Un pontificato di restaurazione?
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.09.2024 – Andrea Gagliarducci] – Non abbiamo ancora la trascrizione completa dell’incontro di Papa Francesco con i gesuiti di Singapore, ma sappiamo – da un rapporto di Vatican News che include una testimonianza di Padre Antonio Spadaro, SI [QUI], che il Papa ha parlato di due gesuiti: Pedro Arrupe, che ha guidato la Compagnia di Gesù negli anni turbolenti successivi al Concilio Vaticano II; e il missionario in Cina della fine del XVI e dell’inizio del XVII secolo, Matteo Ricci. Entrambe le figure sono molto amate e ancora molto controverse.
Papa Francesco ha espresso la sua speranza di vedere il processo di beatificazione di Padre Arrupe procedere rapidamente. Il processo di beatificazione del generale dei gesuiti è stato aperto nel 2018. Il mandato di Arrupe come “Il Papa Nero” – il soprannome non ufficiale dato al capo dei gesuiti, ufficialmente definito Padre Generale – è stato turbolento e polarizzante. Papa Giovanni Paolo II ha brevemente messo i gesuiti in una sorta di amministrazione controllata ecclesiastica, quando Arrupe era ancora nominalmente a capo dell’ordine. Come generale, Arrupe preoccupava anche Paolo VI per le derive progressiste verso cui aveva condotto la Compagnia di Gesù. Ci sono due scuole di pensiero riguardo al rapporto tra Papa Francesco e Padre Arrupe.
La prima scuola di pensiero dice, che Papa Francesco si rese conto di essere Papa solo quando decise, all’inizio del suo pontificato, di rendere omaggio alla tomba di Padre Arrupe. Perché ad Arrupe non piaceva l’allora provinciale dei gesuiti, e a Bergoglio non piaceva Arrupe. Del resto, Bergoglio, dopo il suo mandato di provinciale, fu esiliato a Cordoba, poi mandato a studiare per un dottorato in Germania che non completò mai, e poi fu nominato Vescovo Ausiliare di Buenos Aires, non sulla lista dei gesuiti ma su proposta del Cardinale Antonio Quarracino, un ultraconservatore profondamente contrario alla linea di Arrupe.
La seconda scuola di pensiero dice invece, che Padre Pedro Arrupe fu il vero mentore e maestro di Jorge Mario Bergoglio. Fu nello sviluppo dell’idea della teologia del popolo come alternativa più ortodossa alla teologia della liberazione; fu nella scelta dei temi da affrontare; fu nella 32ª Congregazione Generale, il più alto organo di governo della Compagnia di Gesù, che Papa Francesco ha spesso citato, riferendosi al discorso del 1974 di Papa Paolo VI ai Padri della 32ª Congregazione Generale. Quella Congregazione segnò l’inizio di un nuovo capitolo nella storia dei gesuiti. I decreti approvati parlano di immigrazione, giustizia sociale, nuova pastorale familiare, dialogo con gli atei, abbattimento di tutte le barriere con le altre religioni, inculturazione e cura per l’ambiente.
Sono tutti temi che Papa Francesco ha fatto suoi e che sono oggi al centro del suo pontificato. Ciò porta a pensare che Francesco, che era tra i 237 delegati di quella Congregazione, sia in realtà profondamente ispirato dall’esempio e dalla leadership di Arrupe. Dopotutto, quando Arrupe perse la capacità di parlare e fu costretto a dimettersi dalla guida della Compagnia, non avrebbe visto il suo successore designato, Padre Vincent O’Keefe, SI, prendere il potere. Papa Giovanni Paolo II nominò invece Padre Paolo Dezza, SI, come Commissario ad interim, che guidò la Compagnia di Gesù verso l’elezione di un nuovo Generale in Peter Hans Kolvenbach, SI, che era più moderato. Inoltre, O’Keefe aveva irritato persino Papa Giovanni Paolo I con un’intervista in cui chiedeva una nuova dottrina, ad esempio, sui contraccettivi e sugli atti omosessuali. Sappiamo che Giovanni Paolo I aveva preparato un discorso da leggere ai gesuiti, mai pronunciato perché morì due giorni prima che fosse programmato per pronunciare le osservazioni, in cui c’erano parole molto dure sulla necessità di evitare di prendere le distanze dalla vera dottrina per amore dello studio e della discussione.
Con questa storia in mente, si può vedere il pontificato di Francesco come un ritorno ai dibattiti degli anni ’70 e ’80. Il dibattito tra progressisti e conservatori che ha dominato quei decenni ha trovato una soluzione sotto Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, in parte per opposizione e in parte per ipotesi. Giovanni Paolo II era un pensatore impavido e un genio filosofico che ha fatto sia della pietà popolare che dell'”ortodossia creativa” i tratti distintivi di un pontificato pensante, che ha trovato il modo di imbrigliare le energie scatenate dal Concilio e di indirizzarle verso canali ortodossi. Benedetto XVI, che ha avuto più a che fare con il mantenimento delle dichiarazioni ufficiali di Giovanni Paolo II entro i limiti dell’insegnamento stabilito di quanto abbia mai lasciato intendere, è stato anche il primo a essere chiamato “Il Papa Verde” per il suo impegno ecologico [QUI] e ha incentrato tutto il suo lavoro sulla verità e l’unità della Chiesa.
Dopo il pontificato di Benedetto XVI, l’idea era che si doveva tornare indietro. Eventi come il “Patto delle Catacombe” del Concilio Vaticano II sono riemersi, la ricezione del Concilio Vaticano II è diventata di nuovo una questione cruciale e persino le aperture verso il mondo più tradizionale sono state cancellate o neutralizzate.
Il pontificato di Papa Francesco è dunque un pontificato di restaurazione? Se si considerano i dettagli, bisogna porsi la domanda: dallo sguardo al passato con la volontà di riscrivere la storia, dai punti di riferimento tutti ancorati alla Chiesa degli anni ’70, e dalla presenza di “cardinali di riparazione” in praticamente ogni Concistoro convocato finora, un tentativo del Papa di recuperare la storia passata o di scusarsi per presunte esclusioni per motivi politici.
Il punto non è, alla fine, se Papa Francesco guardi ad Arrupe come un amico o un nemico, se faccia parte della storia recente dei gesuiti o ne sia al di fuori. Il punto è che ci fa guardare indietro, quindi incapaci di vedere le sfide che abbiamo di fronte oggi, che sono ridotte a sussurri, pettegolezzi di quartiere, alle nostre spalle. Chissà se Papa Francesco farà suoi tutti i testi e i dibattiti di Padre Arrupe? Il fatto è che il Papa è veramente solo. Quell’isolamento può in ultima analisi essere positivo se apre lo spazio per esaminare davvero i fatti.
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].