La proprietà di linguaggio condiziona la capacità di pensiero e l’espressione emotiva
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.10.2024 – Vik van Brantegem] – Lo va affermando da tempo il filosofo, saggista, psicoanalista e giornalista Prof. Umberto Galimberti: se non c’è proprietà di linguaggio, non c’è capacità di pensiero. Questa è la dimostrazione dell’effetto sulle masse del fenomeno dell’analfabetismo funzionale di cui soffre gran parte della popolazione dei cosiddetti Paesi avanzati, con in testa il nostro.
L’analfabetismo funzionale è decisamente in crescita esponenziale, cioè l’incapacità di una persona – e il fenomeno si nota soprattutto tra laureati – di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. L’analfabetismo funzionale si concretizza quindi nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni a disposizione nella società attuale.
Analfabeta funzionale è chi aggiorna il suo stato di Facebook ma non comprende il senso di un articolo, chi non è capace di riassumere o rielaborare testi in modo corretto, coerente e logico. Secondo la Treccani, gli analfabeti funzionali, vista la loro scarsa capacità di riconoscere le informazioni corrette da quelle false o distorte, spesso tendono a credere a notizie non vere senza verificarle e a diffonderle. Nell’era di internet e dei social network, dove ognuno può pubblicare qualsiasi cosa a piacere e renderlo visibile a migliaia di persone, questo problema ha assunto dimensioni spaventose. Si riconosce gli analfabeti funzionali all’istante, quando commentano o riassumano un articolo letto in alcune frasi riduttivi e fuorvianti, non conforme all’originale, che fanno sembrare come non l’abbiano letti, non l’hanno capito.
«Comprendere e produrre ragionamenti articolati linguisticamente ha un prerequisito fondamentale, banale forse, ma che è il fondamento per ogni possibile discorso: per poter ragionare e comprendere ragionamenti dobbiamo essere parlanti esperti di una lingua, posto che, quando ragioniamo, traffichiamo con enunciati linguistici.
Le abilità linguistiche e le abilità di pensiero logico-analitico sono fortemente correlate, per la semplice ragione che le regole inferenziali non formali (cioè non create all’interno di modelli di ragionamento formale) sono interne al linguaggio parlato da una comunità linguistica. Le intenzioni comunicative sotto forma di enunciati intorno al mondo devono esplicitarsi linguisticamente secondo le regole di una determinata lingua naturale, regole che devono essere conosciute e padroneggiate perché si possa intendere il messaggio. Questo non ha niente a che vedere, sia chiaro, con la conoscenza teorica della grammatica. Anche se la conoscenza della grammatica ci aiuta a formulare linguisticamente pensieri in modo appropriato» (Povertà linguistica e povertà “logica” si accompagnano, interagiscono e si autosostengono di Pietro Alotto – Medium/La scuola che non c’è, 8 aprile 2018 [QUI]).
Il grido d’allarme è del politologo francese Christophe Clavè – laurea a Sciences-Po (Parigi), Professore di strategia e gestione all’Institut des Hautes Études Économiques et Commerciales (INSEEC) di Bordeaux, un professionista che non si occupa di studi scientifici, ma di consulenze manageriali – con delle considerazioni che formula in un articolo Baisse du QI, appauvrissement du langage et ruine de la pensée (L’abbassamento del QI, l’impoverimento del linguaggio e la rovina del pensiero) pubblicato il 18 novembre 2019 su ‘AGEFI, il quotidiano svizzero in lingua francese con sede a Losanna che tratta soprattutto questioni riguardanti economia, finanza e politica. Riportiamo di seguito il contributo del Prof. Clavé nella nostra traduzione italiana dal francese del testo integrale (occorre osservare che di questo articoli sono presente sui social network degli stralci incompleti fuorvianti, anche tradotti non correttamente, che impediscono di comprendere il senso del contributo del Prof. Clavé e conoscere il suo pensiero).
Il Prof. Clavé parte dalla sua ricerca sull’importanza della proprietà di linguaggio e di come essa impatti prepotentemente sulla capacità di pensiero, avendo ripercussioni importanti per la nostra vita, e influenza anche la sfera emotiva e relazionale:
«L’effetto Flynn, dal nome del suo ideatore, prevalse fino agli anni Sessanta. Il suo principio è che il Quoziente Intellettivo (QI) medio continua ad aumentare nella popolazione. Tuttavia, a partire dagli anni Ottanta, i ricercatori di scienze cognitive sembrano condividere l’osservazione di un’inversione dell’effetto Flynn e di un calo del QI medio.
