62° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Perù. Edith
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.09.2024 – Vik van Brantegem] – Proseguiamo con la pubblicazione dei report di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, Presidente delle Onlus Associazione Amici di Santina Zucchinelli e Fondazione Santina, del suo 62° viaggio di solidarietà e speranza in Perù (21 luglio – 10 agosto 2024) dal tema La Speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno ed il coraggio. Lo sdegno per la realtà ed il coraggio per cambiarla, che avevamo iniziato domenica 21 luglio 2024 [QUI]. Con il suo Report 62/1 – Pisco Sauer, che abbiamo pubblicato il 25 luglio 2024 [QUI], ci ha fatto partecipi di una bellissima giornata di festa presso l’Asilo di Villa San Roman a Juliaca sulle Ande peruviane. Nel suo Report 62/2 – La voce del silenzio [QUI], che abbiamo pubblicato il 17 settembre 2024, ci ha raccontato che a Porto Maldonado stava scrivendo in un ambiente costituito dalla natura lussureggiante che considera un grande calmante per il suo “animo inquieto e spesso in ansia”. Inoltre, avantieri abbiamo pubblicato [QUI] anche il testo in formato PDF, il video promo e la Presentazione del Cardinale Angelo Comastri di Daniel, il 48° libretto della collana #VoltiDiSperanza, che tratta del maltrattamento dei minori in Perù. Ne parla Don Gigi nel suo Report 62/3 – Daniel, che abbiamo riportato il 18 settembre 2024 [QUI]. Con il suo Report 62/4 – Inaugurazione della cucina e della lavanderia a Puerto Maldonado [QUI], che abbiamo riportato ieri, ci parla della bellissima festa per l’inaugurazione al centro anziani Apachtone. Oggi pubblichiamo il suo Report 62/5 – Edith, con il momento carico di mistero ed emozione della confessione della donna, che dopo aver ricevuto il perdono di Dio, si scioglie in un abbraccio dolcissimo e pieno di lacrime, lacrime che bagnano la sua felpa verde.
Report 62/5 – Edith
L’ultimo report lo scrivo nel silenzio di Passaggio Ca’ Longa 3 a Bergamo. Non è esattamente la stessa cosa che scrivere in Perù e inviare i miei pensieri dall’altra parte del mondo, ma c’è però il vantaggio di poter mettere su carta in modo più pacato le forti emozioni che mi provocano alcuni incontri con alcune persone, come è stato per me incontrare Edith nel carcere di Lampa.
Edith ha 44 anni ed era il capo indiscusso di una banda dedita alle rapine e all’estorsione; sta scontando in carcere un ergastolo, anche se ha fatto appello contro questa sentenza. In questo anno 2024 l’incontro con le carceri sembra contrassegnare i miei viaggi: a gennaio ero nel carcere di Las Cruces in Messico [QUI], a marzo nel carcere africano di Mtangani [QUI] e ora ecco l’incontro con le detenute di Lampa.
Conosco questo carcere da molti anni e questa visita è stata per me l’occasione di incontrare nuovamente Jakeline e la sua storia narrata nel libretto a lei dedicato nello scorso anno in occasione del viaggio in Perù [QUI].
Tante sono le cose che abbiamo fatto in addirittura tre visite alla prigione, grazie alla sorprendente bontà della Direttrice Lorena. Questa volta abbiamo cantato Color Esperanza, abbiamo celebrato la Messa, abbiamo dato il via a un allevamento di porcellini d’India, ma come alcune volte mi succede nelle carceri, c’è un momento che rimane nel mio cuore, segreto quanto forte e meraviglioso, ed è l’ascolto della confessione sacramentale. Anche lo scorso anno a Challapalca[QUI] un prigioniero mi aveva chiesto la confessione e quando la richiesta ti arriva a bassa voce e con le lacrime agli occhi immagini subito che quel momento è decisivo e importante per chi te la sta chiedendo.
