Mondo della religione e religiosità del mondo

Dio denaro
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.10.2024 – Aurelio Porfiri] – Mi è rimasta impressa una cosa accaduta molti anni fa, quando caddero i regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Il Papa allora era il polacco Giovanni Paolo II, oggi canonizzato dalla Chiesa Cattolica. Lui si era speso molto per la sua Polonia, ma rimase amareggiato quando vide che una volta rimosse le restrizioni, i suoi connazionali si abbandonavano ad alcune delle tentazioni più estreme della civiltà capitalistica.

Probabilmente a questo pensava il Papa polacco il 9 giugno 1991, durante la Messa al campo sportivo di Lubaczów, nella sua Polonia, quando durante l’omelia affermava:

«È più importante ciò che uno è che quanto possiede. Dio ci ha creati in modo tale che abbiamo bisogno di diverse cose. Ci sono delle cose indispensabili non solo per soddisfare i nostri più elementari bisogni, ma anche per saper condividerle reciprocamente, e costruire, con il loro aiuto, lo spazio del nostro “essere”. Il nostro Padre celeste sa bene che abbiamo bisogno di varie cose materiali. Però sappiamo cercarle e usarle in conformità alla sua volontà. I valori che si possono “avere”, mai debbono diventare il nostro fine ultimo. Il nostro Padre celeste li elargisce perché ci aiutino sempre più ad “essere”. Per questo anche le società povere vanno messe sull’avviso davanti all’errore degli atteggiamenti consumistici. Mai bisogna tendere ai beni materiali in questo modo, né in tale modo usarli, come se essi fossero fine a se stessi. Perciò la riforma economica che viene attuata nella nostra Patria dovrebbe essere accompagnata dalla crescita del senso sociale, da una sempre più generale sollecitudine per il bene comune, dal notare i più poveri e i più bisognosi, e anche dalla benevolenza verso gli stranieri, che vengono qui in cerca di pane. Specialmente oggi, nel periodo della riforma economica, mettiamoci in attento ascolto delle parole di Cristo Signore: “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?… il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,31-33). Non siamo stati noi però dominati da ciò che è – nonostante tutto – meno importante? Non si faceva sentire e non continua questo a farsi sentire? Di quale sforzo abbiamo bisogno per ritrovare le giuste proporzioni in questo campo?»

Era una bella domanda. Una domanda che in effetti toccava un punto nevralgico del novecento, il rapporto tra religione e consumismo. Da tutto quello che abbiamo potuto osservare, e non solo in Polonia, l’avanzare del capitalismo e del consumismo si accompagna ad una disgregazione dell’ambiente religioso, una disgregazione comprensibile per il fatto che si oppone una civiltà della materia ad una civiltà dello spirito. Alcuni, in ambito protestante, hanno tentato un compromesso, come il popolare predicatore americano Joel Osteen, promotore di una “teologia della prosperità” per cui arricchirsi è un dono di Dio. Si badi bene, nessuno intende sostenere che il benessere vada demonizzato, ma non va esaltato come se questo dovesse essere lo scopo della tua vita. Dio non ci ha promesso la felicità in questo mondo, ma nell’altro. Se non si è ricchi non significa che si è lontani dal favore di Dio e tutta la spiritualità Cristiana ha sempre avuto una visione abbastanza chiara a questo riguardo.

Certo non ci vuole un grande osservatore per notare che l’avanzata del capitalismo consumista si accompagna anche alla secolarizzazione e anche ad un fenomeno apparentemente contrario ma che in realtà è perfettamente leggibile nella stessa prospettiva, quello della tentazione pauperista. Ricordiamo che la tradizione Cristiana ha sempre avuto una grande attenzione per i poveri come per persone da soccorrere, non certo come uno stato di vita quasi da esaltare (nelle Beatitudini si parla di “poveri in spirito”).

Il consumismo è ricco di tentazioni che esaltano il lato materiale della vita, piuttosto che quello spirituale. Dobbiamo poi stare attenti a non fare un errore che è molto frequente in coloro che conoscono poco la realtà religiosa: una Chiesa non è un corpo estraneo rispetto la società, una fortezza inespugnabile, ma è fatta di membri che vivono nella società e che quindi vengono impregnati, come tutti gli altri, di vizi e tendenze presenti nelle società stesse. Quindi, le difficoltà delle religioni organizzate non vanno solo viste come un esterno che attacca un interno, ma come un corpo religioso la cui decadenza spesso comincia con una crisi interna. Questa crisi si manifesta con un indebolimento dell’identità e con un senso quasi di inferiorità verso la società civile. Se è vero, come diceva il sociologo Émile Durkheim, che alla base del fatto religioso vi è una separazione tra sacro e profano, nelle società di tipo capitalistico ci troviamo di fronte ad un sacro profanizzato. Anzi, se diamo retta a Max Weber, lo stesso Cristianesimo protestante sarebbe all’origine del capitalismo.

Purtroppo non si è ben compreso il rischio per la religione portato dal capitalismo, quando si è inteso dare una patina di rispettabilità ai processi di secolarizzazione proprio da parte di esponenti del pensiero Cattolico. Pensiamo a quanto diceva il filosofo gesuita Pietro Cardoletti nel 1969:

“Di fatto però siamo costretti a vedere meglio e riconoscere che sono state forze dello spirito cristiano a condizionare questo grande progresso. Non è nemmeno difficile ricordare come alcuni insegnamenti sul posto dominante dell’uomo (‘che cosa giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima?’), sulla libertà dalla legge veterotestamentaria, sul primato di Cristo nell’universo e sulla nostra incorporazione a lui (sul significato cosmico dell’incarnazione), sul mondo che soffre i dolori del parto in attesa della libertà dei figli di Dio, ecc., per riuscire a vedere come lo sviluppo interiore e profondo di queste grandi idee cristiane possa portare l’uomo alla coscienza della sua grandezza rispetto al mondo e al progresso. In ogni modo il tema della secolarizzazione è diventato un tema cristiano, anzi un problema specifico e preciso della teologia cristiana. (…) Ora, se non ci decidiamo a fissare con precisione che quando parliamo di secolarizzazione intendiamo riferirci a quel grande processo di ispirazione Cristiana in cui l’uomo viene condotto attraverso una continua maturazione, come vero figlio di Dio, erede della creazione intera e di essa responsabile verso il Padre (in cui si possono anche rilevare le debolezze, le defezioni dallo spirito cristiano, e tutto ciò che non può essere ricondotto alla fede come alla propria causa), non saremo mai in grado di avvicinarci a questo argomento”.

E questo passaggio non è che un esempio di quello che ha agitato il mondo Cattolico dagli anni sessanta ad oggi. Ecco che, allora, ci appare ancora più evidente il processo di corrosione interna che subiscono le grandi religioni organizzate in tempi di capitalismo sfrenato.

Questa riflessione è stata pubblicata dall’autore sul suo sito Traditio, per conoscere tutto su tradizione e tradizionalismo [QUI].

Foto di copertina: il dio denaro invade il mondo. “Problema antico, quello della «maledetta avidità della ricchezza» (auri sacra fames). Per la massa, ricordava già Teognide (VI – V sec. a. C.), «il denaro è la sola qualità che vale» (Elegie vv. 699 sg.); per il parvenu del Trimalcione di Petronio (I sec. d. C.) «sei, solo se hai» (77, 6). Sul fronte opposto, Orazio ribatteva che «Sua Maestà il Denaro» (regina pecunia) apre, sì, ogni porta ma solo il saggio è veramente ricco; Seneca, che «Il denaro non ha mai reso ricco nessuno» (Lettera 119, 9). Le parole del Vangelo non danno scampo e alibi: «Non potete servire a Dio e a Mammona» (Matteo 6, 24): «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (19, 24). Per Agostino (IV-V sec. d.C.) il denaro è un’amante volubile e spietata (amica pecunia): «Tu te ne vai e poi viene un altro dei suoi amanti. Quanti innamorati l’hanno lasciata!» (Sermone 335 / C, 7); e negli stessi anni Pelagio si chiedeva: «Può un cristiano essere ricco?» (La ricchezza 7, 2)” (Ivano Dionigi – Avvenire, 21 marzo 2020).