Salute, salvezza e la crisi della fede
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.09.2024 – Aurelio Porfiri] – È interessante cercare di osservare con occhio disincantato quanto ci succede intorno, per quello che è possibile. Certo in questi ultimi anni siamo stati così coinvolti nelle vicende sanitarie che è difficile estraniarsi dal mondo circostante, ma per quello che ci riesce di farlo, è uno sforzo che vale la pena compiere.
Una riflessione sul mondo circostante mi è stata dettata dalla lettura di un interessante raccolta di saggi di Aldo Natale Terrin, storico delle religioni, una raccolta riunita in un libro dal titolo Il sacro off limits [1]. In uno di questi saggi dal titolo Salute e salvezza. Riflessione fenomenologica sul compito terapeutico delle religioni, egli osserva un fenomeno che ci sembra oggi molto attuale, pur se il suo libro è del 1995. Questo fenomeno è il legame tra religione e malattia, tra fede e guarigione.
Oggi ci sembra che queste due dimensioni siano separate, anzi che le esigenze del corpo debbano sempre prevalere su quelle dello spirito. Lo studioso dice:
«Soltanto la religione cristiana – più legata al “progresso tecnologico” dell’occidente e succube della dicotomia corpo/spirito – si è lasciata portare presto da altri principi e ha forse negletto troppo in fretta il compito terapeutico, che le era stato affidato in parallelo con la missione stessa di evangelizzare, limitandosi a pensare alla “salvezza dell’anima” e lasciando invece alla medicina di curare il corpo e tutte le malattie, considerate soltanto e in maniera corriva come un incidente dell’organismo umano, del corpo, omologato a sua volta a una semplice “macchina” in grado di guastarsi. Ma le malattie sono soltanto fatti fisiologici, sono patologie dell’organismo o non sono manifestazioni di qualche cosa di più complesso che viene a mancare e non evidenziano forse una disarmonia globale del soggetto umano che coinvolge tutta la persona?»
Questa osservazione mi sembra molto importante e ci fa ripensare il nostro approccio al rapporto corpo/spirito. Se non c’è spirito, se tutto è corpo, allora l’approccio meccanicistico sembra l’unico ragionevole. Mi sono occupato di questo tema in un mio libro, Sia l’uomo la tua frontiera [2] in cui affronto proprio questo aspetto della separazione fra medicina e spirito.
Aldo Natale Terrin ci dice che salute e salvezza sono termini che hanno una stessa origine e che condividevano lo stesso significato, separato soltanto più tardi. In latino abbiamo salus, che in effetti tocca entrambi gli aspetti del corpo e dello spirito. Ma non solo: ci dice Terrin che
«a questa visione presta soccorso nella storia delle religioni anche il termine terapia che non è affatto un termine medico ma anzitutto “religioso”. Nella concezione classica degli antichi il concetto therapeía indica anzitutto “un assistere”, uno “stare vicino”, un “prendersi cura” e si tratta di un termine che è molto vicino al concetto religioso e cristiano di diakonia».
Ricordiamo quanto ci dice Mario Arturo Iannaccone parlando della nascita degli ospedali nel Dizionario elementare di apologetica [3], cioè che essi furono portati avanti in seno al Cristianesimo e che molti chirurghi erano anche dei chierici. Ricordiamo che nelle rogazioni, che erano una cerimonia per impetrare la protezione di Dio contro i flagelli e per proteggere i raccolti, si chiedeva che “a peste, fame et bello, libera nos Domine”.
Insomma, si credeva che effettivamente esisteva una dimensione unica dell’essere umano di cui la Chiesa doveva occuparsi. Ricordiamo il bel dipinto del pittore Carlo Saraceni, San Carlo Borromeo comunica un appestato, in cui si vede il santo che con altri chierici si avvicinano al letto di un malato di peste per portargli l’eucarestia. Ora, nessuno avrebbe consigliato ai nostri tempi ad un sacerdote di avvicinarsi ad un malato di Covid senza le opportune protezioni, ma ancora crediamo che lo spirito è superiore alla materia? Paolo VI, nella sua allocuzione conclusiva del Concilio Vaticano II (7 dicembre 1965) diceva che «per conoscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio». Ma sembra oggi che divinizziamo l’umano.
