62° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Perù. Daniel

Daniel
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.09.2024 – Vik van Brantegem] – Proseguiamo con la pubblicazione dei report di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, Presidente delle Onlus Associazione Amici di Santina Zucchinelli e Fondazione Santina, del suo 62° viaggio di solidarietà e speranza in Perù (21 luglio – 10 agosto 2024) dal tema La Speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno ed il coraggio. Lo sdegno per la realtà ed il coraggio per cambiarla, che avevamo iniziato domenica 21 luglio 2024 [QUI]. Con il suo Report 62/1 – Pisco Sauer, che abbiamo pubblicato il 25 luglio 2024 [QUI], ci ha fatto partecipi di una bellissima giornata di festa presso l’Asilo di Villa San Roman a Juliaca sulle Ande peruviane. Nel suo Report 62/2 – La voce del silenzio [QUI], che abbiamo pubblicato ieri 17 settembre 2024, ci ha raccontato che a Porto Maldonado stava scrivendo in un ambiente costituito dalla natura lussureggiante che considera un grande calmante per il suo “animo inquieto e spesso in ansia”. Inoltre, ieri abbiamo pubblicato [QUI] il testo in formato PDF, il video promo e la Presentazione del Cardinale Angelo Comastri di Daniel, il 48° libretto della collana #VoltiDiSperanza, che tratta del maltrattamento dei minori in Perù. Ne parla Gigi nel suo Report 62/3 – Daniel, che riportiamo di seguito.

Report 62/3 – Daniel

Scrivo dalle Ande peruviane, da Juliaca dove abita Olinda, a 4.100 metri. Siamo ritornati ieri con un viaggio pazzesco di 10 ore che pure si è un po’ colorato con le tinte del giallo. Il tragitto che abbiamo compiuto ieri attraversa innumerevoli piantagioni di coca e di raffinerie per la pasta di coca. Il primo tragitto è da Puerto Maldonado a Mazuko, la porta dell’Amazzonia peruviana; a Mazuko cambiamo auto e prendiamo una nuova macchina con un nuovo autista: un giovane di 36 anni che si chiama Ronald. In auto con me ci sono Olinda ed Hernan che mi hanno seguito nella trasferta nella foresta amazzonica. Il bagagliaio è pieno della frutta che ha comprato Olinda e delle nostre valigie.

Dopo un centinaio di chilometri Ronald si ferma, scende e mi dice: “Vado a prendere la coca!”. Esterrefatto, scendo dalla macchina e con me anche Hernan e Olinda. Ronald arriva con un primo pacco confezionato in forma di ruota, sigillato con cellofan blu, e chiede a Hernan di togliere i nostri bagagli per fare posto alla coca; il buon Hernan, preso in contropiede e anche un po’ spaventato, obbedisce senza fiatare. Mi avvicino alle 5 confezioni di coca, provo a sollevarne una: troppo pesante per contenere foglie! Guardo Ronald che sta sistemando la coca dietro le nostre valigie e un po’ arrabbiato gli chiedo: “Ma cosa stai facendo? Io ho pagato per questo viaggio e non era previsto il trasporto di coca – o mi sbaglio?”. Mentre balbetta una specie di risposta, continua a caricare la macchina: “Ma, padre, questa è per uso personale!”. “Mi credi un idiota? Questi pacchi sono troppo pesanti: togli immediatamente questa roba dall’auto!”. “Ma almeno due pacchi?”. “Neppure uno, hai capito? O togli i pacchi o scendiamo noi!”. Ronald si arrende e inizia a scaricare i pacchi di coca; Hernan, palesemente sollevato, torna sorridente e sistema le nostre valigie nel bagagliaio e partiamo per Juliaca. Per tutto il tragitto, l’uomo non parla; un po’ di apprensione ce l’ho, certo, perché spero di non dover fare i conti con qualche socio-narcos di Ronald, nel corso delle 6 ore di strada.

Finalmente, alle 9 di seraarriviamo a Juliaca senza avere incontrato problemi di sorta, se non il freddo tagliente dei -2 gradi delle notti andine. Il cielo, bellissimo, è pieno di stelle e ringrazio Dio della bella esperienza fatta a Puerto Maldonado.

