Chiesa e internet: rifare il punto sulle nuove tecnologie

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Un appuntamento per ‘rifare il punto’ sulle nuove tecnologie e il suo uso è stato il convegno nazionale della CEI svoltosi a Roma nei giorni scorsi, dal titolo “Chiesa in rete 2.0”. In questi anni, ha sottolineato in apertura di convegno don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, “non sono mancati pertinenti pronunciamenti da parte del Magistero.

Ultimo in ordine di tempo, l’annunciato messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia) che lascia chiaramente immaginare – e in modo dichiaratamente propositivo – che in questo ambito si gioca una partita importante dell’umano”. Oggi, ha spiegato il direttore dell’Ufficio Cei, “siamo di nuovo insieme perché siamo ormai al tempo del Web 2.0”, ossia “siamo giunti alla realizzazione di un ‘reale universo virtuale’, non necessariamente alternativo al mondo fisico reale. Era dunque tempo di rivedersi, anche se solo dopo pochi anni, ma quasi un’era geologica in questo ambito… Noi non siamo dei ‘digital native’, come tutti i bambini che sono nati dopo la diffusione di Internet, in pratica i nostri teenagers. Noi siamo probabilmente le ultime generazioni dell’era Gutemberg, appunto degli ‘immigranti digitali, perché non siamo nati in una società multischermo e non siamo cresciuti, alimentandoci a questa nuova modalità di ‘fare esperienza’, che plasma l’intelligenza e orienta la stessa dinamica affettivo-relazionale”.

Questa, ha chiarito don Pompili, la “consapevolezza” con cui “faremo il punto” sul “Web 2.0”. In seguito il prof. Adriano Fabris, docente di filosofia morale dell’Università di Pisa, ha affermato che la sfida che la Chiesa in Rete oggi deve far propria è quella di “trasformare il semplice contatto in una forma di vera partecipazione e promuovere per questa via una partecipazione buona”. Richiamando i dati di un’indagine effettuata dal Centro interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla comunicazione dell’Università di Pisa, Fabris ha rilevato che “sono tre, sostanzialmente, i modelli di presenza delle esperienze religiose sul Web sperimentati soprattutto fino ad oggi”. Il primo, ha detto, è il “modello della vetrina: l’uso di Internet per rendere note le proprie iniziative”. Il secondo è il “modello del contatto: l’uso della Rete per tenere in collegamento gli aderenti a una comunità religiosa”. Il terzo è il “modello della sacralizzazione del Web: adottato per fondare nuovi culti, per lo più costruiti a immagine e somiglianza delle religioni storiche”. Nella dimensione del Web 2.0, ha detto Fabris, “il secondo modello, da pura e semplice occasione di collegamento, si trasforma in modalità di effettiva partecipazione”. Non basta che “una tecnologia, ha sottolineato nella relazione, ci offra ulteriori possibilità di esperienza per far sì che essa possa davvero essere detta buona. Buono non è sinonimo di più sviluppato, o di più progredito”. In secondo luogo, ha aggiunto Fabris, “è necessario rispettare le regole dell’etica in Internet. Con il Web 2.0 si delinea rispetto a ciò un’occasione del tutto inedita, che non va persa: non solo nella prospettiva dell’annuncio, ma proprio nella dimensione del fare comunità con la possibilità, davvero, di fare rete, cioè d’interagire tra parrocchie, tra diocesi, tra singole comunità”.

Infatti la ‘nuova tecnologia’ è una ‘risorsa ambivalente’ nella costruzione dei rapporti sociali, secondo la relazione del prof . Giuseppe Mazza, docente di teologia fondamentale e di comunicazioni sociali alla Pontificia Università Gregoriana: “È davvero la nuova tecnologia a inventare nuove socialità nell’era del Web 2.0? Da un lato, infatti, la tecnologia si limita ad amplificare l’esperienza dell’uomo nel suo mondo, esaltando entrambi i termini in gioco – l’uomo e il mondo, appunto – ed enfatizzandone le occasioni d’incontro; dall’altro appare chiaramente come l’interazione virtuale si distingua da altri tipi d’interazione mediata non tanto per via dell’incremento quantitativo di relazioni possibili, quanto per il carattere plurale e sincronico della comunicazione implicata”. Infine un’indagine, condotta da Paolo Mancini, docente di Sociologia della comunicazione dell’Università di Perugia e da Rita Marchetti, dottoranda dello stesso ateneo, e commissionata dall’Associazione Webcattolici (www.webcattolici.it), registra che il 16% delle 26 mila parrocchie italiane ha un proprio sito, e 7 parrocchie su 10 hanno una connessione ad Internet. L’indagine è una dimostrazione dell’”approccio positivo e creativo” che la Chiesa ha nei confronti di Internet, oltre che una riprova del “valore del territorio, che è sempre stata la categoria con cui la Chiesa ha identificato se stessa, e che oggi oltre alla accezione geografica assume una sembianza diversa: quella del ‘territorio virtuale’, che esprime sempre quella prossimità di cui la Chiesa sente di non poter fare a meno, nel suo rapporto con la gente”, chiude don Pompili. La ricerca di Perugia è un’indagine campionaria rappresentativa che ha coinvolto 1.338 parrocchie italiane: quasi l’86% di esse possiede un computer e nel 70%b dei casi esiste una connessione ad Internet; circa il 62% delle comunità parrocchiali ha un indirizzo di posta elettronica.

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