La pandemia di Covid ci ha mostrato con ancora più forza a quale livello sia la crisi della fede, una fede che oramai sembra debitrice della scienza e non il contrario. Sembra di ascoltare il grido di Herman Hesse:
«Non ho mai vissuto senza religione e non potrei mai vivere un singolo giorno senza di essa. Ma per tutta la mia vita ho fatto a meno della Chiesa. Questa ammirevole chiesa cattolica è ai miei occhi degna di riverenza soltanto da lontano. Non appena mi avvicino odora, come tutte le istituzioni umane, di un forte odore di sangue, potere, politica e perdita di individualità. Io credo in una indistruttibile religione che è oltre, dentro e sopra le creature».
La Chiesa è divenuta oramai irrilevante. Eugenio Scalfari diceva:
«Anche la scienza, a differenza della filosofia, cerca la verità ultima, non maneggiando idee, concetti, parole, ma usando numeri, formule, equazioni, potenze. La scommessa della scienza è di scoprire la chiave capace di aprire tutte le porte, fino all’ultima che custodisce il numero d’oro, la formula finale, la legge che chiarisce e svela l’ultima incognita. Ecco perché la Chiesa non si sente insidiata dalla scienza: perseguono infatti lo stesso obiettivo».
Ma, come gli ribatteva Roberto Buffagni nel Dizionario elementare del pensiero pericoloso [4], la verità, specie la verità ultima, è termine filosofico e non è oggetto della investigazione scientifica che si occupa di certezze verificabili.
Insomma, la Chiesa ha appaltato alla scienza la risposta ultima ai nostri perché? Nella Fides et Ratio (1998) Giovanni Paolo II esordiva: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità». Risuona con sempre più forza quanto Gesù dice: «Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?»
Ci sembra che oggi l’anima, lo spirito, siano concetti utili per alimentare un mercato fiorente di filosofie e religioni alternative ma che esse abbiano perso il loro posto d’onore, come fondamento Cristiano, nel cuore della nostra civiltà.
Questa riflessione è stata pubblicata oggi dall’autore sul suo sito Traditio, per conoscere tutto su tradizione e tradizionalismo [QUI].
[1] Aldo Natale Terrin Il sacro off limits. L’esperienza religiosa e il suo travaglio antropologico (EDB 1995, 288 pagine [QUI]).
Attualmente si constata come la sete antropologica stia trasformando il rapporto di ognuno con dubbi e angosce profonde in un mercato dove tutto può essere raggiunto a buon prezzo. Pensando a un prossimo futuro, il volume affronta, in una comparazione tra le grandi religioni, lo spettro delle principali domande umane, il cui centro di gravità è in quella speranza di salute e salvezza che significa domanda d’assoluto e alimenta oggi, spesso confusamente, il cosiddetto ritorno del sacro: un fenomeno che richiede ricerca approfondita, come l’autore precisa sin dall’inizio, nella consapevolezza che il sacro è esperienza non riducibile ad altro che a se stessa, “off limits” rispetto ad ogni altro approccio.
[2] Aurelio Porfiri, Sia l’uomo la tua frontiera. Lettera a un medico di famiglia (SugarCo 2018, 112 pagine, con la Prefazione di Marcello Veneziani [QUI]).
