La follia della cancel culture
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.09.2024 – Aurelio Porfiri] – Penso che tutti oramai sono ben consapevoli della cosiddetta “cancel culture” [*], quella idea per cui bisogna riscrivere la storia per assecondare la narrativa (spesso imposta da poteri vari) del presente. Ora, non c’è dubbio che questa sia una vera follia e per vari motivi.
Innanzitutto la storia, almeno nelle sue intenzioni, è ricostruzione “di quello che è accaduto” (wie es eigentlich gewesen ist: come fu in realtà), come ci insegnava l’influente storico tedesco Leopold von Ranke (1795-1886). Ora, al di fuori dei sogni dei nostri predecessori, certo sappiamo benissimo che quello che è accaduto in sé stesso forse non riusciremo mai a saperlo nella sua completezza, in quanto noi riceviamo frammenti di esistenze e mancano sempre dei pezzi, ma riusciamo almeno a dare un’idea plausibile del percorso storico.
Il nostro è un viaggio in un passato che certamente vediamo distorto dai preconcetti del nostro presente per il quale motivo dobbiamo sempre stare attenti alla prospettiva che adottiamo nella nostra ricerca, o perlomeno affermarla in anticipo. La cancel culture elimina questo problema facendo in modo che tutta la storia è letta secondo l’ideologia del presente e cioè in un’ottica di attenzione agli studi sul gender, femminismo, equalitarismo, democraticismo, liberalismo e via dicendo. Ora, noi cristiani apparentemente siamo maestri in questo, in quanto la storia della salvezza viene sempre interpretata per istruirci nel nostro presente. Ma lì è la storia che informa il presente, con la cancel culture è il presente (di un certo tipo) che informa la storia.
Poi, quello che si verifica abbattendo statue o cancellando certi autori, non è una lotta contro gli assolutismi del passato, che siano religiosi o politici o culturali, ma è l’instaurazione di un nuovo assolutismo molto più pericoloso, quello dell’intronizzazione di una ideologia multiforme che noi crediamo di controllare mentre in realtà ci controlla ed è al suo fondamento profondamente contro le libertà personali.
È poi molto singolare che una cultura che ha sempre accusato la Chiesa di sessuofobia, una cultura che ha vantato la rivoluzione sessuale e la liberazione di tutti gli istinti, vada poi a colpire le persone per comportamenti che non sono neanche sessuali ma a volte semplicemente tentativi di approccio forse maldestri. Una cultura che ha allargato lo spettro della molestia a quasi tutti i comportamenti del maschio che è per definizione “un bastardo” e quindi colpevole a prescindere.
La cancel culture è il mezzo ipocrita che usiamo per sentirci ancora buoni e moralmente a posto dopo che abbiamo accompagnato Gesù alla porta delle nostre esistenze, è il mezzo per cui continuiamo a darci martellate sulla testa chiedendoci perché mai proviamo dolore.
Questa riflessione è stata pubblicata dall’autore sul suo sito Traditio, per conoscere tutto su tradizione e tradizionalismo [QUI].
[*] Il neologismo cancel culture (cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è usata per indicare una forma moderna di ostracismo, nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste ed è di conseguenza estromesso dal dibattito pubblico: se applicata ad un contemporaneo, l’estromissione avviene in rapporto alle cerchie sociali o professionali da lui frequentate, sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi.
«Atteggiamento di colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualche cosa di offensivo o politicamente scorretto e ai quali vengono pertanto tolti sostegno e gradimento. “Attento a quel che dici, perché appena mi deludi ti cancello. Ti blocco, ti defalco, ti depenno, o – che l’Accademia della Crusca ci perdoni tutti – ti unfriendo”. È la minaccia fantasma che oggi assilla le celebrità con maggior seguito sui social media, da Kanye West a Gordon Ramsey. Come in Se mi lasci ti cancello, il film di Michel Gondry in cui Kate Winslet fa rimuovere dalla sua mente Jim Carrey per non soffrire d’amore, quelli che una volta erano i supporter spesso acritici dei divi più in voga, oggi usano il potere dei social media per eclissare le star più prone alla gaffe, dando il via a quella che è stata chiamata la cancel culture, la cultura della cancellazione» (Giuliano Aluffi – La Repubblica, 18 agosto 2018).
«La woke culture è legata alla call-out culture – quel denunciare e giudicare di cui parla Obama – e anche alla cancel culture, il boicottaggio dei personaggi pubblici che commettono errori» (Viviana Mazza – Corriere della sera, 1° novembre 2019).
«Donald Trump si scaglia contro coloro che “vogliono distruggere la nostra storia” e “dividere il paese”, ovvero i democratici e coloro che praticano la “cancel culture”, la forma di boicottaggio culturale con cui si ritira il sostegno a prodotti e celebrità considerate negative. Il riferimento è ai manifestanti che, nelle ultime settimane, hanno chiesto la rimozione delle statue e dei simboli confederati» (ANSA, 4 luglio 2020).
«La cosa più ridicola della cancel culture, o chiamatela come diavolo vi pare, è la sua pretesa originalità. È dalla storia dei tempi che delle avanguardie, che si autodefiniscono tali, pretendono di avere la verità in tasca. C’e chi lo fa manifestando la violenza delle proprie intenzioni, e chi finge dietro ad un sorriso di volerti convincere e accettare solo a patto che tu condivida il suo punto di vista. La seconda razza è la peggiore. Perché più insidiosa. I padri fondatori americani conoscevano il subdolo rischio, che guarda caso, nasce sempre sulle coste del continente nuovo e si tutelarono con il primo emendamento e la difesa ad oltranza del free speech. Che non vuol dire soltanto libertà di parola, ma innanzitutto libertà di pensiero e di sua espressione. Sono libero di affermare che la famiglia tradizionale sia quella naturale, sono libero di affermare anche l’esatto contrario» (Nicola Porro – Il Giornale, 19 luglio 2020).
«La cancel culture è come “la folla che nel medioevo era in cerca di gente da bruciare”, ha detto Rowan Atkinson, “Mr. Bean”, il “buffone” di maggior successo della televisione. Teme la “spaventosa” pratica di mettere a tacere le opinioni impopolari, che paragona a chi sradicava eretici sul rogo. “È importante essere esposti a un ampio spettro di opinioni”, ha detto Atkinson a Radio Times. “Ma quello che abbiamo ora è l’equivalente digitale della folla medievale che si aggirava per le strade in cerca di qualcuno da bruciare”» (Il Foglio, 6 gennaio 2021).
Foto di copertina: murale di Pang, Imbiancare un Rembrandt, Hill Street, Cathedral Quarter, Belfast (Foto di K. Mitch Hodge).