Ed eccomi qui, sulla terrazza di casa di Olinda, a scrivere il nuovo report in cui vi racconto del nostro nuovo volto di speranza: Daniel, è un bambino e ha solo tre anni. Dopo Santiago, Nasren, Fahmi, Diana, Asma, i bambini che già hanno dato il nome ai rispettivi volumetti della nostra collana #VoltiDiSperanza, ora vi presentiamo Daniel e la sua intensa storia.

Tra le famiglie che abbiamo visitato a Puerto Maldonado, siamo andati con Amalia, Olinda e Hernan dalla famiglia di Milagros. Milagros ha sei figli e vive in nella miseria più nera. La strada per arrivare alla sua casa è una strada sterrata e perfino la jeep, guidata da Toribio, fatica a procedere: la strada è proprio impervia; e così arriviamo a una stamberga – perché non oso definirla casa: vecchie assi marce tenute insieme da chiodi arrugginiti, senza finestre, ma solo logore tele. Bussiamo alla porta, non ci risponde nessuno; faccio il giro, ma anche la scassata porta posteriore è chiusa: la desolazione totale. Un cane randagio mi segue: è malato e pieno di croste, povero, e intanto la natura rigogliosa fa da cornice a un luogo di disperazione. Ma il culmine di questa disperazione, un vero buco nero di disperazione, è quello che sto per vedere. Ritorno alla porta principale, busso e sul momento non mi accorgo che dallo spiraglio della porta un bimbo mi sta guardando; è piccolo piccolo, così mi accuccio alla sua altezza. Non fiata e il suo silenzio mi gela il cuore, mentre un grande lacrimone gli cola lungo la guanciotta. Mi rendo conto che il bambino è chiuso in casa, da solo; rifaccio il giro e dalla porta anteriore lo vedo: è un bimbo piccolo, solo nello squallore della casa: solo, al buio e piange silenziosamente. Che scena sconvolgente! Tutti siamo provati: Amalia, Toribio, Hernan, Olinda e io… Io mi chiudo nel silenzio, fotografo l’immagine di quel bimbo che mi guarda attraverso la fessura e quella foto diviene per me reliquia di sofferenza. Non sappiamo cosa fare e decidiamo di ritornare nel pomeriggio.

Nella mia preghiera quotidiana ricordo il piccolino e la potente sfida che mi lancia. In un mondo che tanto parla di tutela dei minori, di rispetto dei piccoli, quel bambino peruviano mi lanciava una grossa provocazione. Quanti bimbi vivono nelle stesse condizioni drammatiche di Daniel?

Nel pomeriggio la casa è aperta; siamo venuti con l’intento di adottare a distanza uno dei sei bambini. Da lontano riconosco il bambino che era rimasto chiuso in casa dai pantaloncini arancioni; lo saluto con la mano – e lui che fa? Mi corre incontro, mi salta in braccio e mi stampa un grande bacio sulla guancia: ricorderò sempre quel dolcissimo bacio che mi ha colpito nel cuore. Con il bimbo in braccio arriviamo alla catapecchia dove ci accoglie Milagros, la mamma. Guardo negli occhi la povera donna e le chiedo: “Ma tu, chiudi tuo figlio in questa catapecchia e te ne vai? Ma che madre sei?”.

Lei non mi risponde e mi fa entrare. Mi siedo allo sgangherato tavolo ed un nugolo di ragazzini popola quel luogo di miseria. “Padre, questi sono i miei sei figli. Grazie per quello che fai per noi!”. “Parlerò con i responsabili della Caritas, ma tu non puoi abbandonare tuo figlio così!”. La donna, triste, mi risponde: “Don Gigi, aiutami, sono disperata! A volte faccio queste cose perché sono davvero disperata: pensavo di lasciarlo solo per una mezz’ora, ma poi gli imprevisti del lavoro mi hanno obbligato a rimanere fuori più a lungo: d’altronde, è l’unica fonte di guadagno che ho, per mettere in tavola un po’ di cibo per i miei figli … cercherò di evitarlo, da oggi in poi …”. La donna piange e vedo il buio dell’angoscia nei suoi occhi…

Milagros ha 34 anni – è nata il 5 ottobre 1998 – e ora inizia il triste racconto della sua vita. “Don Gigi, qui vedi i miei sei figli: il più grande è Fernando, che ha 16 anni” – mentre parla il ragazzo mi sorride. “Ho avuto Fernando da Rosario, che ora ha 69 anni e che mi ha lasciato senza dare mai un sostegno economico per Fernando. Fernando è epilettico e in cura medica con farmaci potenti. Poi c’è Carlito, che ha 10 anni e poi c’è Ismael che ha sette anni e che frequenta la scuola secondaria: questi due ragazzini sono figli di Carlos: anche lui mi ha lasciata, anche lui senza dare alcun sostegno economico per i figli”. Rivolga a Carlito, Milagros chiede: “Di’ a Don Gigi come ti trattava tuo padre Carlos”. Il ragazzetto si avvicina, si siede vicino a me e racconta: “Quando mio padre ha lasciato mia madre lo scorso anno, ha portato me e Ismael nella nuova casa dove viveva con un’altra donna; ma nostro padre era così violento con me che siamo scappati e per tornare a casa con nostra madre. Qui c’è miseria, padre, ma almeno non ci sono le botte!”.

Carlito mi mostra la cicatrice lasciata da una bastonata sulla caviglia sinistra e poi tante piccole cicatrici sulle gambe: il padre picchiava il figlio anche con il cavetto del carica-batteria del telefono. Mortificato, guardo Carlito e come prima Daniel aveva dato un tenero bacio a me, ora io bacio la cicatrice lasciata dalla bastonata: incomincio a capire che Daniel è solo l’ultimo dettaglio di una situazione davvero misera, di miseria emotiva oltre ché materiale. Comincio a capire Milagros, che per vivere e far sopravvivere i figli svolge lavori di pulizia, lava i panni e, quando i suoi sei (!) figli non hanno nulla da mangiare, riceve aiuto dai vicini.

Intanto, lei continua la triste litania dei figli: “Il bambino che tu chiami recluso si chiama Daniel e ha tre anni, lui e Dairo sono gemelli. Questa mattina sono uscita presto, ho portato con me Carlito, Ismael e Josiel, il più piccino, mentre Fernando andava a lavorare da una vicina con Dairo. Quando sono uscita, Daniel dormiva profondamente, pensavo di rientrare dopo un’ora e quindi di lasciarlo dormire tranquillamente, invece la padrona mi ha chiesto di fare un altro lavoro che non potevo rimandare perché mi avrebbe licenziato. E ora, eccoti qui, davanti alla mia tragedia: i miei sei figli e l’incapacità di poterli mantenere: cosa posso fare io?”.

La donna scoppia in lacrime; in quello stesso momento, la porta di casa mal messa, urtata dal gioco dei bambini, cade con un botto fragoroso che sembra a un tuono. La disperazione e le lacrime di Milagros, la porta che cade a rischio di fare del male ai piccoli mi paralizzano il cervello e il cuore e rimango senza parole. Davvero un quadro di miseria e disperazione che non pensavo potesse esistere. “Milagros, il tuo Josiel (nato il 17 dicembre del 2022) lo prendiamo in adozione a distanza per tre anni, ti faremo avere viveri per l’equivalente di 25 euro al mese; lo aiuteremo fino al 2027, ma tu mi devi promettere che non lascerai mai più Daniel chiuso in casa quando vai a lavorare: immagina cosa potrebbe succedere se quella porta cadesse addosso a questo piccolino?”. La giovane mamma promette e io chiedo ad Amalia della Caritas di Puerto Maldonado di controllare bene la situazione. Usciamo da quella casa con tanta tristezza nel cuore: guardo il piccolo Daniel, lui di nuovo mi salta in braccio e con il suo abbraccio mi regala un momento di paradiso.

Ora, seduto qui a Juliaca, mi chiedo: perché ho scelto Daniel come volto di speranza? La risposta la trovo in due profonde sensazioni: la prima è quella dello sguardo che mi ha lanciato dalla fessura nella porta, con quegli occhi profondi e tristi che parlavano di abbandono; la seconda è stata poi quel grande abbraccio e quegli occhi pieni di luce quando sono tornato. Mi è tornata in mente una celebre frase di Gianni Rodari, lo scrittore per bambini: “Quanto pesa la lacrima di un bambino? La lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato più di tutta la terra!”. Spero che questo report possa farti riflettere sul valore profondo di ogni bambino e della grande responsabilità che abbiamo nei loro confronti! Dal freddo delle Ande vi giunga un grande saluto nel caldo di Bergamo!

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