Sto per lasciare il carcere di Lampa dopo una giornata intensa, nella quale ci eravamo dipinti il volto di verde per indicare il desiderio e la voglia forte di Speranza. Edith mi si avvicina e mi dice: “Padre, mi puoi confessare?”. Sono nel patio, guardo Lorena, la Direttrice del Penale, che ha sentito la richiesta della donna: con un cenno del capo mi dice di sì, anzi mi incoraggia. Ci portiamo in un angolo del cortile; sta scendendo la sera e il freddo delle Ande inizia a farsi sentire: nella notte scenderà a sei gradi sotto lo zero. “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…” incomincio io, e la donna tra lacrime di pentimento riversa fuori tutto il suo amaro. Certo non posso neanche accennare ai suoi peccati, ma posso descrivere quello che provo. Sono felicemente prete da 38 anni e vi posso assicurare che il brivido del divino che cambia il cuore è un’esperienza estasiante: solo i sacerdoti che con coraggio leggeranno queste righe potranno comprendere. L’assoluzione dei peccati è qualcosa di talmente grande ed eccelso da inebriarti, e ogni volta che recito la frase “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, mi rendo conto di un Mistero di Amore e di Misericordia che dal giorno dell’ordinazione sacerdotale è affidato come un tesoro inestimabile e delicatissimo nelle mie mani…
Ascolto in silenzio e ammirazione Edith e le sue parole mi entrano nel cuore, custodite dal sigillo sacramentale. Mi sento inadeguato e penso commosso: questa sera Gesù si serve di me per il perdono dei peccati; sono consapevole di tutta la mia miseria, del mio peccato, della mia impurità e inadeguatezza, eppure… credo che attraverso il sacramento dell’Ordine questa sera questa donna sarà perdonata! Faccio fatica a credere che Dio in questo momento agisca in me, che io sia “in persona Christi”!
Tanti anni fa chiesi a Giovanni Paolo II: “Santo Padre, quale è il giorno più importante della Sua vita?”. E lui mi rispose: “Don Gigi, prova a indovinare…”. Subito, senza riflettere dissi: “Io credo che sia stato il giorno che lo hanno eletto Papa!”. Lui sorrise e mi disse: “Stai sbagliando di grosso: no! Prova di nuovo…”. “Bè, allora senz’altro il giorno della sua ordinazione episcopale…”. “Don Gigi, hai sbagliato ancora una volta. Sai quale fu? È stato il giorno della mia ordinazione sacerdotale, perché il Papa è il Vicario di Cristo, ma questa mattina quando io e te abbiamo celebrato la Messa tu ed io agivamo ‘In persona Christi’!”. Il Papa ripeté lentamente quell’espressione, socchiudendo gli occhi come faceva lui: “in persona Christi”, “in persona Christi”, “in persona Christi”… c’è molto, ma molto di più ad agire “in persona Christi” che ad essere il Vicario di Cristo!”. San Giovanni Paolo II aveva ragione e i brividi che stavo provando nell’ascoltare Edith me lo confermavano.
Mi piace accostare il momento sacramentale vissuto da Edith alla figura dell’Innominato che tutti conosciamo dal romanzo di Manzoni I promessi sposi. Nel romanzo, l’Innominato è dapprima un signore prepotente e spietato mentre poi, dopo la conversione, appare generoso, profondamente buono. E tuttavia ciò che colpisce in questo personaggio è soprattutto la grande coerenza interiore, la generosità nativa, la grandezza e alterezza, che sono il fondamento del suo carattere e non si smentiscono mai. Cattivo e depravato prima, signore della bontà dopo, egli non fa a metà e vuol essere grande sia nel male che nel bene. Perciò la sua conversione non è uno scioglimento artificioso di una situazione ingarbugliata: nella generosità naturale dell’Innominato c’erano già le premesse della sua conversione, che nasce dal di dentro.
Edith come l’Innominato, dopo aver toccato il fondo della malvagità, comincia a risalire dalla parte opposta. Leggendo il racconto della conversione non scopriamo sentimenti falsi; anche per Edith nulla è gratuito, ingenuo, forzato in quel magnifico crescendo di impressioni, di moti dell’animo, che mi appaiono coordinati con una logica, con una continuità che non urta il mio senso critico, il nostro bisogno di sincerità e di verità nel succedersi dei fatti intimi. L’Innominato non arriva, però, da solo all’idea di cambiar vita e i suoi pensieri non ci sarebbero forse mai arrivati. Il Manzoni, profondo conoscitore delle crisi di coscienza, tratteggia con grande discrezione, quasi con riverenza l’accavallarsi dei sentimenti: è già molto che alcune strane circostanze abbiano fatto sentire al peccatore l’insofferenza del male fatto in passato e la paura di uno incombente, forse eterno.
Nel carcere di Lampa, mi trovavo in qualche modo a riproporre la stupenda pagina del Manzoni, anche se questa volta l’Innominato si chiamava Edith e il Cardinale Borromeo in modo molto indegno era rappresentato da Don Gigi – ma abbiamo già detto che nel sacramento della Confessione non conta la santità del ministro bensì la forza del sacramento stesso. Le parole del Cardinale Borromeo fanno maturare nel delinquente quel primo vago sentimento di rimorso, trasformando in costruttivo dialogo quello che era all’inizio tormentoso e inquietante soliloquio. E così a Lampa vedevo ripetersi davanti a me una scena potente di Misericordia ed Edith mi sembrava una nuova Innominata… E come accadde all’Innominato dopo la terribile notte di angoscia, il nome di Dio torna sulle labbra di Edith in un grido non più di ribellione ma di invocazione: Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?