Tutti abbiamo un medico di famiglia a cui affidare la cura del nostro corpo. Ma la nostra psiche? Un tempo il medico non era semplicemente un «meccanico» che riparava il corpo come fosse una macchina, ma colui che mentre si occupava del corpo parlava anche allo spirito. Aurelio Porfiri, autore di oltre 30 libri su musica, teologia e musicista di livello internazionale, scrive una lunga lettera al suo medico di famiglia che tutti ci riguarda e ci vede protagonisti, in cui ripercorre i tanti temi che si intersecano con la professione medica oggi: la paura, le malattie, la morte, la speranza… Marcello Veneziani nell’introduzione scrive: «La vera medicina si occupa dell’uomo e non della sua malattia. Spesso l’uomo non è un malato immaginario, ma un malato dell’immaginario; e a volte questa malattia divora le sue energie spirituali e questo lo debilita, non lo fa reagire. Quello di Porfiri è un viaggio colto e spiritualmente desto che naviga tra attualità, nuove mitologie come quella del Big Pharma e rinate superstizioni su base scientifica. Ma indaga soprattutto il rapporto tra il corpo e l’anima».
[3] Dizionario elementare di apologetica (Il Timone 2016, 558 pagine [QUI]) a cura di Gianpaolo Barra, Mario Arturo Iannaccone e Marco Respinti.
La verità è sotto attacco, la menzogna contro il Cristianesimo imperversa, l’odio verso la Chiesa straripa. L’apologetica, cioè la difesa ragionevole e documentata della fede cattolica e della cultura che ne deriva, non è un optional. È dovere di ogni cristiano. Questo “kit di pronto soccorso” contiene oltre 140 “voci” compilate da 36 esperti e preparate per rispondere sempre alle mille falsità che la cultura dominante pervicacemente ripete anche quando non si è esperti del settore. Anima, esistenza di Dio, apparizioni mariane, miracoli, primato di Pietro, aborto, eutanasia, contraccezione, teoria del gender, Medioevo, Crociate, Inquisizione, Illuminismo, Rivoluzione Francese, liberalismo, comunismo, nazionalsocialismo, economia di mercato, catari, Galileo Galilei, Giordano Bruno, Yoga, Zen.
[4] Dizionario elementare del pensiero pericoloso (Il Timone 2016, 673 pagine [QUI]) a cura di Gianpaolo Barra, Mario Arturo Iannaccone e Marco Respinti.
Cattolicesimo vegetariano e animalista? L’UNICEF difende l’infanzia? La psicoanalisi di Sigmund Freud fa bene alla fede? La “teologia dialettica” di Karl Barth è compatibile con il Magistero? E il pensiero di Rudolf Bultmann, Helder Camara, Jean Baptist Metz o Pierre Theilard de Chardin? I cattolici debbono ispirarsi a Giuseppe Dossetti o Dario Fo, Gianni Vattimo o Martin Luther King, Umberto Eco o John F. Kennedy? No, perché i loro insegnamenti contraddicono la Rivelazione, la morale, il Magistero, il Catechismo, la sana filosofia e il buon senso. Tra nemici accesi della fede e chi, anche inconsapevolmente, semina dubbio e confusione, le trappole da cui i credenti debbono guardarsi sono molte. E serve una guida.
Foto di copertina: nella seconda cappella della parete sinistra della chiesa dei Serviti a Cesena, la cappella Albizzi, possiamo vedere, all’interno di una pregevole ancona in legno dorato, una delle più belle opere presenti in città, il “San Carlo Borromeo comunica un appestato” (296×195 cm, 1618-19 circa), attribuita al pittore Carlo Saraceni, veneziano ma attivo a Roma di cui sarebbe l’ultima realizzazione.
La pala d’altare fu donata alla chiesa nel 1676 dal Cardinale cesenate Francesco Albizzi, insieme alla grandiosa ancona che la contiene.
Si tratta di una composizione nello stesso tempo sobria e solenne, priva di particolari macabri eppure ugualmente emozionante, in cui apprezziamo la sapienza nell’uso dei colori (contrasto tra bianco del lenzuolo, delle cotte dei tre chierici e della veste del Santo con il rosso del piviale) indice di una sensibilità per il colore tipica della tradizione veneta.