Una sovranità mancante (e mal posta)

Papa Francesco
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.09.2024 – Andrea Gagliarducci] – La lettera in cui Papa Francesco chiedeva ai cardinali di limitare le spese e di trovare finanziamenti esterni per la Santa Sede è arrivata quasi inaspettatamente. Datata 16 settembre 2024, la lettera [QUI] conteneva un po’ della solita retorica papale contro la presunta “resistenza” alle riforme. Ci è voluto un po’ per arrivare al punto. Alla fine, il ragionamento era semplice: la Santa Sede è in rosso, le spese devono essere contenute e le risorse esterne sono meglio se trovate. Niente di tutto ciò è nuovo.

Si dice che una donazione importante da una fondazione garantisca gli stipendi di un intero dicastero della Santa Sede. Si dice anche che le donazioni coprano spese collaterali come quelle per l’organizzazione degli ultimi Concistori. Tuttavia, è degno di nota che il Papa abbia preso carta e penna per scrivere personalmente la lettera e abbia reso pubblica la situazione. Sembra quasi che il Papa, rendendo pubbliche le difficoltà, voglia lavarsi le mani di ogni responsabilità. Se c’è un deficit, dice il ragionamento sottinteso, è dovuto a precedenti spese incontrollate. Questo ragionamento, tuttavia, porta a un’ulteriore domanda: se i cardinali devono raccogliere fondi per la Santa Sede o per se stessi, come verrà garantita l’indipendenza della Santa Sede?

La lettera, dopotutto, ci riporta un po’ indietro al Medioevo, quando la Chiesa senza strutture dipendeva dalle donazioni e l’alleanza tra trono e altare era suggellata proprio per esigenze economiche e finanziarie. Ma, dipendendo da regni e signori per il sostentamento economico, la Chiesa non poteva esercitare la sua missione. Era sottoposta a pressioni. Non poteva prendere tutte le decisioni.

Nel corso degli anni, la Chiesa ha lavorato per garantire la sua indipendenza e sovranità. Lo Stato Pontificio era un mezzo, un territorio che dava al Papa un potere secolare ma anche, soprattutto, una cittadinanza propria, indipendente da quella di ogni Stato. Il Papa poteva essere Tedesco, Francese, Neerlandese o Italiano. Quando divenne Papa, era Re dello Stato della Città del Vaticano, indipendente e libero da qualsiasi regno. Questa posizione ha permesso alla Chiesa di essere una forza di mediazione e di preservare la libertà religiosa dei suoi membri. Non c’è bisogno di essere ingenui. Ci sono stati errori e situazioni storiche che non potrebbero essere accettate oggi. Erano situazioni contingenti.

Soprattutto nel secolo scorso, la Chiesa, con lo Stato Pontificio invaso, ha lavorato per ricreare la sua indipendenza. Anche l’opera missionaria, a partire da Papa Benedetto XV, era mirata proprio a liberarsi dalle influenze degli Stati, dai protettorati che controllavano i territori di missione.

L’indipendenza economica doveva essere implementata. Ciò è avvenuto con la riconciliazione con lo Stato italiano e i Patti Lateranensi, che hanno stabilito un risarcimento alla Chiesa di circa 1,7 miliardi di lire per i quasi 50 anni di conquista e occupazione. Questo denaro è stato utilizzato per costruire lo Stato della Città del Vaticano, sistemare le Nunziature Apostoliche ormai in rovina e delineare un sistema finanziario e di investimento che avrebbe consentito alla Santa Sede di avere i propri fondi sovrani. Le finanze della Santa Sede erano così solide che, dopo lo scandalo IOR/Ambrosiano, lo IOR decise di versare un contributo volontario di 406 milioni di dollari per gli azionisti che avevano perso denaro, senza ammettere la responsabilità. Nonostante ciò, i conti dello IOR tornarono presto in attivo.

I casi Vatileaks, sotto Papa Benedetto XVI e poi Papa Francesco, attaccarono una Santa Sede che aveva lavorato bene per creare la propria indipendenza e migliorare la trasparenza finanziaria. Subito dopo aver istituito l’Autorità di Informazione Finanziaria, la Santa Sede abbandonò la politica di pesca dalla Banca d’Italia, optando per un Consiglio più internazionale. Immediatamente, la prima legge antiriciclaggio, ispirata all’analoga legge italiana, fu riformata per riflettere le caratteristiche della Santa Sede.

È forse impossibile oggi definire come si siano incrociati gli interessi e come, allora, nonostante l’opera di Papa Benedetto XVI, i lupi che volevano solo sfruttare la Santa Sede e metterla sotto il cono di influenza di altre finanze, altri poteri e altre idee, siano tornati con Papa Francesco. Ma sono forze che hanno avuto gioco facile per tre motivi:

  • Un pontificato che non aveva legami né conoscenza della tradizione.
  • Il timore di uno scandalo naturale o presunto è emerso durante le congregazioni generali che hanno eletto il Papa.
  • La non istituzionalità di Papa Francesco, che tende a considerare la finanza come uno strumento, ma non ragiona in termini di struttura finanziaria o governativa.

Così, in questi 11 anni di pontificato, sono stati abbandonati investimenti e sono state pagate pesanti sanzioni. I funzionari vaticani si sono affidati a costosi consulenti esterni che hanno pesato sui bilanci ma non hanno fornito contributi essenziali. Hanno però cercato di dare alla Santa Sede una struttura finanziaria che la rendesse troppo simile a un’azienda, con un grande dibattito. (Ricordate la revoca dell’accordo di revisione contabile con Price-Waterhouse nel 2015?)

Un bagno di sangue finanziario, a volte precipitato da decisioni affrettate, che si è cercato subito di attribuire alla cattiva gestione precedente. È stata una lunga stagione di processi in Vaticano, tenuti dentro e fuori le mura, con risultati alterni. Mentre scriviamo, siamo in attesa del verdetto del processo sull’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra, che vede coinvolto il Cardinale Angelo Becciu, un verdetto a Londra legato a questo processo e gli esiti di un altro processo a Malta, che vede tra gli imputati l’Istituto per le Opere di Religione.

Il Papa ha risposto prima lamentando che la carità non può destinare il 70 per cento dei fondi agli stipendi, poi ha chiesto un inasprimento delle spese istituzionali, poi ha chiesto a tutti di pagare i propri appartamenti, anche quelli di servizio, a prezzo di mercato (ma viene da chiedersi quale sia il reale valore di mercato dell’appartamento del Segretario di Stato, peraltro invendibile e non affittabile, perché situato all’interno del Palazzo Apostolico).

Dopo aver centralizzato tutto, in mezzo a una crisi finanziaria che il periodo del COVID ha solo esacerbato, Papa Francesco ha preso carta e penna, chiedendo collaborazione. All’inizio della riforma di Papa Francesco si parlava di un fondo sovrano e si tuonava contro i soldi “nascosti” dei dicasteri. Si trattava di soldi provenienti da donazioni private esplicitamente destinate ai dicasteri, ma questo non è stato preso in considerazione. Ora, invece, si privilegiano i contributi privati. Bene. Solo, come farà la Santa Sede a mantenere la sua indipendenza?

Il crollo del sistema vaticano oggi è il risultato di una cattiva gestione passata? E, soprattutto, cosa è stato fatto per arginare questa continua perdita di denaro, a parte lamentarsi delle spese dell’ultimo periodo?

Siamo alla fine di un sistema finanziario ed economico vaticano nato per garantire alla Santa Sede la sua sovranità. Come ogni Stato, lo Stato della Città del Vaticano deve avere un luogo sovrano, esente da tasse. Questo luogo rimarrà, ma perderà il supermercato. Anche quello sarà appaltato a una catena di supermercati esterna, togliendo così una risorsa essenziale per la Santa Sede e un luogo in cui i dipendenti potevano fare la spesa con un leggero vantaggio dovuto all’assenza di tasse.

È, in sostanza, la fine del mondo. Ma resta da vedere se queste decisioni mettano fine alla sovranità sostanziale della Santa Sede. Questo argomento è stato discusso molto poco, eppure è cruciale.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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