La tesi è ancora dibattuta e numerosi studi sono in corso da quasi quarant’anni senza riuscire a calmare il dibattito. Sembra che il livello di intelligenza misurato dai test del QI stia diminuendo nei Paesi più sviluppati e che una moltitudine di fattori possano esserne la causa. A questo contestato declino del livello medio di intelligenza, si aggiunge l’impoverimento del linguaggio. Numerosi sono gli studi che dimostrano il restringimento del campo lessicale ed un impoverimento della lingua. Non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze del linguaggio che permettono di elaborare e di formulare un pensiero complesso.
La progressiva scomparsa dei tempi (congiuntivo, passato semplice, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato, ecc.) dà origine ad un pensiero al presente, limitato al momento contingente, incapace di proiezioni nel tempo. La generalizzazione dell’informalità, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono tutti colpi fatali alla sottigliezza espressiva. Togliere la parola “signorina” non significa solo rinunciare all’estetica di una parola, ma anche promuovere l’idea che tra una bambina e una donna non c’è niente. Meno parole e meno verbi coniugati significano meno capacità di esprimere emozioni e meno possibilità di sviluppare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato che parte della violenza nella sfera pubblica e privata deriva direttamente dall’incapacità di esprimere le emozioni a parole.
Senza parole per costruire il ragionamento, il pensiero complesso caro a Edgar Morin è ostacolato, reso impossibile. Più povera è il linguaggio, meno pensiero esiste.
La storia è ricca di esempi e sono numerosi i libri – da George Orwell in 1984 a Ray Bradbury in Fahrenheit 451 – che hanno raccontato come dittature di ogni orientamento ostacolassero il pensiero, riducendo il numero e stravolgendo il significato delle parole. Non esiste pensiero critico senza pensiero. E non c’è pensiero senza parole.
Come costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza padroneggiare il condizionale? Come immaginare il futuro senza coniugazione in futuro? Come possiamo comprendere una temporalità, una successione di elementi nel tempo, passati o futuri, nonché la loro relativa durata, senza un linguaggio che faccia la differenza tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che avrebbe potuto accadere, e cosa accadrà dopo che ciò che potrebbe accadere sarà accaduto? Se oggi si dovesse sentire un grido di battaglia, sarebbe questo rivolto ai genitori e agli insegnanti: fate parlare, leggere e scrivere i vostri figli, i vostri alunni, i vostri studenti. Insegna e pratica la lingua nelle sue forme più svariate, anche se sembra complicata, soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo sta la libertà. Coloro che spiegano costantemente che è necessario semplificare l’ortografia, scontare la lingua dai suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi verbali, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i becchini della mente umana. Non c’è libertà senza richieste. Non esiste bellezza senza il pensiero della bellezza».
Nell’articolo L’impoverimento del linguaggio. La strategia necessaria per assoggettare l’uomo, pubblicato il 28 gennaio 2024 su La voce della scuola [QUI], Gianfranco Scialpi (docente di scuola primaria, svolge attività di formazione su tematiche prevalentemente didattiche, blogger e articolista presso diverse testate online, come OrizzonteScuola, ScuolaInforma e Informazionescuola) – riflettendo sull’isomorfismo [ipotesi teorica elaborata nell’ambito della psicologia della Gestalt secondo la quale vi sarebbe identità di forma tra le nostre esperienze e i processi fisiologici che ne sono alla base] tra il mondo, il pensiero e il linguaggio, riportando uno parte del contributo del Prof. Clavé ad integrazione delle sue riflessioni – definisce l’impoverimento del linguaggio l’utile strategia per renderci tutti consumatori e sudditi:
«L’impoverimento del linguaggio. È la condizione postmoderna caratterizzata da un lessico, una grammatica e una sintassi sempre più ridotti. Il condizionamento dei mass media è evidente: semplifichiamo credendo di risolvere questioni importanti; si resta in superficie esprimendo opinioni che per loro natura sono soggette a cambiamenti o a nuove riformulazioni; sommersi da molte informazioni (infocrazia), delle quali poche diventano conoscenti. A questo occorre aggiungere l’incapacità di articolare i nostri pensieri, i vissuti, i sentimenti e le emozioni (ridotti alle faccine). Le nostre relazioni intermediate da uno schermo, riducono i metamessaggi del nostro corpo, influendo negativamente sul linguaggio. Lo scenario sinteticamente esposto porta alla definizione di uno sfondo o metafisica della semplificazione, della riduzione dell’uomo a “fascio di sensazioni” (D. Hume), eterodiretto e quindi ridotto a consumatore annullato come possibilità, apertura (M. Heidegger). Il filosofo analitico inglese L. Wittgenstein metteva in stretta relazione il linguaggio con il pensiero e il mondo. “I confini del mio mondo sono i confini del mio linguaggio”».