Nel carcere di Lampa e non nel romanzo di Manzoni guardo con ammirazione Edith mentre mi parla e piange un pianto straziante, ma al tempo stesso liberatorio da tanti macigni… Mi vengono in mente le parole del Cardinale e le ricompongo per la mia Innominata: “Edith, non te lo senti in cuore, che ti opprime, che ti agita, che non ti lascia stare, e nello stesso tempo ti attira, ti fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che tu lo riconosca, lo confessi, lo implori?”. Tali parole trasformano l’inquietudine, il rimorso, l’orrore del male, in desiderio di bene, in ardore di carità, in propositi per il futuro, in speranza. La conversione nasce e si sviluppa nel più profondo dell’essere umano, attraverso una lenta, naturale coerente maturazione psicologica…
Davvero potente era per me la scena di conversione in quella prigione dimenticata da Dio e dagli uomini! Quella donna delle Ande, coraggiosa e forte, trasformava quell’incontro nel momento più importante del viaggio.
Bella, l’inaugurazione della cucina e della lavanderia a Puerto Maldonado, bellissimo, l’incontro con 23 famiglie di bambini in miseria e colpiti da diversi disagi per il nostro programma di adozione a distanza, stupendi, i mille eventi come l’incontro con i piccoli nell’asilo nido di Villa San Roman, oppure nelle strade povere di Juliaca… ma per me quella sera è e rimane indimenticabile, insuperabile: è valsa la pena di prendere l’aereo per arrivare da Lei, dalla mia Edith e a questo momento carico di mistero ed emozione.
La donna, dopo aver ricevuto il perdono di Dio, si scioglie in un abbraccio dolcissimo e pieno di lacrime, lacrime che bagnano la mia felpa verde. Non mi trattengo, mi inginocchio e le bacio i piedi e stando in ginocchio davanti a lei la guardo dal basso in alto, con gli occhi anche io pieni di lacrime e a bassa voce le dico: “Ero in carcere e siete venuti a visitarmi: tu questa sera sei per me Gesù, Edith! Tu questa sera sei per me il Buon Ladrone, questa sera sei per me l’Innominato… ma questa sera tu sei per me il motivo del mio vivere, del mio sacerdozio: grazie di cuore! Sei per me Speranza, Edith, perché hai provato sdegno nel vedere il male compiuto e poi il coraggio di convertirti, di cambiare!”.
La donna prende il mio viso tra le sue mani e con delicatezza mi asciuga le lacrime e mentre sono in ginocchio anche lei si inginocchia, si sfila un laccio bianco dalle scarpe da tennis e me lo lega come un braccialetto forte al polso: “Ricordati sempre di me, Don Gigi, e di questo prezioso momento, non toglierti questo bracciale…”. Mentre lei stringe il laccio attorno al mio polso, io mi slego una scarpa e annodo il mio laccio nero al suo polso e ripeto: “Edith, anche tu non slegare questo braccialetto che ti regalo: tienilo al polso e ricorda che questa sera hai deciso di cambiare vita!”.
Preghiamo insieme un’Ave Maria mentre la voce del Silenzio rimbomba nel patio ed Edith lentamente pronuncia una frase molto simile a questa: “Grazie Dio! Ti sento nel mio cuore. Stai riprendendo il posto che Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso! Tu non avevi perso mai!”. Lorena, commossa, scatta una bella foto che diventa la copertina di questo ultimo report in cui davvero si celebra l’immenso amore che Dio ha verso ciascuno di noi: l’Innominata delle Ande e l’Innominato del Manzoni hanno un punto in comune, forte come una roccia, ed è la infinita misericordia di Dio… guardo il bracciale e piango: “Grazie Dio! Ti sento nel mio cuore. Stai riprendendo il posto che Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso mai! Tu non avevi perso! Tu non avevi perso mai!”.
Questo video che segue parla, canta di speranza e viene da un carcere. Spero possa farti vedere speranza ogni giorno e magare colorare il tuo volto di speranza come le carcerate e i loro due bambini hanno saputo fare con me…. se sul tuo viso si accende anche un sorriso meglio così. Buona notte dai -6 gradi delle Ande.
La Fondazione Santina nel carcere femminile di Lampa in Perù sovvenziona l’allevamento di porcellini d’India: