seminari e più tardi come membro (1966) del Consilium per l’applicazione della riforma liturgica – che affiora lo studioso di razza, l’uomo attento al mistero del sacro. Sono però anche gli anni delle grandi amarezze e dell’isolamento all’interno del panorama ecclesiale transalpino, confermato da un suo pamphlet molto critico sugli abusi post-conciliari: La décomposition du catholicisme (1968); isolamento testimoniato oggi, a 10 anni dalla sua morte, anche dalla pubblicazione in Francia dei Memoires finora inediti: un testo che ci permette di disporre di ulteriori tessere della sua complessa biografia, dal ruolo giocato nel Vaticano II all’amicizia e collaborazione con Paolo VI (compreso il desiderio non realizzato del Papa di crearlo cardinale).

Fu infatti il Papa di Concesio a volere Bouyer come esperto al Segretariato per l’Unità dei Cristiani e a nominarlo nel 1969 – assieme a Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger – membro della prima Commissione Teologica Internazionale; nel 1972 invece Padre Bouyer sarà tra i “padri nobili” e fondatori della rivista internazionale di teologia Communio.

Da questa data fino agli anni Novanta lavorerà senza soste, continuando a scrivere e a tenere corsi universitari soprattutto negli Stati Uniti e a redigere le sue Memorie.

Gli ultimi anni saranno per lui un calvario; nel 1999 verrà accolto a Parigi presso l’Istituto delle Piccole Suore dei Poveri: lo stesso luogo dove aveva concluso l’esistenza l’indimenticato Gesuita Henri de Lubac. Ma c’è ancora spazio in quel 1999 per un riconoscimento da parte dell’Académie Française: il premio Cardinal Grente. Poi un lungo silenzio fino alla morte, avvenuta il 22 ottobre 2004.

Padre Bouyer viene sepolto nel cimitero della tanto amata abbazia di Saint-Wandrille. A dieci anni dalla morte rimangono ancora attuali le parole pronunciate nel giorno dei suoi funerali dell’antico allievo e allora Arcivescovo di Parigi, il Cardinale Jean Marie Lustiger: «Di tutta l’ammirazione che ha potuto suscitare, del vasto credito ottenuto e di tutto l’impegno profuso, non ha avuto spesso altra ricompensa che le contraddizioni».

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