L’effetto Flynn e l’effetto Flynn inverso
Secondo alcune ricerche, l’indice del Quoziente Intellettivo mondiale sarebbe in diminuzione. Ovvero, che da circa 10 anni i figli starebbero crescendo meno intelligenti dei genitori. Un fenomeno mai osservato prima.
Gli scienziati hanno rilevato che, per gran parte del XX secolo, le persone sembravano diventare più intelligenti di generazione in generazione. O meglio, davano risultati migliori nei test di QI. A metà del XX secolo, nei test di QI ogni nuova generazione ottenne punteggi più alti rispetto a quella precedente. Questo fenomeno è stato chiamato effetto Flynn, dal nome del ricercatore James Flynn che ha fatto molte ricerche su questo argomento. Gli scienziati hanno pensato che questo aumento dei punteggi QI potesse essere dovuto a diversi fattori, come migliori condizioni di vita, più educazione, migliore nutrizione e così via, che aiutavano le persone a sviluppare meglio le loro proprietà di linguaggio e capacità di pensiero. Questo non significa che una generazione era “più intelligente” in senso assoluto rispetto a una precedente. Solo che le persone sono migliorate nel fare quei tipi di ragionamenti che sono misurati dai test di QI.
Due ricercatori del Centro Ragnar Frisch per la ricerca economica in Norvegia, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg, hanno esaminato i risultati dei test di QI di giovani Norvegesi facendo il servizio militare tra il 1970 e il 2009, per un totale di 736.000 reclute. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America. Quanto scoperto dai due ricercatori si definisce effetto Flynn inverso.
Lo studio ha trovato l’effetto Flynn confermato per i giovani nati fino al 1975, con un aumento medio di 0.26 punti QI all’anno. Invece, per quelli nati dopo il 1975, è stato osservato una diminuzione media annuale di 0.08 punti, quando smartphone (che iniziano con il primo IPhone nel 2007), tablet, personal computer e social media non esistevano ancora. Nello studio – che prende in considerazione giovani fino al 2009 – non c’è traccia di valutazioni sull’impatto dei dispositivi elettronici, app, Internet e social media dal 2007 al 2009. I ricercatori norvegesi tra le possibili spiegazioni per inversione di tendenza dell’indice di QI, hanno suggerito cambiamenti ambientali e dello stile di vita, come modifiche al sistema educativo e una diminuzione della lettura a favore dei videogiochi tra i giovani (che esistevano già).
Certamente, anche se quello studio non si riferisce all’attuale situazione storica e l’effetto delle nuove tecnologie (con le app, i telefonini, i PlayStation), come correttamente ha rilevata il sito Butac.it, l’esperienza (che abbiamo rilevato per esempio dell’articolo “Disconnettere per Riconnettere”. Ridurre il tempo sui social media: la chiave per il benessere degli adolescenti [QUI]) ne evidenzia le conseguenze gravemente negativi, che influenzano la conoscenza lessicale e capacita di ragionamento, che sono correlata all’effetto Flynn inverso, come ha evidenziato il Prof. Clavé.
La causa dell’impoverimento del linguaggio nel mondo sviluppato, e quindi della scomparsa del pensiero, è il ritiro dei corpi (reali) dalla vita pubblica (reale). Nel mondo di Internet (virtuale) circolano sempre di più solo voci (virtuali), che veicolano slogan e notizie false, senza alcuna reazione critica abbastanza potente da fermarle. Nella comedia Il dispetto amoroso di Molière, il cameriere Gros René proclama: “Un corpo senza leader è peggiore di una bestia!” Questo è sicuramente vero, ma cosa direbbe di un leader senza corpo (virtuale), come l’Intelligenza Artificiale? La scuola dovrebbe dedicarsi a questo: a promuovere il ritorno dei corpi, quindi dell’intelligenza nella vita pubblica, attraverso lo sviluppo della proprietà di linguaggio e la capacita di pensiero degli alunni.