RAIUNO ricorda Adriano Olivetti

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“Aveva un’idea dell’industria che non era quella tipica italiana. In Italia si ha, spesso, un’idea parassitaria dell’industria: si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite. Lui socializzava gli utili”: così Franco Bernini, (sceneggiatore della fiction di RAIUNO ‘La forza di un sogno’ in onda il 28 e 29 ottobre, con Luca Zingaretti), presenta Adriano Olivetti, l’imprenditore delle macchine da scrivere che creò il primo computer al mondo.

Questa storia, tutta italiana, racconta la trasformazione, negli anni del dopoguerra, di una piccola fabbrica di Ivrea nell’industria leader del settore e di un uomo che concepiva “la fabbrica a misura d’uomo perché trovasse nel posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza”. In tutto il mondo infatti Olivetti è famoso per aver inventato la ‘Lettera 22’, la macchina da scrivere per tutti e facile all’uso. Olivetti amava dire: “Una fabbrica che funziona in un Paese che non funziona è inutile”. Nella sua concezione di società aperta l’ingegnere di Ivrea riservava un posto fondamentale al rapporto tra Stato e Chiesa.

Nel suo manifesto programmatico della Comunità del 1953 Olivetti così descriveva i rapporti tra Stato e Chiesa: “Circa i rapporti fra Stato e Chiesa, gli accenni sopra fatti al laicismo come è inteso dal Movimento Comunità, alla distinzione fra politica culturale e politica della cultura, al rapporto fra persona e società nella politica di educazione e di assistenza saranno valsi a introdurre al nostro pensiero in argomento. La soluzione deve presentarsi come tale da permettere al cittadino di essere interamente religioso, interamente rispettoso del suo proprio credo (senza remore, scrupoli o riserve mentali) ed interamente rispettoso e leale verso lo Stato.

Lo Stato, insistiamo, deve conservare un valore esclusivamente strumentale, là pure dove i suoi interventi sono molteplici: esso serve a dare (anche mediante il giusto uso della forza) organizzazione pacifica alla società, tendendo, al limite, a sostituire a una società dove prevalgono la potenza e il privilegio una società che, modificando l’espressione kantiana, potrebbe definirsi come il regno delle vocazioni. Nei rapporti con la Chiesa, con qualunque società culturale o spirituale, e con le persone singole, lo Stato conserverà questa posizione di estrema modestia.

E tuttavia dovrà essere di una estrema severità nella tutela del suo compito modesto; vietando ogni clericalizzazione della funzione ‘naturale’ che è chiamato a svolgere (‘date a Cesare…’), impedendo senza eccezioni che qualunque società, culturale o spirituale, ceda alla tentazione di sostituire le conversioni per imperativo della coscienza con le conversioni per prudenza terrena”.

Queste idee sono mutuate dal pensiero dei filosofi cristiani francesi, Emanuel Mounier e Jacques Maritain, curando nelle edizioni del movimento Comunità le prime traduzioni delle opere politiche di quest’ultimo filosofo da ‘I diritti dell’uomo e la legge naturale’, a ‘Cristianesimo e democrazia’ nel 1953; ed a pubblicare con prefazione di Maritain, una antologia di autori, tra cui Benedetto Croce, Sergio Hessen, Aldous Huxley sul problema dei diritti dell’uomo nel 1952. Quindi nei suoi scritti Olivetti si richiama a Maritain, e nella opera principale, ‘L’ordine politico delle Comunità’ (1946) ha scritto:

“Il pensiero politico contemporaneo è grandemente debitore ad uno studioso come Jacques Maritain per il suo sforzo di portare al centro dell’attenzione politica i rapporti tra la Persona e le Comunità differenziate in cui si esprime l’umana società. Sviluppa poi tutta un’analisi sui rapporti tra individuo e persona, richiamandosi ai Padri della Chiesa e a san Tommaso. L’individuo riposa sugli elementi materiali, e dalla materia è individualizzato e limitato. Esso quindi si muove secondo le risultanze di un puro urto di forze, in un piano in cui le leggi spirituali non spiegano la loro invisibile potenza”.

Mente di questi ‘contatti’ è stato sicuramente lo scrittore cattolico Geno Pampaloni, chiamato da Olivetti nel 1948 a dirigere la Biblioteca della fabbrica, diventando uno dei suoi più stretti collaboratori: per il critico non è difficile condividere gli ideali olivettiani e sostenere quel giovane ambizioso convinto del primato della cultura, come lui stesso dice in un’intervista rilasciata a Grazia Cherchi su Panorama nel maggio 1989: “I 12 anni con Adriano Olivetti sono stati decisivi nella mia vita. Ho fatto molte esperienze, tra cui quella del potere: un letterato di mala lingua diceva che Olivetti Spa non significava in realtà Società per Azioni, ma Se Pampaloni Acconsente. Era peraltro un potere propositivo, senza cinismo e con molta fiducia umana”.

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